Millepiani Anno 17 Numero 36 novembre 2010
tra Arne Naess e Félix Guattari
Durante l’ultimo ventennio il più noto autore della critica globale all’utilitarismo è stato indubbiamente Serge Latouche. La forza del pensiero di Latouche consiste anche nella sua capacità di implementarsi nei dispositivi della comunicazione: un nucleo di precetti agili, comprensibili, che possono facilmente circolare nelle piattaforme mediali contemporanee, da Internet alla televisione, agli ancora efficaci caminetti intellettuali rappresentati dalla radio, anche se ascoltata in automobile.
In questo senso Latouche ha lavorato efficacemente opponendosi al mito della crescita, quotidianamente celebrato sui media globali, con il precetto mediatizzabile della decrescita. La sproporzione delle forze in campo, tra la celebrazione quotidiana e globale della crescita e il pensiero critico, è ovviamente impressionante; però risulta ancora utile far notare una banalità troppo spesso dimenticata, ovvero che un pensiero quanto più riesce ad agganciarsi alle piattaforme mediali tanto più riesce ad essere efficace in termini di presenza critica e di proposta alternativa. Al momento il concetto di decrescita, con la proposta programmatica delle 8 R avanzata da Latouche(1), sembra essere quindi una sorta di brand che rende riconoscibile la critica ecologica nel mondo della comunicazione (dove si fa la politica, insomma). Del resto gli choc ambientali ai quali è sottoposto il pianeta producono, sul piano della comunicazione mediale spontanea, categorie di reazione, le quali finiscono in qualche modo per essere assorbite dalla comunicazione mediale ufficiale e anche da quella dei grandi network privati.
Destino dei brand, e delle culture politiche formalizzate come tali (seppur nella differenza di piano tra dimensione della comunicazione politica e culture politiche), è però quello di assorbire e legittimare sensibilità teoriche anche estremamente differenti tra di loro. Lo stesso Latouche, e non solo nel nostro paese, ha attirato, con il brand della decrescita, il consenso di culture politiche anche di segno opposto. Il rischio, classico in una operazione di questo genere, è quello di contrapporre al mito della crescita proprio il mito della decrescita. Dove per mito intendiamo, nella società mediale, un efficace marchio comunicativo globale al quale aderiscono culture e pratiche divergenti formando un terreno fatto di un sincretismo culturale in cui è marcato l’elemento simbolico, indefinito quello culturale e in cui è inerte la dimensione che rimanda alle pratiche. Per questo motivo risulta interessante occuparsi di critica ambientale, di ecosofia e di deep ecology: per far emergere produttivamente terreni controversi di pensiero, uscire dall’indeterminato in cui rischiano di avvitarsi brand come quello della decrescita, delineare campi di differenze radicali tra pensieri ecologici, prospettare alternative teoriche in campo sfuggendo dalle secche del sincretismo. Insomma, sondare ecosofia e deep ecology per non ridurre il pensiero ambientale a questione di brand o di precetti generalisti.
Il concetto di ecosofia infatti è sovrapponibile e, allo stesso tempo, contendibile tra autori e terreni di pensiero molto diversi. Proprio come il brand della decrescita anche se a partire da temi differenti.
Dal punto di vista storico, il primo autore che usa il concetto di ecosofia è indubbiamente Arne Naess. Stiamo parlando di Ecology, Community and Lifestyle(2) che ha una prima edizione in norvegese nel 1972(3) poi ristrutturata e redatta in inglese, con l’ausilio di David Rothenberg, sia in un’ottica di aggiornamento che di diffusione in una lingua globale. Nel testo edito da Naess, e rivisto da Rothenberg nel 1989, troviamo quindi sia la carica del pensiero ecologista della prima ondata di emergenza planetaria (il rapporto del club di Roma sullo stato del pianeta è proprio del 1972) che una revisione di categorie e di temi in materia che si sono delineati lungo tutti gli anni ’80.
Fin dai primi anni ’70, la deep ecology di Naess assume però tre elementi fondamentali, vere e proprie discriminanti grazie alle quali un pensiero possa definirsi come ecosofia: il rifiuto della crescita economica e della scienza occidentale in blocco (in quest’ottica molti latouchiani si avvicinano a Naess); la subordinazione della società umana ai processi naturali; la dottrina della profonda identità tra natura umana e non-umana(4).
L’emergenza ambientale planetaria dei primi anni ’70 si fa quindi sentire nell’elaborazione del rigetto della crescita economia e della scienza occidentale (temi che oggi confluiscono nei precetti sulla decrescita) e nella concezione di una normatività della natura sui processi e sui comportamenti umani libera da dogmi teologici e nella quale è presente una rilettura dello spinozismo. La deep ecology di Naess risolve quindi il tema dell’emergenza ambientale entro un concezione della normatività del naturale sull’umano, che si gioca nell’inseparabilità rigida tra questi due elementi e che detta i precetti del comportamento sociale all’interno di quella cornice in cui la produttività della norma collettiva è suggerita direttamente dalla natura. Come spesso troviamo nel pensiero ambientalista, anche in paradigmi di pensiero estremamente confliggenti tra loro, emergenza ambientale e normatività della natura sui comportamenti umani sono gli elementi da mettere assieme per formare un robusto asse di pensiero. In Naess è l’ecosofia il motore teorico che deve operare questa formazione di paradigma. Ma che cosa è l’ecosofia di Naess? Sostanzialmente è l’asse teorico che mette assieme tre elementi regolatori della vita umana ma anche del divenire della natura: complessità, diversità e simbiosi(5). Naess infatti muove la sua critica radicale al concetto di Pil come strumento misuratore dello sviluppo delle società(6), sviluppando il proprio concetto di “soft technology”(7) proprio nell’ottica della messa a valorizzazione di questo paradigma ecosofico. In Naess la critica al Pil e alle tecnologie invasive crea lo spazio teorico per la legittimazione di questo paradigma ecosofico dove la natura è normativa rispetto ai comportamenti umani nella ricomposizione della grande catena dell’essere. E qui non si può non notare uno dei punti di criticità di Naess, rappresentato dal concetto di politica. Oscillante tra la difficoltà a trovare le strategie di azione per una politica ambientale globale(8) e l’analisi sulla dispersività delle strategie ecologiste locali(9), Naess si trova infine a denunciare il fatto che sono i fenomeni “politicamente superficiali” a interessare la “popolazione”(10). Insomma, l’ecosofia di Naess si risolve nell’impossibilità di definire un solido referente sociale. E in una critica allo sviluppo capitalistico, nella quale il marxismo è sbrigativamente considerato un corpo di teorie, simpatizzante della tecnica, promosso di studenti impegnati “nelle sedicenti rivoluzioni degli anni ’60”(11). In questo modo l’impasse della politica in Naess ci consegna, teoricamente scoordinati, sia un allarme sulle condizioni del pianeta, sia una ecosofia che contiene una serie di prescrizioni di comportamenti collettivi seppur ontologicamente determinati. Il rispetto per la complessità e la differenza e l’operazione terapeutica della simbiosi, che compongono l’ecosofia di Naess, si trovano quindi senza un convincente braccio politico e un referente sociale. Il che, per una filosofia pratica, non è un difetto teorico trascurabile. Gli otto punti di Naess, che definiscono l’elemento regolativo della sua filosofia, rischiano quindi di somigliare agli omonimi punti di Latouche. Una precettistica, in questo caso più ancorata alla storia del pensiero occidentale che all’antropologia economica come in Latouche, legata ad un’etica che non trova contatto reale con la politica. In questo contesto la self-realisation di Naess, un processo di realizzazione del sé che non è finalismo ma solo divenire in accordo con la normatività della natura(12), rappresenta sia il terreno di realizzazione dell’ecosofia che il punto di mancato contatto con la politica. Come capita in questi casi si tenta di oltrepassare questo crepaccio, dopo aver affermato un’ontologia, fondando una logica dell’ecosofia. Attraverso un diagramma che, sul piano del ragionamento logico e della fondazione ontologica, tenga tutto il piano della complessità sociale e naturale(13). Si cerca di risolvere quindi i sentieri interrotti della politica con un balzo sia logico che ontologico del pensiero.
In quest’ottica lo spinozismo di Naess è dirimente, sul piano filosofico, per definire teoreticamente la sua ecosofia. Si tratta di uno Spinoza mediato con Gandhi(14), dove la dimensione della nonviolenza assume così tratti etici, e di mobilitazione collettiva, di tipo universale ed immanente. Il Deus sive natura in Naess è interpretato come la chiave di spiegazione ontologica della possibilità di normare la legge umana tramite quella naturale perché dimostra l’ “interconnessione tra mondo naturale e umano”(15). A questo punto un pensiero sganciato dal calcolo economico e tecnologico, e immerso nell’intuizione spinoziana dell’amore(16), è in grado di connettersi con la catena dell’essere determinata dal Deus sive natura e procedere verso una self-realisation che non è solo individuale, ma che risale eticamente tutte le scale del vivente(17).
La nonviolenza, e quindi l’incontro tra Spinoza e Gandhi, rappresenta quel comportamento che è sia etico sia di disvelamento della beatitudine, ciò che permette a Naess di pensare un agire collettivo in grado di sostenere la praticabilità della self-realisation, la legittimità e la profondità esistenziale della deep ecology, e la capacità dell’ecosofia di regolare la grande catena dell’essere attraverso le categorie (esperienziali come dettate dalla natura) di complessità, diversità, simbiosi. Curioso come in Naess manchi una compiuta antropologia che spieghi come il comportamento dell’uomo sia oggettivamente nonviolento almeno in termini socialmente maggioritari. Senza confrontarsi direttamente con la tematica dell’incontro tra Spinoza e Machiavelli, che oggettivamente va in direzione opposta a quella di Naess, nel filosofo norvegese manca quel tipo di fondazione antropologica che rende teoricamente accettabile la nonviolenza come chiave di volta della filosofia pratica.
Ma non è certo a partire dalla fine degli anni ’80, periodo in cui è stato redatto il testo di Naess in inglese, che la deep ecology poteva essere decostruita attraverso le sue evidenti criticità sul piano politico e su quello della fondazione antropologica. Lo sganciamento della politica dal basso dall’interrogativo sull’efficacia delle proprie pratiche, tipico dell’ultimo ventennio, verso l’ancoraggio rigido all’eticità ha reso possibile una sostanziale opacità critica e una mancata attenzione su questi temi. In questo senso, quando esce, a metà degli anni ’90, l’antologia The Deep Ecology Movement, a cura di Drengson e Inoue(18), con tre importanti saggi di Naess all’interno, si celebra sostanzialmente un pensiero che si sente filosoficamente legittimato in virtù della catastrofe ecologica planetaria. Dopo appena un quinquennio però appare un’antologia dal titolo piuttosto esplicito: Beneath the Surface. Critical Essays in The Philosophy of Deep Ecology a cura di Eric Katz, Andrew Light e dello stesso David Rothenberg(19) che undici anni prima aveva collaborato con Naess. Al di là del fatto che il testo appare una sorta di linea di confine tra critici e innovatori di Naess (come lo è per esempio Eccy De Jonge che in Spinoza and Deep Ecology riprende il rapporto tra ontologia e gandhismo), sono molti i temi di questa impostazione ecosofica che vengono messi a critica. Si va dalla critica al determinismo ontologico di Naess(20) (ineludibile, vista l’impostazione del filosofo norvegese), all’interrogativo su quanto sia effettivamente “profonda” la deep ecology(21) dopo la critica sollevata da Murray Bookchin sull’antropocentrismo di questo genere di impostazione teorica(22).
Se questo filone della deep ecology trova differenziazioni interne al fronte ecologista puro, anche trovando una propria sistemazione teorica prima della caduta del muro di Berlino, è proprio in questo periodo della disgregazione dei paesi del patto di Varsavia che Félix Guattari prende le mosse per incontrare i temi del pensiero ambientalista.
Eppure, proprio nell’incontro con il pensiero ecologista, come si ricorda nell’edizione inglese di Le tre ecologie(23), resta incancellabile in Guattari l’esperienza del maggio francese, rispetto a cui afferma: “ho imparato più cose in due mesi che in vent’anni”(24). Ed effettivamente il rapporto con l’ecologia per Guattari non rappresenta l’occasione per la liquidazione del patrimonio teorico e politico precedente ma piuttosto una ridislocazione, giocata, secondo Gary Genosko, sulla nuova collocazione del concetto di trasversalità(25), dei paradigmi di pensiero ritenuti più produttivi.
Ma la portata del confronto tra la Guattari e la deep ecology di Naess oltrepassa la stagione del muro di Berlino, è almeno ventennale e viene infatti affrontata in un testo curato da Bernd Herzogenrath in cui è presente anche Genosko, Deleuze/Guattari & Ecology, alla fine degli anni zero(26). In questo senso, nel testo risulta importante la posizione di Manuel De Landa, i cui differenti campi di intervento artistici e teorici hanno come filo rosso proprio la demolizione delle residue distinzioni fenomenologiche tra natura e cultura, che colloca sia Deleuze che Guattari all’interno di un pensiero propriamente ecologico(27). La differenza con Naess si scorge, nel saggio curato da De Landa sulla ecosofia di Deleuze e Guattari intesa come spiegazione filosofica della scienza, con il rifiuto dei due autori di Mille Plateaux di definire una ontologia delle essenze a favore di una autoreferenzialità positiva in grado di far decollare un processo di costruzionismo teorico che entra in linea di confronto con il procedere impetuoso e instabile delle tecnoscienze(28).
Ma nel testo curato da Herzogenrath il capitolo dove viene affrontato direttamente il confronto con Naess è quello elaborato da Ronald Bogue, che vanta una lunga frequentazione con i testi di Guattari(29). Per Bogue, sia Guattari che Deleuze non possono essere definiti ecologisti in senso stretto, come Naess che basa il proprio paradigma teorico a partire da una filosofia della natura anche rischiando l’accusa di determinismo(30), bensì teorici di una ecosofia che ha piena cittadinanza nel pensiero ecologista in quanto capace di concepire e valorizzare il concetto di biodiversità(31).
Un primo punto importante di differenza tra Guattari e Naess sta quindi nella differente origine teorica del concetto di ecosofia. In Naess l’ecosofia è il paradigma filosofico regolatore di una deep ecology, una ecologia comune al mondo naturale e a quello umano. In Guattari l’ecosofia è un paradigma filosofico che nasce dallo spostamento di assi teorici, di fasi di accumulazioni del capitalismo, di formazione dei processi di soggettivazione e di comportamenti politici che porta a concepire e realizzare il concetto di biodiversità(32).
Guattari ne Le tre ecologie definisce, alla fine degli anni ’80, definisce il proprio concetto di ecosofia una “articolazione etico-politica”(33) tra quelli che vengono definiti “tre registri ecologici: l’ambiente, le relazioni sociali, la soggettività umana”(34). Non si parte quindi in Guattari da un realismo ontologico, come notato da De Landa, per definire un rapporto sociale che porti al rispetto della biodiversità. Non c’è determinismo morale, promosso dal realismo ontologico, ma la promozione di una articolazione etico-politica che va spinta su un piano di immanenza con la natura. Ed è su questa promozione di un piano di immanenza che si gioca tutto sulle caratteristiche dei processi di formazione della soggettività e non sugli imperativi della natura, che si caratterizza l’ecosofia di Guattari. Il fattore propulsivo di un rapporto equilibrato con la biodiversità in Guattari è infatti rappresentato, invece che dall’imperativo logico e ontologico promosso dalla percezione collettiva della visione della catena unificata dell’essere, “dalle mutazioni esistenziali promosse dal motore della soggettività”(35). Mutazioni che possono anche avere ragioni instabili e perverse piuttosto che ecologicamente dettate dalla buona volontà che scaturisce da una visione profonda della natura(36). Una più o meno classica eterogenesi dei fini al servizio di forme di soggettivazione che convergono su un piano di immanenza con il pensiero della biodiversità.
In questo senso, in Guattari risulta profondamente ecologista il rifiuto di un determinismo tecnologico(37) inteso anche come elemento regolatore delle contraddizioni ambientali in senso tecnicista. L’elemento dello sviluppo delle forze soggettive, da potenziare nella loro aspirazione al desiderio(38), si gioca qui come strumento di una contraddizione strutturale con lo sviluppo delle forze produttive. In quest’ottica la differenza con il marxismo della seconda internazionale e degli allora declinanti paesi del socialismo reale(39) è fortemente marcata. Anche se nel paradigma guattariano viene preservata la concezione sessantotesca dello sviluppo impetuoso delle forme di soggettivazione, con Le tre ecologie risulta definitivo, anche se non improvviso, il distacco tra queste e lo sviluppo delle forze di produzione.
Tra i fattori di sviluppo delle forme di soggettivazione, in una prospettiva ecosofica e di rispetto della biodiversità, Guattari vede proprio la allora nascente evoluzione dei media(40), che permette un loro “uso non capitalistico”(41) che favorisce la promozione di una complessità sociale capace di essere costituente nella “costruzione di nuove storie della permanente ri-creazione del mondo”(42). Insomma, dopo la fine delle grandi narrazioni della società fordista (in Guattari è presente l’attenzione a Lyotard), la velocizzazione dei rapporti sociali dovuta all’esplosione delle tecnoscienze (non a caso nelle tre ecologie è citato esplicitamente Virilio) viene agganciata da una ecosofia che si appoggia ad un tipo di sviluppo delle relazioni sociali che è collettivamente produttivo, perché costruisce un piano tecnologico di comunicazione. Piano che però è visto in grado di rispettare la biodiversità proprio grazie alla propria alterità rispetto alla narrazione ipnotica e “falsamente eternizzante”(43) del media mainstream.
Proprio perché proviene da un differente paradigma teorico rispetto a quello di Naess, l’ecosofia di Guattari si getta quindi a sciogliere direttamente il nodo politico della questione ambientale. Che, con senso della modernità politica, coincide con la concezione della rielaborazione dei media in senso non capitalistico. Del resto, assieme alla fine della società fordista, è proprio il processo di colonizzazione della soggettivazione da parte dei media, che è in Guattari uno dei fattori di sistema del capitalismo, ad uscire fuori dal mondo post-muro(44). I media, come la produzione o la legislazione globale, in Guattari fanno parte della semiotica del nuovo capitalismo(45) che ha unificato il mondo ben oltre la sola sfera della produzione e del commercio. In altri storici e noti termini si direbbe che i media sono parte della sussunzione reale del mondo realizzata dal capitalismo, dinamica letteralmente definita nell’edizione inglese de Le tre ecologie come colonizzazione dell’inside(46) mentale soggettivo e collettivo, mentre la fase fordista si fermava alla colonizzazione dell’outside(47) economico e statuale. È qui il punto, sul piano politico, laddove l’ecosofia di Naess si rivela manifestamente debole, che quella di Guattari gioca il proprio elemento di forza fatte salve le differenze sul piano ontologico (sostanzialismo neonaturalistico versus costruttivismo delle forme di soggettivazione nella dimensione della biodiversità).
È Gary Genosko, in The Life and Work of Felix Guattari. From Transversality to Ecosophy, postfazione all’edizione inglese di Le tre ecologie(48), che chiarisce il punto di forza dell’impostazione guattariana proprio nell’ecosofia. Che altro non è che il metodo (e il pensiero) della trasversalità traslocato dall’esperienza dell’antipsichiatria, e della sinistra extraparlamentare, alla dimensione ecologica(49). Genosko infatti individua il concetto di trasversalità come elemento di continuità tra le fasi storiche del pensiero guattariano, ma anche come specificità del suo pensiero ecosofico. Per concetto di trasversalità si intende la capacità di mettere a fusione un gruppo, oltre i suoi scopi istituzionali o fondativi, valorizzando le differenze dei propri componenti, rompendo le costrizioni dovute al ruolo, intensificando i rapporti su dinamiche di desiderio(50). Nata in ambito terapeutico, in risposta al concetto di trasferenza, che mantiene un’idea di gruppo legata a ruoli sociali e professionali(51), la trasversalità è una pratica di comunicazione diretta, proprio perché terapeutica, a quei soggetti alienati e lontani da una condizione di equilibrio ecologico personale e collettivo(52).
Quella che in Naess è precondizione teorica di resa, e quindi tema da oltrepassare formando un normativismo morale determinato da una ontologia “dura”, ovvero l’idea che le società contemporanee siano pervase da temi superficiali che banalizzano lo spessore delle soggettività (e quindi della proposta politica), in Guattari è elemento da mettere alla prova e al metodo della trasversalità. È la grande massa dei soggetti scartati da Naess che risulta in Guattari una grande risorsa. E senza un’antropologia della beatitudine umana: lavorando sulle nevrosi, sulle patologie, sulle tensioni dei soggetti reali.
Non a caso Guattari parla infatti di mettere a processo di “singolarizzazione”(53) le soggettività apatiche prodotte dal mondo mediale contemporaneo. Si tratta infatti di lavorare al processo di una loro immissione nei “gruppi di fusione”(54) socialmente trasversali, che esalta e radicalizza la loro specificità e rende loro possibile lo sviluppo di capacità di tessitura del legame sociale. La scoperta della potenzialità dei media nella società post-Muro da parte di Guattari va quindi concepita entro questo dislocamento del concetto di trasversalità dall’antipsichiatria, e dal movimento degli anni ’70, in una dimensione ecosofica che deve trovare una nuova modalità di fusione collettiva, che è tale in quanto permanente critica anti-istituzionale, che si può realizzare attraverso un uso inedito dei media. Uso che si rende necessario tanto più quando il capitalismo è sistema semiotico integrato alla comunicazione globale.
In questo senso, lo spinozismo di Guattari, conseguenza di una impostazione filosofica ben intravista da De Landa, non cerca la norma etica ideale nella natura, ma il comportamento etico attraverso la radicalizzazione degli atteggiamenti reali e persino perversi del soggetto. Quella che nel testo sulla politica del desiderio di Philip Goodchild (55) è la “potenza di esistere spinoziana”(56), che l’autore vede giustamente come filo teorico continuo presente in Deleuze e Guattari, è l’approccio soggettivo alla trasversalità che rende possibile l’apertura ad un mondo biodiverso, che si manifesta così come feed-back terapeutico ed esistenziale di tipo positivo. Come per l’ecosofia, anche Spinoza tra Naess e Guattari viene letto da posizioni rovesciate: da una parte gli imperativi della natura, dall’altra le rotte della politica del desiderio.
In definitiva deep ecology ed ecosofia tra Naess e Guattari prendono le mosse da impostazioni che crescono su latitudini teoriche molto differenti. La stessa venatura teorica spinoziana che si rimarca in entrambi gli autori è a servizio di una cognitività del mondo che ora, nel filosofo norvegese, poggia la propria fondazione sulla natura e ora, in Félix Guattari, sulla capacità desiderante e cognitivamente costruzionistica del soggetto. Per non parlare del ruolo politico dell’ecosofia che in Naess serve a normare astrattamente l’insufficienza di un approccio politico, mentre in Guattari definisce un terreno di intervento del metodo della trasversalità in modo da affrontare, e rendere produttive, soggettività che generalmente si credono irrimediabilmente colonizzate.
Come si vede, nello stesso concetto, legato a tematiche ecologiche, si agitano scuole teoriche, e tradizioni di pensiero, che entrano direttamente in rotta di collisione. Su un piano maggiormente mainstream è quindi consigliabile evitare di registrare la convergenza su concetti come quello di decrescita come se si fosse notai del pensiero, magari mossi da spirito federativo-progressista. Di un pensiero che si vuole generale, se non se ne intravedono le differenti anime che lo agitano, si rischia infatti di perpetuarne il mito, il brand, senza saperne o poterne determinare la sostanza. E altra condizione per non passare dal mito della crescita a quello della decrescita è, in ultima istanza, una rilettura di Marx. La rilettura antipositivista del filosofo di Treviri da parte di John Foster Bellamy, in Marx’s Ecology(57), toglie il testimone del mito industrialista dello sviluppo illimitato delle forze produttive a Marx per consegnarlo nelle mani di Proudhon. Procedendo in questo modo, Marx può essere riletto, oltre l’urgenza dettata dall’evento della caduta del muro, come è stato per Guattari, e ricollocato pienamente e legittimamente entro il filone della demistificazione del concetto di illimitata potenza delle forze produttive. Questo sia entro un costruzionismo complesso, che all’interno di quella trasversalità guattariana, tra l’altro originata anche dal pensiero marxiano, pienamente consapevole della biodiversità.
NOTE
1.Non a caso rilanciata in Italia dopo l’intervista a Latouche a Rai 3 il 15-3-2008 si veda http://www.versionebeta.org/2009/03/serge-latouche-il-programma-delle-8-r.html
2. Arne Naess, David Rothenberg, Ecology, Community and Lifestyle, Cambridge University Press, Cambridge (UK), 1989.
3. Naess, op. cit., p. 38.
4. Rothenberg, Introduction, op. cit., p. 17.
5. Naess, op. cit., p. 163-169.
6. Naess, op. cit., p. 106.
7. Naess, op. cit., p. 97.
8. Naess, op. cit., p. 97.
9. Naess, op. cit., p. 201.
10. Naess, op. cit., p. 204.
11. Naess, op. cit., p. 94.
12. Naess, op. cit., p. 200-204.
13. Naess, op. cit., p. 108-109 e 208.
14. Rutheford, Introduction, cit., p. 1.
15. Naess, op. cit., p. 201.
16. Naess, op. cit., p. 63.
17. Naess, op. cit., p. 85.
18. Alan Drengson, Yiuchi Inoue (a cura di). The Deep Ecology Movement. An Introductory Anthology, North Atlantic Books, Berkeley, 1995.
19. Eric Katz, Andrew Light, David Rothenberg (a cura di), Beneath the Surface. Critical Essays in The Philosopy of Deep Ecology, ed Massachussets Institute of Technology, Cambridge (Usa), 2000.
20. Si veda in Katz, Light, Rothenberg , op.cit., Mathew Humphrey, Ontological Determinism and Deep Ecology, p. 87-106.
21. Si veda in Katz, Light, Rothenberg , op. cit., Ariel Salleh, In Defense of Deep Ecology, p. 107-125. Per una panoramica sulle critiche di Bookchin alla Deep Ecology , intesa come filone di dibattito e pratiche puramente ambientalista, si veda Murray Bookchin, Graham Purchace, Brian Morris, Rodney Aitchtey, Robert Hart, Cris Wilbert, Deep Ecology and Anarchy, Freedom Press, Londra, 1993.
22. Si veda in Katz, Light, Rothenberg, op. cit., David Rothenberg, No World But in Things: The Poetry of Naess Concrete Contents, p. 151-168.
23. Edizione italiana: Felix Guattari, Le tre ecologie, Sonda Edizioni, Casale Monferrato (AL), 1991; edizione inglese, qui utilizzata, The Three Ecologies, Athlone Press, London, 2000.
24. Guattari, op. cit., p. 16.
25. Si veda Gary Genosko, postfazione op. cit., pgg. 115-161.
26. Bernd Herzongenrath (a cura di) Deleuze, Guattary & Ecology, Palgrave Macmillan, Houndmills (UK), 2008.
27. Si veda in Herzogenrath, op. cit., Manuel De Landa, Ecologist and Realist Ontology, p. 22 di pgg. 18-37.
28. Si veda in Herzogenrath, op. cit., Manuel De Landa, Ecologist and Realist Ontology, p. 24 di pgg. 18-37.
29. Si veda, ad esempio, Ronald Bogue, Mihai Spariosu (a cura di), The Play of the Self, State University of New York Press, Albany, 1994 e prima ancora un lavoro sulle radici nietzscheane rintracciabili nel pensiero di Deleuze e Guattari in Ronald Bogue Deleuze, Guattari, Routllege, Londra-New York, 1989. Si tratta di temi ripresi in chiave sociologica in Ronald Bogue, Marcel Cornis-Pope (a cura di), Violence and Mediation in Contemporary Culture, State University of New York Press, Albany, 1996.
30. Si veda in Herzogenrath, op. cit., Ronald Bogue, A Thousand Ecologies, p. 40 di pgg. 38-59.
31. Si veda in Herzogenrath, op. cit., Ronald Bogue, A Thousand Ecologies, p. 42 di pgg. 38-59.
32. Si veda in Herzogenrath, op. cit., Ronald Bogue, A Thousand Ecologies, p. 43 di pgg. 38-59.
33. Guattari, op. cit., p. 28.
34. Ibidem.
35. Guattari, op. cit., p. 34.
36. Guattari, op. cit., p. 33.
37. Guattari, op. cit., p. 35.
38. Guattari, op. cit., p. 37.
39. Guattari, op. cit., p. 51.
40. Guattari, op. cit., p. 62.
41. Guattari, op. cit., p. 62.
42. Guattari, op. cit., p. 67.
43. Guattari, op. cit., p. 55.
44. Guattari, op. cit., p. 48.
45. Guattari, op. cit., p. 49.
46. Guattari, op. cit., p. 51.
47. Guattari, op. cit., p. 53.
48. Saggio presente in Guattari, op. cit., pgg. 115-161.
49. Genosko ,op. cit., p. 117.
50. Genosko, op. cit., p. 121.
51. Genosko, op. cit., p. 133.
52. Genosko, op. cit., p. 135.
53. Guattari, op. cit., p. 62.
54. Genosko, op. cit., p. 138.
55. Si veda Philip Goodchild, An Introduction to the Politics of Desire, Sage, Londra-Thousand Oaks (USA), 1996.
56. Goodchild, op. cit. p. 40.
57. Si veda John Foster Bellamy, Marx’s Ecology, Monthly Review Press, New York, 2000.