Kunst Meran/o Arte
Merano (BZ)
via Cassa di Risparmio Portici, 163
0473 212643 FAX 0473 276147
WEB
From Russia with Love
dal 12/7/2007 al 22/9/2007
martedi' - domenica 10-18

Segnalato da

Studio Pesci




 
calendario eventi  :: 




12/7/2007

From Russia with Love

Kunst Meran/o Arte, Merano (BZ)

Il titolo della mostra puo' essere letto anche come allusione autoironica allo sguardo dell'Occidente che si dirige sull'arte contemporanea russa. I singoli ambiti artistici sono interdipendenti, reagiscono con forza e forniscono nuovi modelli di interpretazione. Video e fotografie di nove artisti a cura di Barbel Vischer.


comunicato stampa

A cura di Bärbel Vischer

James Bond manda i suoi saluti. L’eroe romanzesco e cinematografico creato dallo scrittore britannico Ian Lancaster Fleming durante l’epoca della Guerra Fredda viene considerato un’icona del mondo occidentale. Pubblicato nel 1957, il best seller dal titolo “From Russia with Love” è riuscito a entrare nella top ten dei libri del presidente John F. Kennedy. E come una vera Bond-girl, Jacqueline Kennedy ha potuto consegnare una copia del libro al capo della Cia Allen Dulles. Il romanzo, nel quale Fleming assunse un atteggiamento fortemente antisovietico, rispecchiava l’interesse pubblico per il conflitto tra Oriente e Occidente che si stava inasprendo. L’agente 007 serve da cinquant’anni all’autocelebrazione dell’Occidente e nel contempo, in qualità di antieroe, rappresenta il fallimento di un’immagine del mondo polarizzata.

Il titolo della mostra “From Russia with Love” può essere letto anche come allusione autoironica allo sguardo dell’Occidente che si dirige sull’arte contemporanea russa.
Nel titolo “From Russia with Love” è presente l’aspetto del movimento: la storia della città di merano è legata alla Russia, esisteva infatti fino al 1914 un treno diretto tra Merano e San Pietroburgo e la Fondazione Borodine fondata nel 19. Secolo è tutt’ora attiva.
La mostra concepita per Merano arte presenta artisti della generazione più giovane che vivono a Ekaterinburg, Karlsruhe, Khvalynsk/Saratov Oblast, Mosca e Vienna e che si muovono su diverse scene e comprende tutti gli orientamenti attuali dell’arte contemporanea (video e fotografia) basati sull’appartenenza linguistica dei singoli partecipanti.
La lingua, infatti, la parola scritta e parlata, è il mezzo più immediato per trasmettere cultura, per istituire un’identità e un’identificazione collettiva.
Nell’arte russa contemporanea si possono trovare diverse posizioni riguardo a problematiche attuali di rilevanza internazionale. Gli artisti si confrontano con i concetti di società, identità, cultura e trasformazione e cercano di definire e di interpretare simboli e valori. Connesso a ciò è il fatto che lo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991 non ha tenuto conto dei confini etnici. Gli artisti, pertanto, non si sentono russi al cento per cento né dal punto di vista etnico né dal punto di vista culturale, tanto più che l’eccellente istruzione dell’Unione Sovietica, i cui effetti perdurano ancor oggi, era orientata alla cultura mondiale.

Sul piano sociale, economico e politico la Russia si trova ancora in una fase di rivolgimento, a ciò si aggiunge il processo di globalizzazione che provoca in tutto il mondo un’accelerazione del tempo e una condensazione dello spazio. Per di più la vita quotidiana è estremamente intrecciata con i moderni mezzi di comunicazione La validità dei sistemi di valori esistenti deve essere esaminata e nuovi valori devono essere definiti.

La mostra “From Russia with Love” vuole suscitare una discussione non sulla Russia o su stereotipi specificamente russi, bensì sulla trasmissione di cultura e identità all’interno di un sistema politico e sociale e su modelli di pensiero e di comportamento, da questo sistema influenzati, che si trovano in un processo permanente di adattamento e trasformazione.
Nell’attuale produzione artistica russa si possono trovare motivi che da una parte si basano sull’eredità storica nel contesto culturale e politico, come per esempio il significato dell’icona, la relazione tra individuo e collettività, la massa concepita come un corpo o l’analisi di norme sociali. Dall’altra si registra la reazione da diversi punti di vista agli avvenimenti del mondo, come per esempio la problematica della cultura di massa e dell’economia, l’utopia della tecnica e la nascita di miti moderni. I singoli ambiti artistici sono interdipendenti, reagiscono con forza e forniscono modelli di interpretazione sconosciuti. Nell’arte la polarizzazione tra Est ed Ovest si scioglie.

Victor Alimpiev incentra il suo lavoro sul modo di esprimersi dell’uomo e sul linguaggio mimico, prestando attenzione esplicitamente al piccolo gesto e indagando motivazioni e sensazioni personali e momentanee. Allo stesso tempo il suo sguardo è rivolto a una totalità: alla coreografia delle azioni, ai modelli di movimento, al ritmo della parola detta o dei diversi suoni che si formano attraverso il movimento.
L’attenzione dell’artista è rivolta – quasi in una inquadratura – sia all’individuo sia alla collettività ed è inoltre un tacito riferimento al labile rapporto della singola persona con la società. Il video “What ist the name of the Platz?” (2006) mostra ancora una volta la predilezione di Alimpiev per il teatro, la ritualità e le azioni performative così come il suo particolare interesse per la relazione tra figura e spazio, la cui tridimensionalità viene da lui ulteriormente sottolineata. iIl video consiste in primi piani apparentemente intimi e si rivela attraverso l’interazione e la tensione che si forma all’interno di un gruppo di quindici persone. In un’azione scenica una protagonista si rivolge al pubblico, che diventa una scultura umana, secondo il modello del recitativo avanguardistico come in “Pierrot Luniere” di Arnold Schönberg (1914) e in “Momente” di Karlheinz Stockhausen (dal 1962). La videocamera gira intorno agli interpreti in modo tale che la presenza delle singole persone incanta immediatamente lo spettatore.

Vika Begalska si accosta a scottanti questioni di politica sociale servendosi dell’ironia. Questo avviene sia quando affronta tematiche riguardanti le differenze tra i sessi e l’assegnazione dei ruoli, sia quando si occupa di sistemi politici, di riti sociali o di miti popolari. I diversi scenari, anche quando essi vengono definiti prevalentemente dalla stessa Begalska, vengono tracciati con imparzialità e senza giudizi di valore, così che i suoi video sembrano avere sempre un carattere documentario e risultano immediatamente accessibili all’osservatore.
Il video “Welcome” (2004) mostra l’artista e il suo insegnante di inglese nigeriano. La Begalska interpreta la parte dell’allieva oppure è sottoposta a un interrogatorio? Il suo insegnante Barry, il cui nome completo non appare nei titoli di coda, assume il ruolo autoritario. Istruzioni insensate e concetti generali come “nazionalità”, “famiglia” o “religione” sono al centro della riflessione. Realtà e finzione si mescolano l’una con l’altra. Davanti alla videocamera si sviluppa una situazione angosciante che viene alleggerita da una ragazza che commenta alcune scene con delle smorfie. Entrambi gli attori imitano modelli comportamentali influenzati da fattori sociali e politici. Lo scambio di codici porta ad affrontare problematiche evidenti e nascoste. Partendo da una misura pedagogica adottata in Nigeria, l’uso del bastone di canna per picchiare, si giunge al tema della precaria situazione degli immigranti e del razzismo latente.

Olga Chernysheva si occupa del significato di simboli e di diversi rituali quotidiani che spesso vengono a malapena percepiti come tali. Con mezzi semplici Chernysheva presenta strutture e modelli molto familiari che diventano visibili soltanto nel momento in cui lei vi dirige lo sguardo. Il video "March" (2005) mostra una scena una scena grottesca, secondo i criteri occidentali, che si svolge nell’ambito dei festeggiamenti in occasione della candidatura di Mosca per le Olimpiadi del 2012 nel centro della città.. L’artista da una parte si interessa alla festività, dall’altra coglie in maniera sottile il comportamento di giovani adolescenti. Ragazzini in uniforme sfilano in parata, mentre una banda militare suona e, con funzione decorativa, ragazze un po’ più grandi devono ballare in costume da cheer leader. Sullo sfondo sono sospesi dei palloncini con i colori della capitale e della Federazione Russa. I palloncini sono anche mezzi pubblicitari per la Panasonic o la Gasprom, la ex multinazionale russa che oggi è il maggior datore di lavoro del paese e al contempo un “sinonimo di corruzione” (Jürgen Roth, Der Spiegel). “March” mostra un’istantanea della vita quotidiana e rivela tuttavia uno sguardo più profondo sulla situazione della società russa di oggi nella fase della leggerezza tra l’eredità storica segnata dal comunismo e gli sviluppi politici attuali. “I serve Russia” è lo slogan con cui i partecipanti alla parata vengono alla fine congedati.

Anna Jermolaewa mette a fuoco un mondo iperculturale di oggetti che, staccati dal contesto storico e dal posto cui appartengono e privati del loro significato contestuale, attraverso la produzione di massa e il processo di globalizzazione sono stati indifferentemente collocati uno accanto all’altro. A questi, sia che si tratti di beni di consumo o di servizi, l’artista conferisce una nuova identità, servendosi delle loro caratteristiche e del loro immanente raggio d’azione. Il video

“Fur Hood” (2005) mostra di fatto un berretto di pelliccia in primissimo piano al quale viene data una nuova acconciatura. In sottofondo si sente la radio. L’atto del tagliare è simile a un’azione rituale.
Il berretto di pelliccia è un simbolo dalle connotazioni culturali, qui un’espressione di identità socioculturale in Russia, dove questo grazioso copricapo appartiene alla quotidianità. Nei mesi invernali caratterizza l’immagine della città moderna così come l’ambiente di campagna e diventa espressione della collettività, uniforme di massa. L’azione di Jermolaewa risulta quindi non meno dirompente dell’incendio di una bandiera nazionale.

Anastasia Khoroshilova coglie il legame interiore dell’uomo con il suo ambiente. I temi che vengono trattati nelle sue monumentali sequenze di immagini sono l’alienazione, l’isolamento o le temporanee condizioni di vita all’interno di un sistema chiuso, di una specifica società introversa, lontana nello spazio e nel tempo.
L’azionamento del dispositivo della macchina fotografica equivale per l’artista a un taglio preciso che apparentemente non si sarebbe potuto effettuare in modo diverso e che ciononostante mantiene l’autenticità del momento. L’artista lavora con mezzi semplici: i suoi soggetti sembrano statici, attraverso un linguaggio di immagini ridotto vengono ottenute fotografie di carattere documentario, le persone posano senza emozioni visibili.
Da una parte Khoroshilova rimanda con la sua tecnica alla fotografia del XIX secolo, dall’altra mostra un accumulo di figure, monumenti, ambienti interni, file di case e paesaggi, che, come foto ricordo, raccontano la storia individuale e collettiva.
Nella serie fotografica “Baltiysk” (2005) Khoroshilova documenta una base navale russa sul mar Baltico. La città, che conta 33.000 abitanti, è stata per decenni zona militare vietata ed è diventata, con il crollo dell’Unione Sovietica, un’enclave. L’immagine di un paesaggio, di una città, di una popolazione viene trasmessa come in un caleidoscopio. Le fotografie sono in un certo senso motivi da cartolina e mostrano una famiglia di tre persone, una giovane coppia, marinai, facciate di case, vasti paesaggi in cui sporadicamente è stato collocato un monumento. Khoroshilova non mette in scena ed evita ogni traccia di malinconia. Ogni soggetto, che si tratti di natura, architettura, persone o statue, viene considerato alla setessa stregua. I motivi sono tuttavia interscambiabili, nel senso che non possono essere localizzati: si tratta di archetipi.

È l’utopia della tecnica che collega aspetti storici e visionari, sociali e scientifici, reali e fantastici, nonché politici. Così il primo fortunato atterraggio dell’uomo sulla Luna, che è avvenuto il 20 luglio 1969 e che, perseguito sia dagli Stati Uniti sia dall’Unione Sovietica, è stato realizzato soltanto dagli Usa, costituisce il punto culminante della corsa alla conquista dello spazio. Misha Le Jen gioca nelle sue performance con fantasie archetipiche dell’infanzia, che implicano la mistica dell’avventura, la passione per il sogno, la felicità comune nel gruppo, la gioia di essere indipendenti. Le sue opere, che si basano su idee utopiche, nascono spesso in collaborazione con la ricerca scientifica
Le performance di Le Jen si basano sulla ricerca multidisciplinare e richiedono un grande impegno fisico. “Sky-Born Flotator I e II” hanno avuto luogo nel gennaio e nel maggio del 1999 sul Volga, nella città di Volsk (Saratov Oblast). Alla realizzazione della performance di Le Jen hanno partecipato anche piloti dell’esercito russo. L’artista si è servito di un paracadute per realizzare il suo sogno di volare, trasformando il previsto movimento della discesa nel movimento della salita dall’acqua. In Russia il Volga, il fiume più lungo d’Europa, viene considerato la culla della civiltà e viene chiamato “Matuschka” (mammina).

Vlad Mamyshev-Monroe è un maestro del travestimento nelle sue messe in scena per fotografie, film e performance rappresenta personaggi famosi quali Fjodor Dostojevski, Caterina la Grande, Wladimir Iljitsch Lenin, Giovanna d’Arco, Adolf Hitler, Osama Bin Laden, il Papa. l’artista gioca con la presenza mediatica delle sue figure e con la contrapposizione di caratteristiche umane. I farabutti e i martiri vengono da lui trattati alla stessa stregua. L’artista è interessato agli avvenimenti mondiali, in particolare al mito e al culto di personaggi, che egli osserva in silenzio, senza un commento palesemente critico, anche se con pungente ironia.

Nel video “John e Marilyn” (2005) Vlad Mamishev-Monroe mette in scena un teatro di marionette. I protagonisti John F. Kennedy e Marilyn Monroe vivono come burattini deformati e a ritmo accelerato i momenti della loro relazione amorosa davanti agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. La storia che ognuno conosce ha una svolta sorprendente.

Alla seconda Biennale di Mosca (2007) Anatoly Osmolovsky ha esposto nell’ambito della mostra “I Believe”, curata da Oleg Kulik, una parte del gruppo di opere multimediali “Breads” (2003-2006). L’installazione, sistemata in uno speciale complesso spaziale, definisce una zona sacrale, poiché la specifica applicazione e disposizione delle tavole lavorate in legno corrisponde allo spazio che nelle chiese ortodosse è previsto per le icone: la parete adorna di immagini, l’iconostasi, il cui intento è rigorosamente iconografico, viene considerata un elemento architettonico e liturgico autonomo e divide lo spazio dell’altare dal resto della chiesa. Questa separazione tra mondo celeste e mondo terrestre corrisponde alla funzione della “tenda” nel tempio ebraico oppure alle grate o al leggio del coro nelle chiese dell’Occidente.
Il suo riferimento all’icona, immagine di culto nelle chiese orientali, è sottile ed egli collega quest’ultima con il simbolo più significativo della storia della civiltà universale. I singoli motivi mostrano in forma astratta diversi tipi di pane, che è possibile trovare in Russia, come elementi ornamentali riflessi in se stessi. Osmalovsky è un letterato e usa un linguaggio chiaro e complesso. Le sue parole rimangono nella memoria.

Vlad Bulatov, Natalia Grekhova, Olga Inozemtseva e Alexey Korzukhin sono i membri del gruppo Where Dogs Run e lavorano negli ambiti più diversi, dalla scultura alla performance.
Il video “Way” rappresenta in un’unica inquadratura la vastità sconfinata di un paesaggio invernale. Passo dopo passo quattro persone attraversano la scena. Ognuna di esse porta con sè una falce che viene mossa nella neve, come se stesse tagliando del grano. La falce è il simbolo della raccolta, del tempo e della morte. Con la Rivoluzione d’Ottobre in Russia vennero bandite le icone, in compenso fiorì il culto delle immagini del partito comunista. Attraverso un linguaggio di immagini ridotto delinea una metafora che rimane impressa nella memoria. Le stagioni sono state apparentemente scambiate, il paesaggio invernale senza un segno riconoscibile della civiltà fa venire subito in mente la Siberia. Le artiste e gli artisti della giovane generazione, che vivono e lavorano in Siberia, forniscono, oltre a un’immagine della Siberia tranquilla e nel contempo vivace, un resoconto sulla situazione attuale della società russa. Di nuovo si vede il vasto paesaggio. Il comunismo lascia nella neve le sue tracce che poi si disperdono anch’esse. L’eternità è già cominciata.

Parallelamente alla mostra, verrà pubblicato anche un catalogo trilingue (inglese, italiano, tedesco) con saggi di Joseph Backstein (Mosca), Valerio Dehó (Bologna) e Bärbel Vischer (Vienna).

Immagine: Victor Alimpiev, What is the Name of the Platz, 2006. Video 8'33". Courtesy Regina Gallery

Relazioni con il pubblico:
Ursula Schnitzer schnitzer@kunstmeranoarte.org

Ufficio stampa:
Studio Pesci di Federico Palazzoli
Via Giuseppe Petroni 18/3, 40126 Bologna Tel. +39 051 269267 Fax +39 051 2960748 info@studiopesci.it

Inaugurazione venerdì 13 luglio ore 19

kunst Merano arte
Portici 163 - 39012 Merano
Orari Da martedì a domenica 10.00 – 18.00
Ingresso: Intero € 4,50 - Ridotto (Anziani, studenti, gruppi) € 3,00
Visite guidate: € 2,00 (solo su prenotazione)

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