Espoarte Anno 9 Numero 53 giugno-luglio 2008
Intervista
Una recente antologica a Palazzo Mediceo di Seravezza ha celebrato la genialità di uno sguardo, quello di Erwin Olaf, che ha inteso affermare i propri contenuti legandoli ad una forma e ad un’eleganza inconfondibile.
Dagli anni ’80 ad oggi la sua ricerca ha attraversato i territori dell’immagine in relazione alle dinamiche tra gli individui, scegliendo di farne emergere le latenze nascoste e la carica visuale più forte e sconvolgente, anche quando il campo di appartenenza sembra essere quello dell’universo misurato e controllato delle serie più recenti. In lui, metafora, mito, realtà e sogno sembrano unirsi in un linguaggio che da sempre è stato capace di una maturità profonda e intrinsecamente motivata. La sua ultima serie, Fall, costituisce l’acme di una ricerca sulla bellezza che, qui, sembra aver trovato il lirismo assoluto della più sottile raffinatezza, e che già negli esempi precedenti di Grief, Rain e Hope stava prendendo le forme di questo silenzioso e algido ideale di grazia.
Elena Forin: C’è un profondo senso di solitudine in Grief, Rain e Hope. Come sei arrivato a questa visione?
Erwin Olaf: Spesso, quando si comincia un progetto, non si sa dove in realtà si andrà a finire. Quando ho cominciato a lavorare su Rain ero molto felice, poi durante le fasi del lavoro è cambiato qualcosa e le mie necessità sono diventate altre. Uno dei punti di partenza è stato il lavoro di artisti come Hopper, unito alla riflessione sulla realtà americana dopo l’11 settembre, specialmente in relazione al fastidio che provo per certe forme e atteggiamenti, che si sono diffusi in seguito a quei fatti. Volevo una sorta di celebrazione, centrata sulla libertà con cui affrontare le cose, poi però mi sono accorto che a certe azioni e a certe scelte corrispondevano reazioni completamente inaspettate che hanno portato a questo.
In Grief, Rain e Hope l’ambientazione è molto pulita anche se estremamente connotata in ogni minimo dettaglio. In Separation, l’atmosfera buia e l’abbondanza di particolari dà un senso reale di asfissia. Paradise/the club è un colorato carnevale in cui felicità e disinibizione rivelano un’attitudine verso il loro stesso contrario. Come si è articolata la relazione tra immagine, contenuto e contesto nel corso degli anni?
Paradise/the club è stata una serie importante perché ha segnato il punto di partenza per Grief. Si tratta di una riflessione che nasce dalla forza di certi sentimenti: le aspettative, la volontà di divertimento e la necessità di muoversi e partecipare alle volte hanno per conseguenza un enorme carico di solitudine e tristezza. Avevo sviluppato il tema della malvagità nelle forme di un attacco all’innocenza tramite la metafora del clown contrapposto alle figure femminili che invece richiamano il bene.
In Separation, all’inizio ero stato mosso dalla fascinazione per il lattice, poi il particolare legame relazionale tra i personaggi l’ha resa una serie davvero importante e necessaria, tanto per il mio percorso di artista quanto per quello di uomo. Separation è stato il mio ultimo saluto alla solitudine e all’amarezza dell’infanzia e dell’adolescenza. Quando ho cominciato Rain, Hope e Grief, l’idea di potermi dedicare maggiormente ad una cronaca della mia vita, senza questo peso e senza più necessità di intrattenere o convincere (penso anche a lavori come Royal Blood), ha determinato quella felicità di cui ho parlato prima. In realtà non sapevo bene dove sarei approdato, ma ero soddisfatto di potermi trovare maggiormente a mio agio in questa nuova dimensione.
Fashion Victims e Mature sono l’emblema del contrasto che la nostra epoca ha creato tra il potere dell’immagine e la concreta realtà. Mind of their own ne offre uno sguardo in qualche modo capovolto…
Mind of their own ha chiuso il periodo in cui i miei interessi andavano alle minoranze e alle persone non belle. In quel caso, si trattava di un contributo al tema della tolleranza in riferimento ai disagi mentali, scegliendo però come punto di vista proprio quello del disagio.
Con Mature, invece, posso dire di essermi maggiormente avvicinato al tema della bellezza, cui mi sono successivamente dedicato. Avevo, infatti, compreso di dovermi sdoganare dall’essere considerato un reporter della sfera del bizzarro.
I Blacks rivelano una raffinata consapevolezza artistica, mentre Royal Blood un’idea precisa sul valore dei miti e dei simboli. Qual è il tuo rapporto con la storia?
Credo che sia importante guardare al passato e sicuramente certa pittura mi ha molto ispirato, ad esempio quella spagnola, che credo davvero di aver assorbito. Penso di avere un buon dialogo con la storia, se non altro perché sono convinto che ciascuno di noi, più che fare qualcosa di veramente nuovo, possa aggiungere semplicemente delle piccole fette di esperienza a questo percorso.
Gli avvenimenti più recenti, dalla seconda guerra mondiale fino al passato più immediato, sono stati fondamentali per la mia riflessione sulla crudeltà e sulla necessità di dover scegliere tra bene e male. In questo senso, i fatti accaduti da poco qui ad Amsterdam, una piccola città dove persone e religioni molto differenti convivono, mi fanno pensare al futuro con una certa preoccupazione, se non altro perché il rispetto per la vita viene confuso con molte altre sciocchezze. Ciò che ho imparato finora è che la gente può essere veramente crudele, e se lo può essere la gente lo posso essere anche io…
Hai lavorato anche nel campo della pubblicità con alcuni progetti specifici (Nokia, Diesel, Heineken, ecc...). Qual è la differenza tra queste foto e le altre?
Sostanzialmente la differenza sta nel fatto che in questo caso ho un prodotto, cosa che normalmente in arte non accade: ho delle sensazioni e delle necessità che poi metto alla prova durante la fase di crescita del lavoro. Il miglior progetto pubblicitario che ho realizzato è stato per la Lavazza. Mi era stata data assoluta libertà, e io ironicamente ho detto: «perché non tiriamo via la tazzina di caffè dall’immagine?». Questo certamente non era quello che voleva il cliente…ecco qual è la differenza tra la mia ricerca e un lavoro commissionato dall’esterno.
Al Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia hai presentato la nuova serie Fall. Vuoi parlarcene?
Grief mi aveva molto assorbito e non sapevo come reagire. Stavo cercando qualcosa di nuovo e quando a novembre, dopo aver terminato Grief ad aprile, cominciai a chiamare le modelle per iniziare a studiare le pose, mi resi conto di sentirmi veramente molto a disagio all’idea di ripetere. Guardai le foto e reagii con delusione e disappunto. Poi però mi accorsi di una foto in cui gli occhi erano mezzi chiusi: quello del battito degli occhi è uno dei momenti più rapidi e brevi, e ne fui davvero intrigato. Così cominciai a pensare ad un lavoro che unisse la mia ricerca sulla bellezza all’idea della natura morta, cercando un risultato in cui le emozioni potessero venir meno il più possibile. In Grief c’era così tanta tristezza che dopo aver compreso e assorbito il successo di quella serie, ho deciso di mostrare qualcosa in cui non si possono scorgere emozioni.
Erwin Olaf è nato a Hilversum (The Netherlands) nel 1959. Vive e lavora ad Amsterdam.
Mostre personali recenti:
2008 - Erwin Olaf, Festival di Fotografia Europea, Palazzo Motti, Reggio Emilia
2007 - Erwin Olaf, Seravezza Fotografia, Palazzo Mediceo, Seravezza
- Elegance and perversity, Shoalhaven City Arts Centre, Australia, travelling through australia since 2005
- Rain, Hope and Grief, m + b gallery, Los Angeles
- Grief, Hasted Hunt Gallery, New York, 2005; Grief, Reflex Modern Art Gallery, Amsterdam; Le dernier cri, Galerie Rabouan-Moussion, Parigi
2005 - Fashion & style in photography, Museum of Modern Art, Mosca; Imitation of life, GAM Bologna/gender bender; Hope, Flatland Gallery, Amsterdam; Moving targets, montevideo, Dutch media arts institute, Amsterdam
Mostre collettive recenti:
2007 - Dangerous beauty, Chelsea Art Museum, New York
- The constructed image, Museum of Contemporary Canadian Art (MOCCA), Toronto
2006 - L'esprit du nord/spirit of the nord, Maison Européenne de Photographique, Parigi 2005 - Baroque and neo baroque/the hell of the beautiful, DA2 Salamanca, Salamanca
- Going dutch, Museum of New Art, Pontiac, USA
Gallerie di riferimento:
Art Statements Gallery, Hong Kong
BnD TomasoRenoldiBracco ContemporaryArtVision
Flatland gallery, Utrecht
Galeria Espacio Minimo, Madrid
Galerie Rabouan Moussion, Parigi
Hasted Hunt Gallery, New York