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ArtSEEN Journal (2006-2007) Anno 2 Numero 5 primavera 2007



Francis Alÿs

Andrew Smaldone





ArtSEEN 5 – Spring ‘07

Content:

Introduction – mail by gordana bezanov

Re-terzo paradiso – mail from clara galeazzi

Radioartemobile e il soundartmuseum – by felix monguilot-benzal

Francis Alÿs – by andrew j smaldone

Il Custode del Tempo – by neil stewart

Così Wien – by gordana bezanov

Testimone – by justin randolph thompson

Intervista con brigitte niedermaier – by denis isaia

Mercato/Standard – by stefano loria
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Francis Alÿs
still from When Faith Moves Mountains, 2002, video
courtesy of David Zwirner, New York

I proverbi sono di un tale fascino, dovuto a quella misteriosa qualità per la quale, mentre sembrano di essere una cosa in realtà sono un’altra.
Jacob Cats
‘Mirror of the Old and New Time’ 1627

Mi ricordo di guardare il video intitolato Zócalo, México D.F. May 20, 1999 dell’artista belga Francis Alÿs in collaborazione con Rafael Ortega in una giornata grigia a Londra mentre visitavo il Tate Modern qualche anno fa. Non c’era nulla di spettacolare in quest’opera che seguiva il movimento dell’ombra dell’asta della bandiera nella piazza principale di Città del Messico nell’arco di dodici ore. La banalità del video comunque mi ha attratto e ho continuato per un po’ di tempo a osservare le piccole persone che come formiche camminavano su e giù per la loro strada in questa piazza soleggiata.

Un aspetto importante che caratterizza gran parte del lavoro dell'artista è camminare. Prendete per esempio le opere The Winner/The Loser (1995), dove l’atista ha camminato da un punto di Stoccolma all’altro, indossando un maglione che si disfaceva mentre lui passeggThe Leak (1996) e poi la rimessa in scena di questa performance nel (2005) dove ha attraversato Sao Paulo e in seguito Gerusalemme mentre la vernice (blu a San Paulo, verde a Gerusalemme) gocciolava lentamente sul suolo. Due performance in diversi luoghi del mondo dove Alÿs lascia la traccia del sentiero che ha seguito. L’atto si riferisce ad una varietà di cose, ma è curioso pensarci come ad un disegno, è un modo di richiamare le memorie di coloro che ci hanno preceduto. La linea visibile creata dal maglione e dalla vernice blu/verde funziona in maniera simile ai murali narrativi ma senza una chiara narrativa o con un simile significato.

Ogni tanto però l’artista crea dei quadri nel senso più tradizionale. Negli anni ’90 ha collaborato con i pittori di insegne Messicani (Città di Messico è il suo luogo adottivo) per creare centinaia d’immagini. Queste immagini richiamano il maschio ben vestito spesso visto nei quadri di Magritte. Le figure sono di solito impegnate in attività mondane come essere seduti ad un tavolo, o camminare per la strada. A intervalli si teneva una mostra di questi quadri di piccole e medie dimensioni, e a volte si potevano vedere tutti i lavori posizionati in fila sopra una mensola, forse per non dare preferenza a nessun quadro in particolare. L’istallazione di dipinti figurativi, dunque, assomiglia al concetto più astratto delle sue passeggiate traccianti ma avevano un soggetto con il quale la gente poteva identificarsi.

Ciò che è piuttosto illuminante a proposito della collaborazione di Alÿs con i pittori d’insegne, è che la pittura d’insegne viene ancora praticata in Messico (come in tanti altri paesi), laddove negli USA e in Europa è diventato un mestiere poco pratico e perfino obsoleto. La pittura commerciale in Messico non ha mai completamente ceduto il suo posto a favore della tecnologia digitale ne alle tecniche di pubblicità high tech. E altrettanto curioso prendere in considerazione che il pittore d’insegne nella Città di Messico molto probabilmente non si preoccupa della sua posizione come artista o almeno non è uno che deve preoccuparsi della validità del suo esercizio in confronto con il gruppo di intellettuali ed artisti di New York, Londra o Russia che hanno dichiarato la morte della pittura. Non sorprende che il pittore d’insegne messicano faccia letteralmente il suo lavoro. L’idea di Alÿs di appropriarsi della pratica della pittura d’insegne in questo contesto o in quello del “terzo mondo” per poi presentarla come “arte” al “primo mondo” o alle sfumature del mondo dell’arte e così facendo cambia l’atto Duchampiano (chi per primo ha assunto un pittore d’insegne per la sua opera Tu M’ 1918) senza perdere niente dell’inclinazione di Marcel per il gesto ironico…………..
Diventiamo consapevoli che il contesto ha davvero un grande effetto su come leggiamo le attività e gli esercizi: ritenuti inutili e irrilevanti in un posto, prendono un nuovo significato in un altro.


Ma se Alÿs ha fatto questo essendo consapevole o meno, non è ora rilevante vista la sincerità dei suoi gesti che tinge su tutta la sua opera. La sua ironia ha l’aria di essere spontanea. I suoi gesti e le sue passeggiate ci mostrano aspetti delle nostre città e le nostre vite quotidiane che troppo spesso rimangono inosservate. Una delle mie opere preferite è stata organizzata insieme a Cuauthèmoc Medina e Rafael Ortega è intitolata When Faith Can Move Mountains, dimostra il desiderio dell’artista di voler ispirare la speranza attraverso l’atto creativo, o in questo caso l’azione. Circa 500 volontari si sono riuniti formando una fila sopra una duna fuori Lima, l’11 Aprile 2002. Hanno poi letteralmente mosso la duna anche se solo di pochi centimetri. L’atto è chiaramente ispirato nell’avere risonanze metaforiche sulla comunità, ma io credo che punta anche alle questioni in relazione alla praticità del nostro pensiero quotidiano - il rapporto della causa ed effetto che ci lega alle nostre più intime e banali attività. Siamo capaci di partecipare in atti che sono assurdi o anche senza scopo per il benessere generale, o tutte le nostre azioni debbono per forza essere calcolate per produrre un risultato finale dove qualcosa di tangibile viene costruito?

Alÿs non ci fornisce mai completamente una risposta, ma ci mostra un’occhiata di sfuggita agli alti e bassi che ci possono capitare mentre veniamo faccia a faccia ogni giorno con la certezza dell’ignoto. Il risultato come sempre è che tocca a noi sperimentare il resto.