Contrazioni del bianco. "Nelle sue opere incontriamo paesaggi urbani piu' o meno conosciuti e frequentati - parte di una memoria collettiva condivisa e quotidiana di periferie, fabbriche, macchine da lavoro" (M. Galbiati).
testo critico di Matteo Galbiati
''Gli artisti scelgono, assecondando spesso una peculiare vocazione alla materia, una tecnica precisa che, assunta poi come linguaggio individuale determinante e riconoscibile, viene legata indelebilmente alla loro personale ricerca. Sovente poi tale concentrazione diventa a tal punto specifica da far necessitare una radicalità ulteriore che non lascia loro altra strada se non quella di assottigliare anche l’uso dei mezzi e degli strumenti a disposizione. Un rigore che parrebbe essere vincolante e limitante ma che diventa per loro un infinito spazio di affermazione della poetica. Tra questi Giorgio Celon è esempio significativo: sceglie la figurazione, pratica la pittura, si limita al solo colore bianco.
Nelle sue opere incontriamo paesaggi urbani più o meno conosciuti e frequentati – comunque parte di una memoria collettiva condivisa e quotidiana di periferie, fabbriche, capannoni, città, macchine da lavoro, viadotti, semplici case, … – luoghi solitari e silenziosi di cui Celon riduce le presenze: nell’opera annulla la partecipazione del loro artefice primario lasciando scorrere via la presenza dell’uomo, poi li spoglia anche della rumorosità e delle frenetiche attività che li contraddistinguono. In scorci particolari mai banali – frutto di un’attenta ricognizione in loco e conseguenti ad un’analisi fotografica specifica – rende unicamente protagonista l’ambientazione, il paesaggio apparentemente congelato nel tempo.
In realtà il tempo non è mai fermato interamente: è rallentato e disciolto in piccole frequenze impercettibili di storia. Una contrazione-dilatazione temporale che Celon, insistendo sulla labilità della pittura di quelle situazioni, umane o umanizzate, vissute o abbandonate, svuotate del loro assente protagonista, fissa in un unico colore che pare volerle manifestare e al contempo annullare nella trasparenza. I suoi dipinti diventano visioni celate nella dimensione del ricordo; ovattate di silenzio, paiono emergere, e al contempo sparire annegando nella stessa luce che, vibrando sulle corde del bianco, le offre ai nostri sguardi.
La sua pittura non si limita allora ad essere l’espressione di una temporalità trascorsa, ma di un’altra, fuori ritmo, che segue un ciclo proprio e autonomo: sono gli attimi del luogo e della storia che in quei paesaggi vi si racchiudono, ma che si svelano-rivelano pure nelle altrui esperienze. L’uomo, prima allontanato, reso forse più attento e misurato da questa pittura, vi ritorna nel ruolo di spettatore e interprete individuale ed intimo.
In un clima singolare, condensandoli nel bianco, variato con una stesura da amanuense, Giorgio Celon, senza venir meno al rinnovarsi continuo della propria poesia e fugando ogni ripetitività stancamente reiterata, dà vigore all’occhio e alla sua capacità di cogliere. Cerca le piccole discontinuità, le deformità, certe irregolarità, insegue una velata e voluta imprecisione: l’inesatta incertezza che sempre avvolge qualsiasi atto del ricordare. Mentale così come pittorico. Su tutto domina un silenzio enigmatico, che in metafore e suggestioni continue avvolge le opere e, forse nella realtà, anche quei luoghi che qui sono raffigurati.''
[Testo critico critico di Matteo Galbiati - Febbraio 2009]
Galleria Scoglio di Quarto
via Ascanio Sforza, 3 - Milano
Orario: Da martedì a venerdì dalle 17.00 alle 19.30
Ingresso libero