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Millepiani Anno 15 Numero 34 ottobre 2008



Cittadinanza radicale nella repubblica della tecnologia

Darin Barney

Mezzi, oggetti e contesto



Filosofia, estetica e politica


SOMMARIO millepiani 34

• Premessa p. 5

• Manuel Castells
La città dell’informazione p. 7

• Alfred Sohn-Rethel
La scienza come coscienza alienata p. 23

• Darin Barney
Cittadinanza radicale
nella repubblica della tecnologia p. 33

• Davide Calenda
L’individualizzazione del controllo p. 43

• Ubaldo Fadini
Fuori dal mondo p. 58

• Tiziana Villani
La terra del rimosso
nel tempo della violenza estetica p. 75

• Nicola Lonzi
Per un’antropologia del desiderio p. 89

• Stefano Berni
Biopolitica e natura umana
in Michel Foucault p. 107

• Saverio Caponi
Il cristallo e la zecca p. 117

• Silvia Zambrini
Lo spazio neutro p. 131

sezione gilles deleuze

• Paolo Vignola
L’animale che dunque dipinge p. 143
• Andrea Cagioni
Intensità e desiderio p. 161

Artefacts

• Francesco Galluzzi
.za Giovane arte dal Sudafrica p. 175

• Recensioni & schede di lettura p. 177
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La tecnologia è legata alla cittadinanza in tre modi: come il mezzo, l’oggetto e il contesto del giudizio politico. Internet e le connesse tecnologie digitali di informazione e comunicazione sono un’attraente esempio di questa relazione tripartita.
Come mezzo di cittadinanza, le tecnologie – specialmente quelle della comunicazione – possono essere usate per mediare le pratiche di giudizio in una varietà di modi. Mentre può essere fuorviante suggerire che la gran parte delle cose che succedono online sono motivate da, o direttamente per, espliciti fini politici, o che la democrazia politica è tutto ciò con cui Internet ha a che fare, è innegabile che questo medium è diventato un importante strumento per coloro che sono inclini al giudizio politico o all’azione politica in una forma o nell’altra. Sia che si tratti della politica convenzionale dei leader ufficiali, governi, elezioni e partiti, o la politica marginale dell’opposizione, resistenza, solidarietà e riforma, Internet è oggi un mezzo normale della partecipazione politica per molti cittadini. I modi di partecipazione mediata da questo mezzo sono genuinamente diversi. Essi includono la produzione, distribuzione e consumo dell’informazione politica; mediazione della discussione politica, del dibattito e della deliberazione; organizzazione, mobilitazione e pubblicizzazione dell’azione politica offline; nuova tattica all’interno di uno spazio di azione creato dal medium stesso (per esempio, attacchi e azioni di disturbo elettronico motivati politicamente). L’ampio repertorio di azione facilitato da questo medium ha, si potrebbe dire, sottolineato la necessità di modi di riconoscimento del giudizio politico praticato oltre il coinvolgimento di un linguaggio razionale nel contesto delle istituzioni e regole delle democrazie liberali convenzionali.

Tuttavia, una concezione radicale della cittadinanza non può essere solo intesa come modo diverso di coinvolgimento nel giudizio politico, ma deve riferirsi anche alla sostanza contro cui il giudizio si rivolge. I cittadini, specialmente quelli marginalizzati, hanno da sempre capitalizzato la possibilità di usare i nuovi media in modi creativi. Ma Internet come novità, o la possibilità di mediazione di una vasto spettro di modi di giudizio politico perpetuabili con questo medium, non sono condizioni sufficienti per poter parlare di cittadinanza radicale all’interno del vasto contesto tecnologico in cui la cittadinanza è oggi situata.

In altre parole, una tecnologia come Internet rimanda non solo ad un medium attraverso cui possiamo coinvolgerci nella pratica del giudizio politico inerente interessi comuni o come mezzo per perseguire tali interessi; essa è anche un artefatto o sistema che costituisce fini e mezzi in relazione ai quali possiamo ragionevolmente aspettarci di esercitare il giudizio politico.
Questo equivale a dire che Internet è esso stesso un oggetto di giudizio politico o almeno dovrebbe esserlo. In un mondo sociale in cui la tecnologia è spesso vista come se apparisse magicamente da dietro le tende, e producesse risultati non discutibili, sembra altrettanto fantastico suggerire che la tecnologia rappresenti propriamente un oggetto di cittadinanza, ma questo è precisamente quello che la migliore critica democratica alla tecnologia dovrebbe suggerire: la tecnologia è “come una legislazione” (Freenberg, 1999, p.131); che ‘un artefatto contiene la politica’ (Winner, 1986, p.19); che “il codice è legge” (Lessig, 1999, p.3). La tecnologia è propriamente un oggetto di cittadinanza perché intimamente compresa nella creazione e implementazione del sistema di divieti e permessi, della distruzione di potere e di risorse e della struttura delle pratiche e delle relazioni umane. In breve, la dimensione della giustizia è in gioco nel disegno, sviluppo, regolazione e governance degli apparati e sistemi tecnologici, e questo sposta la riflessione dal piano tecnico a quello politico, porta a discutere di quello che Latour (2005, p.14) ha recentemente chiamato “democrazia orientata all’oggetto”. Anche qui, Internet rappresenta un caso-studio eccellente: se prendiamo il tema della giustizia, che richiede una considerazione politica, come dovremmo definire questioni come l’accesso e la connettività, protocolli, regolazione di domini e reti, proprietà intellettuale e sorveglianza elettronica? Al di là dell’esistenza di attivisti fortemente mobilitati intorno a tali questioni, gli aspetti del disegno, sviluppo e regolazione di Internet sono stati lasciati più o meno ai margini della determinazione politica democratica formale, sono stati cioè lasciati agli interessi privati degli scienziati, ingegneri, militari e agenzie di polizia, major corporations, tecnocrati e consumatori, un tendenza tipica di quasi tutti gli sviluppi tecnologici.

È in questo senso che la depoliticizzazione formale della tecnologica deve essere annoverata tra i più seri deficit democratici della presente epoca. Gli studi sociali della tecnologia ci hanno insegnato che il significato e il carattere distintivo delle tecnologie sono il risultato di un lungo e non lineare processo di negoziazione, appropriazione e adattamento che coinvolge molteplici attori (Bijker et al. 1992). Questi momenti dischiudono opportunità per l’esercizio del giudizio, incluso il giudizio politico, in diversi livelli e in varie forme. E’ sotto questa rubrica che possiamo considerare la distribuzione illecita della crittografia e le tecnologie ‘di anonimato’, l’uso dei network peer-to-peer per la condivisione dei file e la circolazione delle risorse software libere e open come atti di giudizio politico.
La cittadinanza radicale in un contesto tecnologico sembra richiedere quindi che le tecnologie come Internet possano essere approcciate come oggetti di giudizio politico, sia sistematicamente via istituzionali formali, sia accidentalmente, nel processo di costruzione sociale che contribuisce a generarle e svilupparle. Ottenere questo significherebbe fare un passo importante nella direzione che potremmo chiamare radicale, nella misura in cui questo richiederebbe una ristrutturazione significativa di relazioni ben consolidate tra scienza, tecnologia, capitale e stato, e una corrispondente redistribuzione del potere politico, sociale ed economico.
Comunque non è chiaro se un semplice assoggettamento dello sviluppo tecnologico al giudizio politico dei cittadini possa generare un svolta radicale nel senso di aprire la strada al giudizio (e ai cittadini) alla rivendicazione etica sulla tecnologia come un fine che definisce il ‘bene della vita’.
È possibile che i cittadini si pongano tale questione quando sono coinvolti in un giudizio su una controversia tecnologica - p.e. sul fatto che lo stato debba o possa avere accesso ai dati posseduti dagli Internet providers – ma non è necessariamente così. Una persona non ha bisogno di contestare la tecnologica di cui dispone per fare una battaglia contro l’ingiusta direzione imposta su di lui da aziende come Microsoft, AT&T, Verizon e il Pentagono. È più probabile che i cittadini siano coinvolti in queste contestazioni per via di un impegno che non sfida le basi etiche della tecnologia. Infatti, è plausibile che l’imperativo di assoggettare la tecnologia al giudizio politico, in una sfera morale, nasca dallo stesso impegno etico che si ha verso la padronanza, la capacità, che guida l’impresa tecnologica stessa. È forse quello che Heidegger (1977) aveva in mente quando osservava, infaustamente, che tutti i tentativi di controllo della tecnologia con mezzi democratici sono essi stessi comportamenti tecnologici.

Eclissi della cittadinanza
Durante gli anni novanta, quando i governi delle democrazie liberali intorno al globo dichiararono l’imperativo di costruire le infrastrutture di rete digitali nazionali e globali, stavano ponendo la questione in termini di buona vita.1 Quando AT&T vende i suoi servizi di banda larga con la promessa ‘Your World. Delivered’ [Il tuo mondo. Consegnato], sta affermando un’idea di buona vita. E quando gli attivisti progressisti denunciano il divario digitale, non stanno solo esprimendo un giudizio politico sull’ingiusto e ineguale accesso a importanti strumenti e risorse, essi stanno anche rivendicando, o almeno confermando, cosa sia la buona vita. (1)
Le società tecnologiche non offrono un contesto ospitale per fare i conti con l’affermazione etica sulla concezione della buona vita. La società tecnologica è satura di complessi terminali e sistemi tecnologici, è la società in cui ha luogo un perpetuo dinamismo tecnologico, è quella in cui la vita materiale ed in particolare l’economia, è intimamente legata alle attività tecnologiche; una società in cui la sicurezza, prosperità, libertà e progresso sono identificati culturalmente con lo sviluppo tecnologico; una società in cui la convenienza, gli oggetti e l’immediatezza sono altamente apprezzati; una società in cui la razionalità strumentale caratterizza la tecnologia, dove la messa in discussione dei fini è sempre sussunta alla ottimizzazione dei mezzi, penetrando le sfere non propriamente tecnologiche degli interessi e delle attività (Borgmann, 1984; Ellul, 1964; Grant, 1969; Simpson, 1995). In questo senso, le tecnologie non sono solo strumenti ma, come Winner (1986, p.12) afferma, ‘forme di vita’: “Sono tessute nella trama della vita quotidiana…In un senso importante noi diventiamo coloro che lavorano in linee di assemblaggio, che conversano al telefono, che fanno calcoli con le calcolatrici, che mangiano cibo trattato, che puliscono le case con potenti sostanze chimiche”.
È come se il modo di essere nel mondo tecnologico mitigasse altri modi di essere nel mondo, incluso la cittadinanza, specialmente quando quest’ultima è intesa come pratica di giudizio politico che coinvolge rivendicazioni etiche. Questo avviene perché il proscenio della nostra esperienza ne risulta coinvolto a pieno e si ha una eclissi sia del suo sfondo etico, sia di ogni possibile alternativa (Borgmann, 1984, pp. 48-56).
Come Lorenzo Simpson (1995, p.40) osserva, l’auto-comprensione critica richiede che la nostra esperienza “ci ponga domande sul nostro modo di essere, su come viviamo le nostre vite”. Questo è il terreno essenziale sul quale il giudizio politico circa le questioni etiche dovrebbe risiedere: “Il nostro serio ricercare una ‘buona vita’ richiede la problematizzazione delle interpretazioni preriflessive, una virtualizzazione delle questioni che essa ci pone e che devono essere inserite all’interno di uno spazio di possibili alternative… Tale dislocazione è una manifestazione della nostra libertà fuori dai pregiudizi, una libertà e una dislocazione che sono necessarie se vogliamo continuare a fare una distinzione significativa tra la ‘buona vita’ e il mero modo in cui ci capita di vedere le cose” (Simpson, 1995, p.40).
Nella società tecnologica, la risposta alla domanda di cosa è buono o come vivere è pregiudizialmente data nel profondo tessuto della sua costituzione materiale, c’è ancora poco o nessuno spazio in cui le questioni che la tecnologia ci butta addosso possono essere confrontate con alternative valide. E anche se questo spazio esiste, non è chiaro se gli abitanti della società tecnologica possano continuare ad avere a lungo a loro disposizione un vocabolario etico che non sia compreso in ciò che essi vedono nella tecnologia che li circonda.
Come Georgie Grant (1969, p. 139) ha scritto: “Tutti i linguaggi coerenti oltre quelli che servono a spronarci ad una libertà illimitata attraverso la tecnica sono stati rotti durante il cammino che ci ha portato a ciò che siamo….un bene del quale possiamo intuirne lo spossessamento”.
In questa eclissi della dimensione etica del giudizio politico, il liberalismo contemporaneo cospira con la tecnologia contro la cittadinanza radicale. Fa questo non solo lavorando con forza contro la politicizzazione delle questioni etiche, ma fornendo un racconto di buona vita che assomiglia molto al racconto offerto dalla tecnologia.
Sotto la concezione liberale, la buona vita è intesa come autonomia individuale e l’auto-realizzazione ottenuta attraverso il libero esercizio della volontà, una visione che si combina bene con le promesse di libertà, dominio, convenienza e scelta della società tecnologica. Questo è il terreno verso il quale la pratica della cittadinanza nella società tecnologica dovrebbe essere indirizzata. Per fare questo, pubblicamente, occorre sfidare il cerchio di mutuo riconoscimento fra liberalismo e tecnologia, una circolarità che è difficile da interrompere: “La più grande conquista della libertà è quella che permise l’emergere della tecnologia moderna… La più grande conquista della tecnologia fu quella che permise alla libertà di fiorire (Grant, 1974, p.3). Borgmann (1984, pp.92-94) si spinge più in là fino a proporre un’identità etica tra liberalismo e tecnologia: “La democrazia liberale è promulgata come tecnologia. Essa non lascia aperta la domanda della buona vita ma risponde lungo linee tecnologiche…quando noi promuoviamo una giusta società lungo le linee della democrazia liberale, contemporaneamente portiamo avanti la società tecnologica e le sue specifiche e dubbiose nozioni di buona vita”. Mentre nega la possibilità del giudizio politico sulle rivendicazioni etiche nella sfera pubblica, il liberalismo avanza una particolare visione della buona vita che è praticamente la solita visione offerta dalla società tecnologica. La società liberale capitalista e tecnologica deve difendere la sua rivendicazione di essere il miglior modo di vivere, perché è l’unico.
Presi insieme, tecnologia e liberalismo esprimono una sorta di sintassi entro la quale lo spazio per il giudizio politico si restringe, o per lo meno quella porzione di spazio in cui le rivendicazioni etiche inerenti la sostanza della buona vita possono essere criticamente giocate. Per tutte le sue promesse di mediare i diversi modi di coinvolgimento nel giudizio politico sulle questioni della giustizia, Internet rinforza anche le condizioni che minano la possibilità di applicare il giudizio politico alle dimensioni etiche del vivere in una società tecnologica. Nell’essere un mezzo e un oggetto di giudizio politico, Internet è parte del più ampio contesto nel quale le prospettive di una cittadinanza radicale sono situate. Esso rappresenta un modo di essere nel mondo che non porta a divenire in un mondo dove il cittadino è coinvolto con gli altri sulle questioni di cosa vuol dire vivere nelle condizioni della contemporaneità. Forse, il primo lavoro da fare per una cittadinanza radicale nell’era di Internet è reclamare lo spazio nel quale il giudizio politico può essere applicato sulle questioni etiche, e rifiutare di accettare pregiudizialmente che la domanda sulla ‘buona vita’ in mezzo alla tecnologia possa essere racchiusa nella risposta data dalla tecnologia stessa.


Note
1. Il concetto di buona vita [good life] usato da Barney si riferisce esplicitamente alla concezione aristotelica; l’autore sviluppa e delinea la sua posizione nei paragrafi precedenti che non abbiamo incluso in questa versione e a cui si rimanda per una lettura completa. La concezione aristotelica, e altre che sono seguite, intende ‘buona vita’ il vivere in buona comunione con gli altri, una vita completa, pienamente umana e pienamente felice (dal greco eudaimonia che indica uno stato di benessere che comprende sia la soddisfazione personale dell’individuo, sia la sua collocazione nel mondo). L’idea è che le persone hanno concezioni concorrenti di buona vita (dei contenuti); per esempio, alcuni credono che la buona vita debba essere vissuta nella fede di Dio, altri credono che sia una vita vissuta senza Dio, etc. Il liberalismo suggerisce che idee concorrenti della buona vita dovrebbero rimanere nell’ambito della libera scelta privata; Barney suggerisce invece, lo si vede in questo estratto ma molto meglio nel suo più articolato lavoro, che la cittadinanza debba comprendere il giudizio politico inteso come insieme delle concezioni concorrenti del bene; nel caso preso in esame in questo articolo, il punto è che la tecnologia costituisce una visione della buona vita, se rifiutiamo questo aspetto rinunciamo di fatto a esaminare e contestare la tecnologia e cioè ad un esercizio genuinamente critico sulla tecnologia



Bibliografia

• Bijker, W., Hughes, T., Pinch, T. (Eds.), (1992), The social construction of technological systems, Cambridge, MA, MIT Press.
• Borgmann, A. (1984), Technology and the character of contemporary life, Chicago, IL, University of Chicago Press.
• Ellul, J.(1964), The technological society (Trans. J. Wilkinson), New York, Vintage.
• Freenberg, A.(1999), Questioning technology, London, Routledge.
• Grant, G. (1969), Technology and empire, Toronto, Anansi.
• Grant, G. (1974), English-speaking justice, Torono, Anansi.
• Heidegger, M. (1977), Justification and application (Trans. C.P.Cronin), Cambridge, MA: MIT Press.
• Latour, B. (2005), From realpolitik to dingpolitik: or how to make things public, in B. Latour and P. Weibel (Eds.), Making things public: Atmospheres of democracy, Cambridge, MA, MIT Press, pp. 14-41.
• Lessig, L. (1999), Code and Other laws of cyberspace, New York, Basic Books.
• Simpson, L. (1995), Technology , time and the conversations of modernity, New York, Routledge.
• Winner, L. (1986), The whale and the reactor: A search for limits in an age of high technology, Chicago, IL, University of Chicago Press.


Il materiale curato e tradotto è parte di un capitolo intitolato ‘Radical Citizenship in the Republic of Technology’ in Radical Democracy and the Internet. Interrogating Theory and Practice, L. Dahlberg e E. Siapera, a cura di, Palgrave, pp.37-55. La selezione dei contenuti è di responsabilità del curatore così come le traduzioni dall’inglese delle citazioni che si trovano nel testo.
Curato e tradotto da Davide Calenda.