Collettiva di 4 giovani artisti che si esprimono attraverso diverse tencniche e diversi materiali: Nico Pellilli, Angela Caposiena, Adolfo Pretorino, Pino Caruso.
A cura di Antonio Picariello
Quattro giovani artisti che ci insegnano il nuovo modello da osservare per comprendere il senso espressivo della fecondità dell’arte. Nico Pellilli - Angela Caposiena - Adolfo Pretorino - Pino Caruso hanno in comune una metodologia della visione e in differenza una maniera di porre il linguaggio della visone che conclude in collettività e genera una sorta di visione globale, uniforme nell’insieme, dettando le particolarità delle differenze a modello di codice sottile, sensibile alle percezioni, cui gli artisti si affidano per propria maniera produttiva. Vediamo. Nico Pellilli, Termoli 1976, sente il silenzio dei materiali di uso comune come le matite care nella loro capricciosa esistenza a chi adopera gesti manuali per tracciare idee sulla carta, segni che esprimono l’inconscio, progetti che rivivranno nelle opere architettoniche o nelle menti dei matematici sottoforma di pensiero astratto.
Seguono come eserciti potenti estratti dal gioco ludico dell’infanzia altri oggetti, altre forme che hanno arredato il fantastico primitivo, l’archetipo in cui a volte, ad ascoltarli, si sente il riposo degli angeli che custodiscono il mondo percettibile esclusivamente alle sensitività dei bambini. liquirizie, caramelle, detersivi, dischi, diventano oggetti d’assemblaggio dando maniera e modo a quel magico pensiero dadaista che formattò, a suo tempo, come tavole del Sinai, di riarredare il mondo dell’arte e il pensiero estetico. Segue la musa delle musica che nella primitiva tecnica riproduttiva del vinile esordisce nel visivo eccitando gli esperti dell’ascolto nella dirompenza sensoriale quasi a dare un colpo magico al surrealismo e al concettuale rendendoli cognitivismi tattili carichi di passionalità riportata dalla memoria soggettiva e intima.
Diverso il nuovo manierismo figurativo di Adolfo Pretorino Termoli 1977, che dalla scuola bolognese estrae l’esperienza dei mattoni rossi e la visione medievale in cui passarono figure estreme e salutari come Erasmo da Rotterdam tra i primi a comprendere il medianismo dell’immagine e del ritratto e Antonello da Messina che nelle opere di questo giovane artista ritrova una sua collocazione contemporanea prima passando nelle molecole degli intonaci attraverso la pratica dei murales poi insediandosi come dannazione ad olio sulle tessiture delle tele. Voce giovane ma anche inquietante che riporta la testimonianza diretta del mondo incastonato sensibilmente nelle nuove generazioni: In questo momento le prospettive dell’umanità sono straordinariamente cupe. È molto probabile che essa stia per commettere, con le armi che possiede, un suicidio rapido ma tutt’altro che indolore. Ma anche se questo non dovesse succedere, essa tuttavia è minacciata dal declino graduale di tutte le qualità e le doti che fanno dell’uomo un essere umano. Molti filosofi se ne sono resi conto e la consapevolezza che la distruzione dell’ambiente e la decadenza della civiltà vanno di pari passo è scritta in molti libri. Tuttavia, pochi considerano come una “malattia” il declino delle qualità umane dell’uomo e pochi cercano di individuare le cause di questa “malattia” e i possibili rimedi.
Il declino dell’uomo va di pari passo con la mia idea di lavoro, che ha lo scopo di indagare con profonda motivazione, attraverso i connotati più evidenti del volto umano, su una “malattia” che affligge inevitabilmente la vita di tutti noi. L’indagine artistica è rivolta alle persone che mi circondano, un insieme di cartine tornasole tinte di rosso e di nero , che determinano lo stato di indifferenza, di insicurezza e di egoismo in cui esisto”. Angela Caposiena 1978, di controcanto vivifica l’ambiente percettivo urbinate. Dall’Accademia delle Belle Arti di Urbino sviluppa il senso della città verticale e magnetica in cui il passaggio del sapere entrava direttamente nei tessuti dominati dei casati e le opere d’arte divenivano pensiero comune da ridistribuire nelle forme e nei comportamenti. Non a caso le installazioni assumo sottesa alla percezione, il carattere femminile della città che da tradizione medievale si trasforma in impatto dialettico con l’architettura novecentesca delle metropoli. Grattacieli evocanti il passaggio anche nel terzo millennio diventano luoghi del pensiero e contenitori di umanità in cui gli oggetti deposti come messaggi subliminali per l’anima del passante traducono il senso dell’offerta nel piacere di essere dono.
Così l’oppressione contemporanea distribuita dalla molteplicità delle folle o dai linguaggi asettici della massa si diluisce in senso umanitario, relazionale ad uno ad uno come gli sguardi antichi nelle prospettive delle piazze, gli scambi amichevole e cortesi dei saluti abolendo la dispersione, a volte la disperazione comune, sottesa all’indifferenza dei luoghi pubblici come supermercati e città al alta densità demografica. Pino Caruso, 1973, trova il suo modello espressivo sondando la materia “forte”, la pietra o il marmo rilevando la forma occulta tracciata dalla “natura casuale” nel corpo dei minerali. È così un artista investigatore di organismi impossibili, abitanti di estensioni spaziali dove la conduzione esistenziale oltraggia all’estremo la fisica e la chimica cui ci ha abituato da sempre il nostro sistema planetario. Iniziato dalla metodologia scultorea del suo maestro, lo scultore Pasquale Napoli, unisce passione esperienza e ascolto per l’offerta delle forme grezze estraendole, con michelangiolesco principio, testimoniato dai “prigioni”, dalla quiete della morbidezza e dalla endogena sinuosità per renderle opere tridimensionali evocanti un riconoscimento biologico delegato però, come per i bestiari medievali, ad assumere le sembianze di esseri inesistenti, fantastici o appartenenti al mondo dell’immaginario.
Una dimensione del simbolico o di un inconscio collettivo contemporaneo che la storia dell’arte ha già attraversato, forse, al tempo del gotico, nei grifoni e altri ibridi pietrificati, impiantati sulle facciate delle cattedrali trecentesche. Qui questi strani esseri di pietra ritrovano un’ evocazione ambientale, vivono in un ipotetico apparato spaziale conformandosi, come potrebbe accadere per una dimensione cosmo-biologica, all’adattamento della condizione di vita data o semplicemente sognata. Si tratta dunque non solo di forme scultoree, ma di veri tracciati narrativi dove il racconto della forma assume tutti gli aspetti dovuti della composizione letteraria di genere fantastico, ma anche, per tipologia strutturale, al romanzo fantascientifico. Ecco così conclusa una tetralogia di arte giovane che nell’insieme indica nuovi percorsi espressivi, istruiti da un’ osservazione multipla, testimoniata da una comunanza rilevatrice di principi distribuiti uniformemente in ironia, gioco e realtà contratti in unico corpo generazionale che indica un nuovo modello dell’arte che ci stimola a capire i piani della conoscenza e delle avvertibili future interazioni con il nuovo mondo che ci tocca vivere.
Inaugurazione sabato 17 gennaio ore 18
con performance di percussioni etniche dei musicisti Pagano Luigi, Mirko De Filippo e Pino Caruso
Archetyp’Art Gallery
Via Marconi, 2 Termoli
Orario di apertura: ore 18/20 tutti i giorni compreso festivi
ingresso libero