Pelle di Juta. L'artista sceglie per le sue opere una fibra tessile grezza e ruvida e vi interviene con apporti basici, essenziali, ottenendo risultati di particolare tensione emotiva. Traspone la sua pelle ed il suo modo di sentire in una epidermide altra. A cura di Maria Grazia Taddeo.
Pelle di Juta
A cura di Maria Grazia Taddeo
Martina Franca (Ta), “La luna di Glifada”
L’atelier d’arte contemporanea “La luna di Glifada”, su iniziativa dell’artista Alfredo Quaranta, presenta “Pelle di Juta” personale di Lea Caputo, a cura di Maria Grazia Taddeo. “La luna di Glifada”, attraverso l’invito ad artisti esordienti, emergenti ed affermati, intende proporsi come laboratorio sperimentale al fine di diventare punto di riferimento per la promozione dell’arte contemporanea in ambito jonico. Il progetto prende il via ospitando la mostra di Lea Caputo, giovane artista barese, che esporrà per tale occasione i lavori del ciclo “Ritorno alla juta”.
I lavori di Lea Caputo sono squarci su un intimistico sentire. Lea sceglie per le sue opere una fibra tessile grezza e ruvida e vi interviene con apporti basici, essenziali, ottenendo risultati di particolare tensione emotiva. Traspone la sua pelle ed il suo modo di sentire in una epidermide altra. Sceglie la juta: una pelle ruvida, secca e screpolata ed evidenzia tali peculiarità con sfondi monocromi. Il nero. Un nero bituminoso e pesante che opprime la trama, ne riempie i pori e la soffoca. I neutri. Juta naturale come pelle nuda; preparazioni seminaturali come paesaggi aridi e desolati. La Caputo sottolinea il disagio e “il male di vivere” intervenendo sulla superficie con ulteriori asperità: cuciture riuniscono tagli, ma simili a cicatrici, lasciano inevitabili segni di slabbrature, di dolori sofferti. Suture quasi costantemente presenti a delineare un limite imponderabile, una zona di confine dove l’inquietudine guida i passi ed invita a procedere con cautela di fronte alla duplice possibilità di essere inghiottiti dal nero o di trovarsi spaesati fuori da esso.
La juta; un’epidermide traslata che porta su di se tracce di conflitti ma anche di contraddizioni. Intimo rifugio che isola da un esterno estraneo e distante, ed al contempo identità faticosa e costrittiva. Un dentro che necessita del fuori, e si svela “anacronisticamente”, quasi con disperazione, uscendo dai propri confini e ricorrendo ad un mezzo strappato ad altra identità. La parola. Fattore che irrompe sulla trama come elemento di rottura di un equilibrio solo momentaneamente stabile. Pochi vocaboli, taciturni testimoni di una intima ed introspettiva condizione dell’essere, a volte solo monosillabi, altre volte ossessivamente ripetuti come una ritmica cantilena (“Sipario”), danno flebile voce a silenzi catramosi che si squarciano in urlanti abissi.
A volte Lea ricorre all’uso del rosso, un pigmento puro e squillante che spiazza e confonde, lo usa come una ribellione, una non accettazione; ricorre alla sua forza penetrante e vitale per far gridare il nero.
Segnali che sono la punta di un iceberg, o la chiave d’accesso per un altro aspetto esistenziale trattato dalla giovane artista: la solitudine. Una solitudine complessa e sfaccettata, a volte amica, altre nemica. La propria dimensione più profonda e nascosta; e, d’altro canto, la solitudine e l’isolamento reale di ogni singolo individuo di fronte alla propria esistenza; ed ancora, la solitudine creativa di chi fa arte e nel proprio operare avverte la necessità impellente, dispotica e rischiosa di farsi tramite per rendere universali, percorsi vissuti attraverso la lente di una sensibilità non comune.
Galleria d'arte ''La luna di Glifada''
via Michele Perla, 7 - Martina Franca (TA)
Ingresso libero