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Millepiani Anno 15 Numero 33 gennaio 2008



Anarchismo borghese e democrazie autoritarie

Felix Stalder

Questo articolo è una revisione della lettura che ebbe luogo originariamente durante l’Ars Electronica Festival (set-2007).Arricchisce il dibattito il simposio di Firenze,Changing Politics through Digital Networks



Filosofia, estetica e politica


SOMMARIO

• Premessa p. 5

• André Gorz
Pensare l’esodo dalla società
del lavoro e della merce p. 7

• Tiziana Villani
I territori della smaterializzazione p. 25

• Ubaldo Fadini
L’antropologia politica del lutto p. 39

• Luca Greco
Walter Benjamin e l’interruzione
programmatica del corso del mondo p. 53

• Saverio Caponi
Strumenti e sentimenti p. 69

• Davide Calenda - Daniela Piana
Le scale della comunicazione globale p. 81

• Felix Stalder
Anarchismo borghese
e democrazie autoritarie
p. 95

• Roberto Marchesini
Tecnoscienza
e approccio postumanistico p. 105

• Luca Mori
Sensazione e sensatezza p. 119

• Simone Vertucci
Recupero del senso e originarietà
del sacro in Georges Bataille p. 133

• Patrizia Mello
Sensi e figure dell’urbano p. 143

• Stefano Righetti
Il consumo del senso p. 155


artefacts
• Christian Bernard
La città come modelage p. 173
• Giacomo Bazzani
Integration and conflict p. 175


• Recensioni & schede di lettura p. 181
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Immagine di Bert Theis

Immagine di Bert Theis

Stefano Vailati

Se dovessimo caratterizzare questa era, dovremmo usare il termine transizione. Una transizione che sta avendo luogo in ogni ambito sociale, intorno al globo, allo stesso tempo, attraverso molti movimenti interdipendenti. Sebbene ogni processo di tale portata storica sia necessariamente disomogeneo, abbia luogo a differenti velocità e produca contraddittori risultati a seconda delle risorse storiche a cui i diversi attori sociali attingono, è possibile identificare alcune tendenze generali, tra cui, la più importante, come Manuel Castells ha dimostrato, l’emergere della rete (network) come forma di base dell’organizzazione sociale.(1)
In questo articolo voglio guardare a questo processo attraverso l’analisi di alcuni aspetti di trasformazione della società civile e dello stato. Mi focalizzerò sulle accresciute capacità degli individui, che lavorano soli o in piccoli gruppi, di articolare e pubblicare i loro punti di vista e di collaborare con persone simili. Detto più semplicemente, in una vasta gamma di situazioni, gli attori sociali necessitano sempre meno di strutture gerarchiche per organizzare la comunicazione con cui coordinare le loro attività ad ogni livello di scala di azione. Piuttosto, essi possono fare questo mettendosi in rete con gli altri (networking) su basi ad-hoc che riflettono mutui bisogni, interessi e risorse.
Internet sta giocando un ruolo cruciale in questo processo, nei termini di infrastruttura abilitante grazie all’accesso aperto e al basso costo nella produzione, distribuzione e gestione dell’informazione in quantità enorme e ad alta velocità. Recentemente, la dimensione collaborativa di internet ha assunto (di nuovo) una posizione centrale nel dibattito, sotto la affascinante etichetta di web.2, un termine ombrello per un set di tecnologie ottimizzate per facilitare la pubblicazione e l’interrelazione tra materiali multimediali da parte di singoli utenti. Molte componenti di questa infrastruttura emergente esistono da diverso tempo, o almeno il WorldWideWeb esisteva. Ma nella misura in cui la facilità d’uso ha teso ad aggregare, ad unire, tali componenti si sono amalgamati soltanto negli ultimi due anni, sia in termini di loro adozione di massa, sia in termini commerciali.
Milioni di persone usano questa possibilità come parte della loro vita quotidiana. L’estesa interrelazione – attraverso dinamiche di feedback, tracciati e ogni sorta di meta data – è un elemento che rende tale pratica come qualcosa di ben diverso da un diario privato, un quotidiano o un’agenda.
Già la natura dei materiali pubblicati online tende ad essere più personale, assomiglia sempre di più a qualcosa che riflette direttamente la persona più che opinioni e forme organizzative della comunicazione stabilizzate. Stiamo cioè osservando un altro passo verso la ricostruzione di una comunicazione sociale di larga scala, ovvero, della società. Questo ha luogo a tre livelli che i sociologi usano differenziare: individui, gruppi e società.
Vi sono tre limiti della mia analisi che è necessario menzionare. Primo, parlo solo delle società occidentali, non solo perché la maggior parte delle tecnologie che stiamo trattando emergono originariamente in questo macro contesto culturale, ma anche perché queste tecnologie sono deliberatamente flessibili in termini applicativi e del loro futuro sviluppo; interesseranno ampiamente tutto il globo se già non lo facessero, e ogni cultura risponderebbe in modo diverso. Non è mai stato tanto inadeguato come oggi adottare un approccio di determinismo tecnologico, cioè assumere che le tecnologie producano gli stessi effetti in diversi contesti culturali. Secondo, nella vita sociale non ci sono singole cause e le tecnologie interagiscono con un percorso di sviluppo condizionato dal passato, culturalmente condizionato, piuttosto che creare effetti. Terzo limite, tratterò pochissimo la questione di genere e di altre forme di disuguaglianza che eppure rimangono in questo ambito. Un esempio: gli uomini tendono a fare maggiore uso degli strumenti di self-publishing delle donne.(2)
Dal lato dell’individuo, la diffusione dell’uso delle nuove tecnologie estende il già progressivo e generale processo di individualizzazione sociale. Come molti osservatori hanno notato, i processi di auto-sviluppo hanno un ruolo centrale nelle società contemporanee.
Durante gli ultimi 50 anni, la costruzione dell’identità è passata progressivamente dall’essere guidata da relativamente stabili istituzioni gerarchiche (famiglia, luogo di lavoro, chiesa) agli individui e ai loro contesti auto-selezionati. Durante gli anni sessanta, i movimenti sociali freedom-oriented hanno posto nuove sfide alle società burocratizzate, rigettando il modello dell’uomo-organizzazione e della sua mono-dimensione.(3)
In effetti, questo porta a parlare, con Boltanski e Ciapello, di una critica artistica al capitalismo la cui vocazione è opporsi all’oppressione (dominazione del mercato, disciplina della fabbrica), alla massificazione della società, alla standardizzazione e mercificazione pervasiva, e rivendicare un’ideale di liberazione e/o autonomia individuale, della singolarità e dell’autenticità.(4) Allo scadere del XX secolo, questa posizione è stata fermamente reintegrata nel mainstream commerciale nei termini di industrie creative. Esse instillano quello che il critico culturale Marion von Osten chiama l’imperativo creativo, che è la sistematica domanda agli individui di essere creativi ed espressivi.(5)
Nonostante la combinazione tra processi pull and push, una ragionevolmente grande porzione della popolazione ha acquisito un sostanziale capitale culturale (gli assests culturali a disposizione di ognuno, per usare la definizione di Bourdieu), ha sviluppato un tendenziale desiderio e bisogno di unicità, e si ritrova oggi all’interno di estesi ambiti per la auto-espressione e imbarcati in una ricerca costante di riconoscimento e reputazione.
Accanto alla vecchia divisione del lavoro nell’ambito della cultura dove pochi individualizzati produttori culturali lavoravano per una relativamente indifferenziata massa di consumatori, si affaccia oggi una nuova cultura del prosumerismo, ovvero persone che sono allo stesso tempo utilizzatori e produttori. Il Dj che seleziona e mixa i dischi dal vivo, e non uno scrittore che lotta da solo con una pagina vuota, è l’archetipo culturale contemporaneo.
Benché forse questa immagine sia già stanca e soppiantata dall’immagine del blogger che offre un assaggio personale, in tempo reale, su qualsiasi fetta di mondo che appaia rilevante a lei o lui. Agli utenti le nuove infrastrutture offrono modi per (ri)stabilire il loro link col mondo, comunque essi lo guardino, sia esso la prospettiva dei necro-metal scandinavi o quella del surriscaldamento del globo. Le nuove tecnologie del self-publishing trasformano le persone da spettatori a partecipanti. A volte la differenza tra i ruoli è insignificante, ma altre volte le conseguenze di questo cambiamento sono enormi come far cadere i governi o mettere in imbarazzo la grandi multinazionali. Costruire link col mondo non è un atto passivo di osservare, ma un intervento attivo nel mondo, non ultimo con la conseguenza di validare alcuni aspetti del mondo importanti, lasciandone altri cadere. Allo stesso tempo, questo afferma anche la persona attraverso la sua abilità di stabilire collegamenti, come una persona capace di stabilire significati di qualsiasi tipo in un mare di confusione. Dal momento che questo avviene principalmente attraverso un impegno auto-diretto e volontario (anche se qualcuno ci fa sopra dei soldi) il significato è prima e soprattutto stabilito dalla persona. Possiamo anche dire che è un processo di co-creazione di una identità personale e del mondo nel suo complesso.
È plausibile dire che questo processo stia contribuendo a far emergere una forma di auto-esperienza psicologica molto differente dal modello dominante dove il mondo dentro di noi, il nostro self, è rimosso lontano dal mondo fuori da noi. L’a priori cartesiano “cogito ergo sum” è oggi meno convincente come punto di partenza rispetto a quanto siamo abituati a pensare. Piuttosto, stiamo entrando in un mondo di individualismo di rete dove l’auto-identità individuale – sia in termini dell’immagine che uno ha di sé che dell’immagine che gli altri hanno di uno – non può più a lungo essere separata dalla posizione di una persona all’interno di un network. La nozione di individualismo di rete è ancora abbastanza sottosviluppata. Per Berry Wellman, che ha coniato il termine, l’idea riflette semplicemente il pattern di cambiamento della comunicazione delle persone, che non fanno più tanto conto su un piccolo numero di comunità localizzate (il posto di lavoro, la casa, le associazioni civiche ecc.) per il supporto sociale, ma su un più vasto numero di reti, sempre più geograficamente disperse. Queste persone sono altamente individualizzate in termini di combinazione di network che mantengono, così che la loro individualità evolve all’interno e attraverso queste reti.(6)
La nozione di Wellman rimane fermamente radicata all’interno di una analisi quantitativa dei network sociali. Se parliamo di tipo di personalità, questo abbisogna di essere accompagnato con una nozione più psicologica, come Kristóf Nyíri argomenta. Per sottolineare la differenza, quest’ultimo studioso usa un termine abbastanza differente, “network individual”, che considera come “una persona reintegrata, dopo secoli di relativo isolamento indotto dalla carta stampata, nel pensiero collettivo della società – l’individuo la cui mente è manifestamente mediata, ancora una volta, dalle menti di coloro che formano la sua più piccola o più larga comunità. Questa mediazione è infatti manifesta: le sue tendenze possono essere direttamente lette sui display dei nostri apparecchi di comunicazione elettronica”.(7)
Nyíri collega questo alle teorie che rimandano alla essenziale natura sociale della cognizione. Il loro principale proponente, Robin Dunbar, argomenta che la natura sociale del cervello estende in avanti questa psicologia. La misura sproporzionata della corteccia cerebrale (se comparata con gli animali), così argomenta, sta in diretta relazione con la domanda cognitiva di vivere in gruppi con relazioni sociali complesse. Così, anche il più basilare livello psicologico non può essere chiaramente separato dai gruppi.(8) Questa è la nozione complementare del processo sociale essenziale che sta alla base di tutte le forme dell’espressione culturale, espressa originariamente da Gabriel Tarde più di 100 anni fa.(9)
Tarde osserva che la società è basata su differenti forme di imitazione e tutte fanno di essa qualcosa di difficile da ascrivere chiaramente all’idea di un individuo specifico. Anche la più verosimile innovazione originale non solo costruisce o imita la più vasta delle culture in cui essa è situata, ma guadagna rilevanza sociale solo quando è adottata o imitata da molti altri.(10) Forse non è una coincidenza che Tarde, dopo quasi 100 anni di quasi oblio, sia stato recentemente riscoperto dalla sua disciplina.
Le nuove tecnologie sembrano accelerare questo processo di cambiamento nella costruzione psicologica degli individui. Le nozioni di individualismo di rete, individuo di rete, cognizione sociale e imitazione già indicano che l’individualizzazione non conduce necessariamente all’atomizzazione o ad una nozione distopica delle persone isolate nei loro computer. Non c’è una condizione terminale.(11) Piuttosto queste nozioni guardano a forme di identità situate tra l’individuo pienamente autonomo, radicato nella sua privacy, e i membri senza volto di un collettivo, la cui personalità è sussunta sotto l’identità del gruppo. Marshall McLuhan definì questo (ri)emersione della forma di identità ‘tribale’. Ma il termine, a causa del suo sottotono colonialista, è più fuorviante che illuminante, benché esso punti nella giusta direzione. Oggi possiamo fare meglio.
Nell’attuale ondata di tecnologie collaborative, possiamo vedere empiricamente alcuni di questi nuovi equilibri tra l’individualità e socialità di rete nel loro emergere come distinti pattern di collaborazione. Gli individui sembrano agire né come individui egoisti che massimizzano le loro risorse, né come altruisti contribuenti di uno sforzo collettivo (gift economy).
Piuttosto, c’è qualcosa nel mezzo. Auguiton e Cardon argomentano che se c’è una cosa specifica del web 2.0 è la sua caratteristica di cooperazione debole.(12) Normalmente la cooperazione obbliga le persone prima a specificare l’obiettivo comune e poi a lavorare per raggiungerlo. Specificare un obiettivo comune è spesso molto difficile, un processo che richiede un considerevole sforzo di negoziazione tra le parti prima che il lavoro possa iniziare. Nonostante alcune scorciatoie possano essere stabilite, attraverso il mercato o i processi decisionali gerarchici, questi processi non si declinano molto bene. Al contrario, oggi abbiamo grandi gruppi che lavorano assieme online con una buona produttività (in accordo ovviamente al criterio di produttività che essi si danno). La ragione di questo sembra risedere nel fatto che la cooperazione emerge dopo il fatto, non come qualcosa pianificato prima. Molte persone nel web 2.0 auto-dirigono il loro lavoro volontario, lo fanno soprattutto per loro stessi. Diventando visibili, pubblicandosi, possono essere avvistati da altri il cui lavoro o pensiero complementa l’idea dell’altro in un modo significativo. Allora la cooperazione comincia, e si tratta spesso di una cooperazione ad-hoc. Wikipedia è un buon esempio di questo. La maggior parte di coloro che contribuiscono sono impegnati in un piccolo numero di articoli. Tale cooperazione richiede una cooperazione minima e non pianificazioni o accordi precedenti. Questa debole cooperazione è basata sui legami sociali deboli. Vi possono essere persone interessate al progetto nel suo complesso, diventare membri centrali del progetto, avere un ruolo centrale nella sua gestione, ma comunque il fattore chiave della partecipazione rimane il legame debole. Il basso costo e la auto-selezione del tempo e dello sforzo che ci si vuol mettere, sono funzionali a questo tipo di partecipazione. Forse queste persone assumono che il pubblico con cui hanno a che fare è limitato al gruppo con cui collaborano all’interno del ristretto contesto in cui rendono l’informazione disponibile.
Questo rimanda al fenomeno della frammentazione della sfera pubblica in subsfere. Queste sono pragmaticamente assemblate e ricombinate dagli individui e differenziate da culture interne e da set di regole specifiche. Le persone fanno in modo che queste subsfere si sviluppino per contro proprio. Questo ovviamente mette in crisi quelle istituzioni che abbisognano di una funzione tradizionale della sfera pubblica. Poiché queste sfere-comunità sembrano essere guidate dallo spontaneismo e di non necessitare difficili compromessi, il discorso della sfera pubblica, in particolare quello interno alla politica, sembra sempre più artificiale e insincero. Non fosse altro per il fatto che i politici devono fare difficili compromessi per assicurare una maggioranza e offrire soluzioni che difficilmente accomodano l’alto grado di singolarità e rimescolamento continuo della vita che le persone stanno vivendo.(13)
Mentre la sfera pubblica intesa come ancoraggio discorsivo e normativo alla democrazia liberale si sta erodendo, le persone stanno creando i loro ‘pubblici’ nella forme di reti di collaborazioni forti e deboli. Questo non significa che un mondo frantumato non possa essere integrato mai più. È solo che le tecniche di integrazione tra le reti non sono né pubbliche, né discorsive, né democratiche. Le persone vivono sempre di più in qualcosa che percepiscono come una sfera di privacy delimitata, ma ciò che avviene con queste tecniche è che tali sfere sono suscettibili di diventare visibili ed essere connesse con altre sfere. Il concetto di privacy delimitata non è adeguato, forse lo è di più quello di trasparenza reciproca, che significa che uno può vedere molto di più degli altri di quanto non possa fare se rivolge lo sguardo a se stesso; è questa la latente fiducia sociale che abilita deboli forme di cooperazione di rete.
I proprietari delle infrastrutture entro le quali tali transazioni hanno luogo, possono tracciare la complessa composizione sociale che si viene a creare attraverso tali transazioni. Gli utenti ordinari, d’altro canto non hanno accesso alla conoscenza che i fornitori di infrastrutture riescono a produrre attraverso la sorveglianza. Come effetto, in questo mondo di visibilità e di reti orizzontali, nuove zone invisibili e gerarchiche stanno emergendo. Questo rimanda alla discussione già trattata da David Lyon su questa rivista, sulla sorveglianza elettronica.(14) È il tema della classificazione sociale, e non solo del controllo diretto; le tecniche che ne stanno alla base forniscono a differenti gruppi sociali, in tempo reale, la possibilità di differenziare le opportunità di vita (discriminazione automatica).
Questo contribuisce a delineare un contesto nel quale si ha la dissoluzione della privacy dei cittadini (sia in modo volontario attraverso il self-publishing, sia involontariamente attraverso l’aggregazione e l’uso dei dati personali) e allo stesso tempo cresce la sfera segreta delle istituzioni amministrative, sia pubbliche sia private. Saskia Sassen sostiene che ‘i decisori stanno privatizzando il loro potere’.(15) D’altro canto è sempre più difficile per le istituzioni controllare i flussi di informazione che le riguardano. La società civile ha sempre più strumenti per gettare luce sull’operato delle amministrazioni. Stiamo assistendo ad un fenomeno di trasparenza internazionale, basata sulla cooperazione debole online attraverso cui milioni di utenti forniscono contenuti col tentativo di rendere più trasparenti le sfere opache del potere. Dal punto di vista dello Stato, questo processo sembra rimandare al concetto di eccesso di democrazia, come lo studioso conservatore Samuel Huntington lo ha definito riferendosi ai movimenti sociali degli anni sessanta e settanta.(16)
Oggi, gli “intellettuali avversari”, per dirla alla Huntington, si trovano sia a destra che a sinistra, all’interno e fuori del discorso dell’occidente, e hanno come armi gli strumenti per la pubblicazione in tempo reale. Dal momento in cui non hanno bisogno di rivolgersi al grande pubblico come i mass media tradizionali fanno, possono focalizzarsi su poche questioni di interesse particolare che hanno talvolta il potere di mobilitare particolari reti di persone. Per i detentori dell’autorità, questo processo rappresenta una spirale antidemocratica. Dal punto di vista normativo, il loro ritirarsi dalla sfera pubblica, visibile, è giustificato con la domanda di sicurezza, che contraddice la domanda di libertà civili e democratic accountability, dimensioni che diventano progressivamente secondarie.
Assistiamo ad uno sviluppo contraddittorio: l’autoritarismo sta riemergendo al centro delle democrazie occidentali mentre allo stesso tempo la personalità autoritaria, così come analizzata da Adorno, è meno dominante a livello individuale(17).
Il più recente simbolo di tale autoritarismo democratico è il Tornado da guerra tedesco che sorveglia pacificamente la protesta contro il G8 a Heiligendam (Giugno 2007). La relazione tra la società civile in rete e la crescita delle democrazie autoritarie è più intricata e contraddittoria. Dal punto di vista dello Stato, alla fine non fa poi tanta differenza il fatto che ci si debba nascondere dai terroristi o dalla società civile, dal momento in cui potenzialmente ogni cittadino potrebbe essere un terrorista e quindi ogni flusso di comunicazione è visto come potenzialmente portatore di minaccia e quindi deve essere sorvegliato.
La questione qui, a mio avviso, non è tanto se le nuove tecnologie stanno o meno rafforzando il potere degli individui, ma semmai che queste tecnologie stanno accelerando gli sviluppi sopra delineati in modo proprio, specifico. L’effetto generale sulla relazione tra società civile e stato è oggi assai meno nitido che in passato. Potremmo forse entrare in una età dell’oro caratterizzata dalle associazioni volontarie, una sorta di anarchismo borghese. Allo stesso tempo, l’abilità di questi nuovi pubblici di funzionare come contrappeso al potere politico potrebbe non riuscire a compensare lo spazio vuoto lasciato dalla vecchia spera pubblica. Questo perché è proprio l’emergere dei nuovi pubblici che aumenta la segretezza dello stato che si sente minacciato. Potremmo così trovarci in una situazione in cui la libera cooperazione fiorisce e ha luogo all’interno di un rinnovato autoritarismo che emerge nel cuore delle democrazie occidentali.


NOTE

1. Castells, Manuel (2000-2004). The Information Age: Economy, Society and Culture, 3 Vols. 2nd edition, Cambridge, MA; Oxford, UK, Blackwell, si veda anche Stalder, Felix (2006). Manuel Castells and the Theory of the Network Society. Cambridge, Polity Press.
2. Si vedano i dati del Pew Internet and American Life Project:
www.pewinternet.org/pdfs/PIP_ICT_Typology.pdf).
3 Marcuse, Herbert (1964). One-Dimensional Man. Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society. Boston, Beacon Press.
4. Boltanski, Luc; Chiapello, Ève (2002). The New Spirit of Capitalism. Paper Presented to the Conference of Europeanists, March 14-16., 2002. p.16 URL: http://www.sociologiadip.unimib.it/mastersqs/rivi/boltan.pdf [2007-07-11]
5. Be Creative! Der Kreative Imperativ. Exhibition at Museum für Gestaltung Zürich (30.11. 2002- 02.03 2003), http://www.k3000.ch/becreative/
6. Wellman, Barry (2001). Physical Place and Cyberplace: The Rise of Personalized Networking. International Journal of Urban and Regional Research. Vol. 25 No. 2 pp. 227-252, si veda anche Castells, Manuel (2001). Internet Galaxy. Oxford, Oxford University Press.
7. Nyíri, Kristóf (2005). The Networked Mind. Talk given at the workshop THE MEDIATED MIND — RETHINKING REPRESENTATION, May 27.28, 2005, The London Knowledge Lab, Institute of Education, University of London.
8. Dunbar, Robin (2003). The Social Brain: Mind, Language, and Society in Evolutionary Perspective. “Annual Review of Anthropology” (October). Vol. 32 pp. 163-181.
9. Tarde, Gabriel (1962 [1890]). The Laws of Imitation (trans: Elsie Clews Parsons). Gloucester, MA, P. Smith.
10. Per una introduzione al pensiero di Tarde si veda Lazzarato, Maurizio (2004). European Cultural Tradition and the New Forms of Production and Circulation of Knowledge. Multitudes: une revue trimestrielle, politique, artistique etculturelle (16 January).
11. Baudrillard, Jean (1988). The Ecstasy of Communication. Brooklyn, NY, Semiotext(e).
12. Aguiton, Christophe; Cardon, Dominique (2007). The Strength of Weak Cooperation: An Attempt to Understand the Meaning of Web 2.0. Communications & Strategies. No. 65.
13. Beck, Ulrich; Beck-Gernsheim, Elisabeth (Hrsgs.) (1994). Riskante Freiheiten. Individualisierung in modernen Gesellschaften. Frankfurt a/M: Suhrkamp.
14. Si veda anche Lyon, David (ed.) (2002). Surveillance as Social Sorting: Privacy, Risk and Automated Discrimination. London, New York, Routledge; Calenda, Davide e Lyon, David (2006) Tecnologie di controllo e tecnologie di libertà: riflessioni sul potere nella società della rete, in Rassegna Italiana di Sociologia, Vol. 4, pp. 583-612.
15. Sassen, Saskia (2006). Territory, Authority, Rights. From Medieval to Global Assemblages. Princeton and Oxford, Princeton University Press, pp 179-84.
16. Crozier, Michel; Huntington, Samuel P.; Watanuki, Joji (1975). The Crisis of Democracy: Report on the Governability of Democracies to the Trilateral Commission. New York, New York University Press URL: http://www.trilateral.org/library/crisis_of_democracy.pdf [2007-07-10].
17. Si veda Holmes, Brian (2002). The Flexible Personality, part I & II (Jan 05) available at http://www.nettime.org