Millepiani Anno 19 Numero 39 novembre 2012
L’idea di istituzione è al centro di numerose riflessioni contemporanee. Del resto, più o meno direttamente, si trova pur sempre coinvolta in ambito pratico, in politica, in psichiatria o in pedagogia. Pensiamo a Cornelius Castoriadis (l’istituzione immaginaria della società),1 Claude Lefort (l’istituzione politica del sociale),2 l’antropologia politica di Pierre Clastres,3 «l’antropologia dogmatica» di Pierre Legendre,4 agli istituzionalisti ovvero George Lapassade e René Lourau,5 e senz’altro agli esperti di pedagogia e psicoterapia “istituzionale”, in particolare a Fernand e Jean Oury,6 François Tosquelles7 e Félix Guattari8. Il punto tuttavia consiste nel chiedersi in che modo la nozione di istituzione si discosta da una filosofia dell’immanenza che, a ragione, possiamo definire anarchica.9 Che ne è di questa nozione negli ambiti pratici in cui è inizialmente sorta? Prima di delineare gli effetti di carattere praxistico eminentemente «polifonico» (Tosquelles) e indissolubilmente clinico e politico, dai quali avanza Félix Guattari attraverso una moltitudine di gruppi, eterogenei a oltranza,10 vorrei richiamare il concetto di istituzione, con tutta la sua portata ontologica.
La parola francese institution deriva dal latino «institutio».11 È composta dal prefisso «in», ovvero «all’interno di» o «su» e dal verbo «statuo», che significa «stabilire», «porre come principio», «organizzare qualcosa che esiste». In greco, «thésmos» deriva dal verbo «tithémi», «porre» o «stabilire» appunto. «Per istituzione si intende» scrive Merleau-Ponty, «gli eventi di un’esperienza che la dotano di dimensioni durevoli, in rapporto alle quali tutta una serie di altre esperienze avrà senso, formerà un proseguimento pensabile o una storia – ovvero gli eventi che depositano in me un senso, non a titolo di sopravvivenza e di residuo, ma come appello a un proseguimento, come un’esigenza di avvenire».12 L’istituzione è un atto, un fare, una pratica e perfino una praxis in un registro performativo (Arendt13).
La grande originalità filosofica di Deleuze e Guattari è senza dubbio da ricercare sul versante ontologico, e rappresenta certo un punto di forza dai risvolti pratici considerevoli. A partire dalle prime opere di Deleuze fino all’incontro con Guattari e al lavoro su Spinoza e sulla «schizo-analisi» «rivoluzionaria» del «après-mai des faunes» (G. Hocquenghem), si sperimenta un pensiero che rifiuta ogni sorta di trascendenza o «tracotanza» in favore di un piano o di un campo di immanenza che Spinoza chiamava Natura. Le incidenze sul piano etico, politico nonché clinico (una vera e propria sfida pratica temibile), sono sicuramente innumerevoli. Se Guattari, grazie soprattutto all’incontro con Fernand Oury (come ha confidato al fratello Jean), si è ben presto dedicato al problema dell’istituzione sul piano pratico ma soprattutto clinico, nel 1955, Deleuze firma l’introduzione a un’opera collettiva intitolata Istinti e istituzioni,14 attirando ben presto l’attenzione di tutti coloro interessati alla questione.
«L’uomo non ha istinti» scrive Deleuze: come a dire che la specie umana, determinata dal bisogno, si vede privata o «spogliata» del desiderio inconscio ed è resa folle dall’istituzione. Se l’istituzione ha reso folle la specie umana, è perché la teoria costruttivista del desiderio è sostituita dalla soddisfazione del bisogno. «L’uomo non ha istinti, crea delle istituzioni. È un animale intento a spellare la specie». La creazione di un altro «livello dell’essere», che chiama «storico-sociale», è altrettanto evocata da Cornelius Castoriadis: si manifesta, in particolare, attraverso il de-funzionamento della psiche umana e l’escrescenza «cancerosa» dell’immaginazione, così da sostenere che «l’uomo è un animale folle», ma in un senso ben diverso da quello di Deleuze e Guattari, certo.
Invero, i due affermano il primato del desiderio (inconscio) sul bisogno e l’interesse (che si colloca a livello «precosciente»). Si smarcano così da ogni marxismo e, probabilmente, ancora più alla radice, da ogni pensiero l’influenzato ancora da quel che Castoriadis chiama «immaginario capitalista»,15 la cui etnologia marxista ne è un esempio piuttosto eloquente.16 Per Deleuze e Guattari si tratta di una ontologia del desiderio inconscio di gruppo che crea concatenamenti, come del resto Claude Lefort parla di una ontologia politica del desiderio in preda alla divisione sociale (gli «umori» politici)17 e Castoriadis di una ontologia dell’immaginazione creatrice (l’immaginario sociale istituente) che dà forma («eidos») al caos18. Il desiderio prevale sul bisogno e sull’istinto (Deleuze e Guattari), il politico sull’economico (Clastres, Lefort), l’immaginazione («phantasia») sulla determinatezza («peras»)19 (Castoriadis).
Il desiderio, per Deleuze e Guattari non è più quello della psicoanalisi freudiana o lacaniana (che valorizza la mancanza). Come l’istituzione, anche il desiderio è positivo e non manca assolutamente di nulla. Come la materia sonora di una sinfonia, il desiderio scorre nell’economia politica del flusso di energia. Desiderio e istituzione: non è forse grazie a loro che «esiste qualcosa anziché niente?» (secondo il metodo fenomenologico, l’interrogativo caro a Oury è di una «riduzione trascendentale»). Non desiderio inconscio «inaccessibile direttamente», ma soltanto attraverso lo sbieco del fantasma individuale (niente di più singolare per Oury20); né desiderio inconscio di un «mostro asociale» che, prima di rinunciare al fantasma di onnipotenza tipico della «monade fisica originaria» (e mi riferisco alla «metapsicologia» di Castoriadis), deve anzitutto passare da una fase triadica, ossia attraverso un nucleo psichico irriducibile a cui resistere, nella buona e nella cattiva sorte, contrastare ogni socializzazione attraverso l’istituzione (Castoriadis, qui, colloca il sociale nel negativo, mentre l’istituzione è chiamata a limitare il desiderio inconscio). Si potrebbe dire che grazie ad un «concatenamento collettivo di enunciazione»21 fatto di molteplicità, da parte a parte, si ha accesso al desiderio, un desiderio inconscio di gruppo, aperto ai quattro angoli del sociale, per niente triangolato dal complesso edipico. E ancora, il desiderio non è puramente umano, in questo senso passa attraverso qualunque tipo di oggetto o di «macchine» («meccanosfera»), soprattutto tecniche, economiche, estetiche o politiche («macchine da guerra»). Il desiderio crea macchina e concatenamento. Il concetto di macchina in senso di «sistema di tagli», di flussi di energia rende inoltre possibile, grazie al suo «costruttivismo», l’instaurarsi di un altro rapporto tra natura e politeia (o società politica), su un piano di immanenza, senza per questo confonderli. D’altra parte, è al di là delle derive destroidi dei partiti politici “Verdi”, che tutta l’attualità dell’ecologia politica (l’ecosofia in Guattari) rende possibile un rapporto diverso tra l’umano e il suo ambiente naturale, vale a dire tra la via naturale e politica.
Deleuze evoca peraltro l’opposizione giuridica tra istituzione e legge da un lato, il contratto dall’altro. Se le teorie della legge o del contratto collocano il sociale in una sfera negativa attraverso la limitazione di tutto ciò che di colpo è predisposto come positivo (diritti naturali…), l’istituzione, al contrario, situa il sociale in una dimensione positiva, fino a mettere in luce il lato «costruttivista». Si evince così tutta la portata ontologica del pensiero di Deleuze, che ne fa anche un principio politico: la monarchia è un pessimo regime politico, un regime tirannico, dove «ci sono tante più leggi che istituzioni». Al contrario, la democrazia è un regime in cui «ci sono tante più istituzioni che leggi». Si può allora supporre che l’istituzione verrà presto chiamata, se non a soppiantare, a ridurre considerevolmente legge e contratto. Saint-Just che cita, scrive in Istituzioni Repubblicane: «occorrono poche istituzioni. Laddove ce ne sono molte, il popolo è schiavo. La schiavitù è l’abnegazione della propria volontà. Se l’uomo obbedisce, senza credere che sia una buona cosa, non vi è né libertà né patria. Colui che dà ad un popolo troppe leggi è un tiranno. Il nome della legge può sanzionare il dispotismo, che consiste nell’esercitare sul popolo una volontà estranea alla propria. Non è facile obbedire alle leggi; in quanto spesso la legge non è altro che la volontà di colui che la impone. Si ha il diritto di resistere alle leggi oppressive…».22
Inoltre, a proposito del «movimento istituzionale» in psichiatria, vale a dire della psicoterapia istituzionale, Deleuze parla di «una sorta di ispirazione dal Saint-Just psichiatrico». Pensa soprattutto alla clinica di La Borde, fondata da Jean Oury nel 1953, dove si accoglie, o per meglio dire si istituzionalizza la follia. In un altro saggio dedicato a Sacher Masoch,23 in cui per qualificare la propria scrittura inventa la parola «pornologia», il filosofo pone di nuovo il problema dell’opposizione tra l’istituzione e la legge da un lato, istituzione e contratto dall’altro, chiamando in causa in particolare due autori: il Marchese De Sade e il barone Sacher Von Masoch. Da bravi «pornologi», questi due «perversi» della sessuologia del XIX secolo (più che altro Kraft-Ebing) hanno finito per sessualizzare il diritto. Sade, infatti, si presenta come qualcuno che parla in termini di istituzione, mentre Masoch di contratto. Gli umori «pornologici», o la Stimmung (la disposizione affettiva), costituiscono per Deleuze il vero e proprio aspetto ironico in Sade ed umoristico in Masoch. In tale senso, va anche l’interpretazione de La Filosofia nel Boudoir in M. Abensour,24 un’ironia critica dell’istituzione che oppone Sade al disegno normativo di Saint-Just (si veda la bozza del suo Istituzioni Repubblicane) che avrebbe portato ad una «macchina da moralizzazione», e in seguito ad una «macchina da governo» (Saint-Just).
Lo stesso vale per il contratto. «Il senso del contratto sta nel riconoscere l’altro in quanto definito dai termini stessi del contratto. Opposizione giuridica delle nozioni di contratto e di istituzione: nullità dei contratti pronunciati in nome dell’istituzione».25 Giurisprudenza del liberalismo: è sempre in termini contrattuali che anche la questione dell’indennizzo dei disoccupati e di coloro in cerca di lavoro si pone per i governanti. L’utente si presenta sempre più come parte contraente in una relazione duale in cui l’altro è o la «potenza pubblica» o lo Stato, e a cui si chiedono «degli sforzi» e delle contropartite; prende vita da qui la retorica dei «diritti e dei doveri» (per «tornare al lavoro»). In opposizione alla tendenza contemporanea a de-istituzionalizzare ovvero a «liberalizzare» il diritto attraverso la contrattualizzazione, si ipotizza, ormai da molto tempo, la rivendicazione politica di un reddito garantito, incondizionato e dunque senza contropartita che, a giusto titolo, può essere considerato un’istituzione. Istituzionalizzare un reddito universale incondizionato, può forse servire a uscire dall’ambito del contratto e della legge tipica del liberalismo del profitto dell’istituzione «modello positivo d’azione»? a istituzionalizzare il «tempo libero» oppure la pigrizia intesa come il rifiuto del lavoro e dell’autonomia rispetto ad un qualsiasi salariato? (cosa che implicherebbe il disinvestimento del «valore-lavoro»). Pensiamo alle parole di Gilles Deleuze sul diritto e la giurisprudenza. «Essere di sinistra», dice, «significa creare diritto».26 Opporre al contratto chiuso sul mercato del lavoro e alla contrattualizzazione del rapporto tra utenti e Stato, che oggi si constata sempre più, l’istituzione di un reddito di esistenza, può forse essere utile a fare della giurisprudenza e a resistere ad una tendenza governativa neo-liberale? o meglio a «non essere affatto governati» che, per Foucault, è il compito stesso della critica?27
Contrariamente ad un pensiero di opposizione, in primo luogo dialettico o «iperdialettico» (M. Merleau-Ponty, C. Lefort),28 un pensiero dello scarto e della divisione (sotto il segno del due contro l’Uno), che evoca l’istituzione politica di una Legge trascendentale eclissata, se non destituita poiché disinvestita dal desiderio scisso in due posizioni asimmetriche (l’antagonismo politico degli «umori» in Machiavelli29), Deleuze e Guattari difendono un monismo filosofico che merita proprio di essere definito anarchico. Un monismo ontologico completamente paradossale e assolutamente pluralista30 che regola i rapporti della sostanza con gli attributi (Spinoza), o meglio dei corpi senza organi e degli oggetti parziali,31 e che non si oppone più al plurale né al multiplo. Anziché opporsi a due piani, o articolare due piani su un fondo di opposizione (si può definire strutturale l’approccio di J. Oury), ossia i fenomeni di alienazione mentale (irriducibili addirittura «trascendentali»)32 e di alienazione sociale, si tratta piuttosto di cambiare radicalmente piano se non prospettiva ontologica e, per quanto non sia affatto messa in discussione la distinzione tra i due,33 di sostituirli con un solo piano d’immanenza «molteplice». Un piano che può anche chiamarsi «economia generale» (a questo punto si è tentati di confrontare Deleuze e Guattari di Bataille)34, ovvero un’economia di energia o di flussi qualunque essi siano. Grazie soprattutto al concetto di «macchina»35, Deleuze e Guattari danno vita ad una nuova ontologia. Se lo schizofrenico, alla fine, si scopre sia Homo Natura sia Homo Historia, è per via di un rapporto completamente nuovo non solo tra desiderio e sociale, ma anche tra desiderio e mondo naturale e addirittura tra natura (cosmos) e politica.
Il pensiero di W. Reich, che pretende di interpretare in termini psico-sessuali36 l’alienazione sociale («sfruttamento economico, assoggettamento politico»)37, continua ad essere sorretto da più di un dualismo tra cui, principalmente, l’infrastruttura economica e la superstruttura ideologica, politica e giuridica, l’oggettività e la soggettività, la razionalità e l’irrazionalità. Deleuze ne cita diverse, nello specifico parla a proposito di oggettivo e soggettivo, infrastruttura e sovrastrutture, produzione e ideologia così come si vedono in opera nel marxismo. Anziché una dialettica tra l’istituente e l’istituito,38 per Guattari si afferma la «stretta complementarità» di un soggetto inconscio dell’istituzione con l’oggetto istituzionale.39 Inizia a profilarsi la nozione di analisi istituzionale, legata all’avanzare di un Félix Guattari coinvolto nella storia sociale e politica del proprio tempo (tra cui, ad esempio, il « complesso del ’36»)40. Un avanzare che procede attraverso le organizzazioni e i partiti politici, i sindacati, i gruppuscoli e gli ostelli della gioventù, da un lato e il suo investimento in un lavoro a vocazione psicoterapeutica alla clinica di La Borde dall’altro. Dopo i campi di sterminio si sono delineati un ambiente istituzionale definito senza remore «concentrazionario»41 e una praxis (detta anche «patoanalisi»)42 che avrebbero dovuto accogliere la follia. Poi, in Francia, nel dopo guerra, si diffonde un contesto di estrema sinistra: La voix communiste43. (La rottura con il marxismo all’interno del «gauchisme» avviene infatti più tardi, negli anni ’70).44
Negli ambienti perfettamente praxistici se non «eccessivamente» o esageratamente eterogenei, clinici e politici insieme, Guattari porta la sua «cassetta degli attrezzi», che si è tentati di considerare come «oggetto istituzionale» in sé! I concetti, trasportati da dei processi di deterritorializzazione e varianti (mescolamento), passano da un ambiente all’altro. Ha ripreso, a sue spese, l’espressione foucaultiana «cassetta degli attrezzi»,45 che peraltro si ritrova anche in Oury passando questa volta per Wittgenstein. I concetti si presentano allora come degli attrezzi da maneggiare come il «liutaio» e lo scalpello (Oury) ed implicano un saper-fare. Ciò risponde in Guattari anche ad un orientamento «pragmatico», soprattutto in campo clinico.
Gli attrezzi concettuali di Guattari in campo istituzionale sono principalmente tre: l’oggetto istituzionale,46 il soggetto inconscio dell’istituzione e l’ istituzionalizzazione o produzione di istituzioni; a cui vale la pena aggiungere, per quanto riguarda la psicoterapia istituzionale, il transfert istituzionale, «transfert dissociato», «multireferenziale», anche se va ben oltre il solo ambito psichiatrico (Guattari fa notare come nel XVIII secolo la parola transfert fosse già in uso, nel senso di trasporto amoroso). «Se la determinazione in ogni situazione dell’oggetto istituzionale corrispondente è un criterio che dovrebbe permettere di chiarire la questione,47 il soggetto dell’istituzione è assolutamente inconscio. Come la boutade di Tosquelles in cui, anziché una «presa di coscienza» si è difronte a una «presa d’incoscienza», e qualunque sia l’incomprensione dei filosofi anche importanti, tipo Sartre, il soggetto, non solo non è l’individuo, ma sfugge «alle determinazioni individuali». È un «soggetto» o un «agente» che Deleuze e Guattari chiameranno in seguito concatenamento collettivo di enunciazione.
Jean Oury, complice di Guattari nel conflitto e della divisione, racconta un aneddoto: un giorno ho voluto cercare nel dizionario il significato della parola «istituzione». Mi sono trovato davanti a decine di significati nascosti. L’uso degli esperti di psicoterapia istituzionale sono molteplici e vari, ci sono in realtà delle sfumature significative. L’idea di istituzione infatti, a seconda che si tratti di Oury o di Guattari, non è per niente la stessa. Con François Tosquelles nasce l’opposizione fondamentale tra istituzione e organizzazione (per Tosquelles le famiglie sono delle organizzazioni anziché delle istituzioni) e di conseguenza tra istituzione e «organismo» (anche in senso di «organismo stabilito»).48 L’organizzazione evoca l’«alienante» (Oury) o il «pratico-inerte» (Sartre). L’istituzione, invece, è ciò che lavora, analizza, «cura l’ospedale»,49 ovvero l’organizzazione, rimaneggiandone ad esempio i «fattori di accoglienza del Super-Io». L’istituzione, come il «rasoio» di Guglielmo di Occam50 rimanda allora a «il lavoro del negativo» (Hegel); un po’ come «un’ondata di licenziamenti» (espressione particolarmente cara a Oury) all’interno dell’organizzazione. Si è ben lontani dall’ontologia di Deleuze e Guattari e dalla positività innata dell’istituzione rispetto alla legge. Qualunque sia il richiamo all’istituzione, Oury colloca il sociale in ambito negativo. È infatti in termini lacaniani ed hegeliani che ragiona il fondatore di La Borde. L’istituzionalizzazione infatti consiste nel processo di iscrizione in un registro simbolico, di articolazione o di «borromeizzazione» (Lacan)51. Al «flan», in quanto immagine strutturale (ossia compatta) si oppone il «millefoglie», con la tipica costruzione a strati. Avviare un lavoro istituzionale (ad esempio leggere la mattina «carta del giorno» a La Borde,52 serve a creare del vuoto, a «de-massificare» (decomprimere), a dividere il tempo e lo spazio dell’organizzazione; iniziare a separare, attraverso la messa in opera di una funzione «diacritica» e la messa in atto di una «diversità» o «eterogeneità» tutto quello che è «incollato» o «amalgamato», significa essere in preda all’omogeneizzazione (alla «morte», per Oury), all’entropia. Si ha a che fare con un pensiero che potremmo chiamare dialettico e con una pratica clinica che, implicitamente, poggia su un’ontologia. Da qui il problema clinico (prevalentemente psicotico) e filosofico (ontologico) al contempo, e perfino politico53 del vuoto. Il ricollegamento per Oury ad un’ontologia implicita si manifesta anche attraverso la ripresa, stile filosofia orientale, dell’immagine dei principi dello yin e dello yang (che peraltro indicano pur sempre un genere gender), che ci rimandano anche ad una terza parola: il vuoto.54 Terzo regolatore o Phallus separatore dei vincoli che articola (cosa avrà come effetto la circolazione, nel tempo e nello spazio nel contempo), il vuoto è ancorato ad una «logica castrativa» e «negativa».
In Guattari si ha piuttosto un trattamento schizofrenico del vuoto, un po’ come nell’Art Brut. Il vuoto non è più ancorato ad una struttura totalizzante, all’ombra di un’istanza trascendente, per via di un mondo detotalizzato, aperto alla propria detotalizzazione (Sartre), non è più significante dispotico, «oggetto d’alterigia». Si potrebbe allora dire che il vuoto, è niente! È nella pienezza (vale a dire nella non mancanza) e nella molteplicità che l’essere si afferma;55 come le molteplicità di attributi della sostanza. Gli oggetti parziali sul corpo senza organi non si confrontano più con l’oggetto totale o globale, che è «l’Io», in una dialettica di cura fra tutte le parti (G. Pankow)56, per non dire in un processo di riterritorializzazione, senza dubbio indispensabile alla sopravvivenza dell’organismo, a scapito tuttavia del corpo senza organi e del suo spazio liscio, che consente ogni strato, ogni stratificazione.
L’analisi istituzionale è considerata da Oury semplicemente come «un’analisi concreta dell’alienazione sociale» (da non confondere con la psicoanalisi); d’altra parte il processo di istituzionalizzazione si pensa in termini di struttura (assolutamente lacaniani). Tuttavia per Guattari non è così. Ci si può chiedere se non si manifesti ancora una sorta di disamore verso le «grandi idee» evocate da Deleuze a proposito dei «nouveaux philosophes»57. L’idea guattariana di oggetto istituzionale è evocativa nella sua «complementarità»58, se considerata nell’ottica di oggetto parziale (si pensi a Freud e soprattutto a M. Klein) e di oggetto transizionale (Winnicott). Ma, eccoci in un mondo frammentato, dislocato, «dissociato», psicotico, schizofrenico; o meglio su piano micro e non più macro-politico, «molecolare» e non «molare», che ci fa accedere ad un’altra dimensione, «schizoide», come il gruppo stesso (Bion) in preda a una divisione interna (la propria frammentazione), oppure, per dirla con Guattari, in preda ad una pulsione di morte.59 Questa dimensione ha infatti un’autonomia e delle coordinate proprie: la soggettività inconscia di gruppo «manifestata a livello di istituzione, ha le sue leggi, con i propri interpreti, individuo o gruppo che siano, ha i loro operatori», e «sviluppa dei sistemi specifici di resistenza, di disconoscenza e un tipo di fantasma piuttosto autonomo rispetto al fantasma individuale».60
Nella prefazione alla prima raccolta di Guattari (in particolare a Psicoanalisi e Trasversalità), Deleuze confronta l’«analisi istituzionale» dell’amico con quelle di un altro teorico - e al contempo esperto di istituzione nonché militante nel Socialismo o Barbarie e in seguito, anche psicanalista - Cornelius Castoriadis (uno degli osservatori precoci del fenomeno burocratico in particolare). Anche se l’intenzione può ricordare, talvolta in maniera sorprendente, quella di Costoriadis, Guattari si vuole ancora più attento alla soggettività, ma non unicamente in seno alla produzione moderna61. Gli strumenti concettuali d’altronde sono diversi e differiscono sensibilmente. Se le formazioni collettive guattariane vengono affrontate come dei fenomeni di gruppo, come soggettività inconsce di gruppo, in un secondo tempo definite «molecolari», per Castoriadis lo strato ontologico del «storico-sociale» dove il «collettivo anonimo» fa presa sull’istituzione sociale, ci sembra restare ad un livello «molare», quello dei «grandi insiemi» di cui l’individuo fa assolutamente parte (l’individuo per Castoriadis è peraltro considerato come «parte totale», in senso matematico, dell’istituzione globale). Tutto è istituzione per Guattari certo, ma in un altro senso. L’individuo non soltanto è un’istituzione sociale: non è più considerato come oggetto globale, egoico e egoicizzato; al contrario, come un qualsiasi altro oggetto parziale! È un individuo e al contempo un’istituzione percepita e vissuta e perfino allucinata su un mondo psicotico, un «transfert dissociato», come lo si vede in clinica, nelle psicosi e negli schizofrenici. L’istituzione si lascia «psicotizzare», si presta alla psicosi. Si può dire che l’istituzione in Guattari è essa stessa dissociata, è addirittura «schizo».
Sarebbe opportuno peraltro rilevare anche una divergenza di vedute a proposito del movimento sociale del maggio ’68, tra Guattari e Castoriadis (alias «Jean MaecCoudray»). Laddove, una volta di più, il secondo constata negli operai la messa sotto tutela burocratica (alienazione o eteronomia) che impedisce loro di unirsi agli studenti e di agire di conseguenza in vista di una trasformazione radicale della società, il primo, più attento, evita di trarre conclusioni affrettate e di precipitarsi a diagnosticare un’incapacità politica innata.62 Da buon spinoziano, crede che tutto ciò che può impedire o ostacolare lo sviluppo della potenza d’agire non può venire che da fuori. Del resto, è un’attitudine che si trova spesso in entrambi, tutti e due autori e attori politici, che hanno intrapreso due strade diverse, soprattutto dopo il ’68, («rivoluzione istituzionale» per Guattari, rivoluzione mancata per Castoriadis; e ancora ultimo «canto del cigno» dopodiché la società «occidentale» sarebbe rovesciata e affondata nel «conformismo generale» se non ne «l’insignificanza»).
Se prendiamo ad esempio ciò che Guattari definisce «terremoto istituzionale del mese di maggio» ’68 si potrà senz’altro essere più in grado di cogliere la singolarità di questo pensatore, in particolare in materia istituzionale. Il «Movimento del 22 marzo», al momento della sua «fioritura», nel ’68, è divenuto «l’osservatore» di un complesso inconscio, pulsionale, di gruppo, «a dimensione dell’intera società». Il «Movimento del 22 marzo» è per Guattari il prototipo di un «gruppo-soggetto», attraverso il quale capire davvero che una praxis, o un’azione politica «rivoluzionaria», è «desiderante» (non esiste rivoluzione che non sia «desiderante»). Il movimento «non si è trasformato in reale rappresentazione della situazione, è stato piuttosto il supporto attraverso cui le masse hanno potuto operare il transfer delle proprie inibizioni. L’azione esemplare di questo gruppo d’avanguardia ha aperto la porta, eliminato dei divieti, spianato la strada verso una comprensione e articolazione logica del tutto nuova, senza fissarla in alcun dogmatismo».63
«Terremoto», «rivoluzione»,64 o «sovversione» istituzionale, sono certo parole che sorprendono all’interno di un contesto politico di pratica « rivoluzionaria», soprattutto se spese a proposito del maggio ’68. Ma è proprio in termini istituzionali che Guattari pensa il sociale e il politico anziché in termini di istituzione dissociata, psicotizzata se non psicotica, come abbiamo visto a più riprese; l’istituzione, ed è tutta qui la differenza con Castoriadis, è a pezzi, a immagine e somiglianza di Guattari stesso, è istituzione «parziale» di una molteplicità libera, concatenamento o «risultante» per dirla con le parole di Pierre-Joseph Proudhon.65
Oggigiorno, senza dubbio, ben altri oggetti istituzionali si prestano a questo tipo di analisi, basta pensare ad esempio alla coordinazione, in opposizione o distinzione con il sindacato.66 Se si segue Guattari, l’oggetto istituzionale deve essere colto nella sua consistenza macchinica di fenomeno di gruppo, che non cessa di porre resistenza alla propria «strutturazione», o alla chiusura del gruppo su se stesso sotto forma di struttura. «Il progetto rivoluzionario, in quanto macchinazione di una sovversione istituzionale dovrebbe svelare talmente tante potenzialità soggettive così da premunirle, ad ogni tappa della lotta, contro la loro «strutturazione».67 Si dovrebbero dunque inventare delle istituzioni in grado di restituire all’umanità tutta la sua follia; poiché «l’uomo è un animale politico», un animale erotico e, soprattutto, un animale folle.
Traduzione dal francese di Martina Tempestini
NOTE
1. Castoriadis C., L’institution imaginaire de la société, Seuil, 1975. Occorre citare anche l’associazione psicanalitica del «Quatrième Groupe» (www.quatrieme-groupe.org/) fondata insieme ad altri (tra cui Piera Aulagnier), che valorizza la nozione di istituzione (si veda l’anarchico E. Colombo:www.quatrieme-groupe.org/publications/bibliographies/bibliographie/eduardo-colombo/9/00012COLOM).
2. Lefort C., Les formes de l’histoire. Essais d’anthropologie politique, Gallimard, 1978.
3. Clastres P., La société contre l’Etat, Minuit, 1974.
4. Sulla scia della psicoanalisi lacaniana e in una prospettiva prevalentemente giuridica, Pierre Legendre si è fatto portatore di un pensiero normativo davvero reazionario. Si veda Perreau B., Faut-il brûler Legendre?: www.vacarme.org/article1640.html;
5. Lourau R., L’analyse institutionnelle, Minuit, 1970.
6. Oury J., L’aliénation, Galilée, 1992.
7. Tosquelles F., De la personne au groupe. A propos des équipes de soin, ERES, 1995.
8. Guatatri F., Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero, 1972).
9. Colson D., Petit lexique philosophique de l’anarchisme. De Proudhon à Deleuze, Le Livre de Poche, 2001.
10. «[Guattari] ha sempre avuto le seguenti caratteristiche: un’estrema rapidità di pensiero, delle iniziative affrettate e un gusto estremo per l’eterogeneità. Eppure c’è bisogno di eterogeneità, ma non ha mai saputo dosarla», in Oury J., Depusse M., A quelle heure passe le train?, Calmann-Lévy, 2003, p. 206.
11. Sembra che significhi in primo luogo «disposizione», poi «principio» o «sistema». A quanto pare, si tratta di una parola apparsa in Francia nel 1190 (vale a dire nel XII° secolo).
12. Merleau-Ponty M. , (L’institution. La passivité. Notes de cours au Collège de France (1954-1955), Belin, 2003.
13. In Hanna Harendt, l’agire politico performativo è messo in evidenza da Villa Dana R., in Arendt et Heidegger. Le destin du politique, Payot, 2008.
14. Deleuze G., Instincts et Institutions in L’île déserte. Textes et Entretiens 1953-1974, Minuit, 2002, pp. 24-27.
15. Castoriadis C., Marxisme et théorie révolutionnaire, L’institution imaginaire de la société, Seuil, 1975, pp. 13-171.
16. Si veda Clastres P., Les marxistes et leur anthropologie, Libre 3, 1978, p. 135-149.
17. Lefort C., Le travail de l’œuvre Machiavel, Gallimard, 1972.
18. Poirier N., L’ontologie politique de Castoriadis. Création et Institution, Payot, 2011.
19. Castoriadis cita soprattutto il frammento 45 di Eraclito, tradotto da Axelos : «I confini dell’anima non li puoi trovare andando, pur se percorri ogni strada: così profondo è il suo logos», Axelos K., Héraclite et la philosophie, Minuit, 1962, p. 176-177.
20. Oury J., Depusse M., A quelle heure passe le train?, Calmann-Lévy, 2003, p. 230.
21. L’espressione «agente collettivo di enunciazione» compare fin dalla prima raccolta di Guattari. Il concetto di «concatenamento collettivo di enunciazione» è pienamente sviluppato in Millepiani insieme a Gilles Deleuze. Si veda anche L’abécédaire de Gilles Deleuze, Montparnasse, 1996 («D comme désir»).
22. Saint-Just, Institutions républicaines, Œuvres complètes, folio, 2004, pp. 1136.
23. Deleuze G., Présentation de Sacher-Masoch, Minuit, 1967, pp. 68-71.
24. M. Abensour, Rire des lois, du magistrat et des dieux. L’impulsion Saint-Just, HORLIEU, 2005
25. Merleau-Ponty M., L’institution. La passivité. Notes de cours au Collège de France (1954-1955), Belin, 2003, p. 37.
26. L’abécédaire de Gilles Deleuze, Montparnasse,1996 («G comme Gauche»).
27. Foucault M., N’être pas tellement gouvernés: www.vacarme.org/article1388.html.
28. «Iper-dialettica» (Merleau-Ponty M.): che «rilancia la dialettica». Sul carattere trascendentale della Legge politica si veda Lefort C., L’institution du social n’est pas un fait social ». G. Labelle, « Quelques réflexions sur le désir et la domination à partir de Claude Lefort et Gilles Deleuze» www.mondecommun.com/index.php/enjeux-et-debats/la_boetie_ou_spinoza/ ; www.deterritorium.wordpress.com/2011/11/14/la-boetie-ou-spinoza-quelques-reflexions-sur-le-desir-et-la-domination-a-partir-de-claude-lefort-et-gilles-deleuze-par-gilles-labelle/
29. Lefort C., Le travail de l’œuvre Machiavel, Gallimard, 1972.
30. «L’anarchia, strana unità che si dice soltanto del molteplice», Deleuze G., Guattari F., Capitalisme et Schizophrénie. Mille Plateaux, Minuit, 1980, p. 196.
31 Deleuze G., Guattari F., Capitalisme et schizophrénie. L’Anti-Œdipe, Minuit, 1972, p. 369.
32. Sebbene il loro pensiero vada in direzioni diverse, Guattari su questo punto concorda con Oury: non si può ridurre l’alienazione mentale ad un’alienazione di tipo sociale. Si veda anche la critica della «anti-psichiatria», italiana e inglese: «la negazione istituzionale diventa allora una denegazione ([…] in senso freudiano) del caso specifico dell’alienazione mentale. […] La causalità politica non governa direttamente anche la causalità della follia. Al contrario, si ha piuttosto un concatenamento inconscio, laddove risiede la follia, che presiede il campo strutturale in cui si verificano le alternative politiche, le pulsioni e le inibizioni rivoluzionarie, affianco e oltre i determinismi sociali ed economici». Guérilla en psychiatrie, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero, 1972), p. 263-264; « […] tutta una corrente anglosassone di psichiatria sociale, d’«anti-psichiatria», si ripropone oggi di intervenire sulla società per riassorbire man mano i disturbi mentali in ambito sociale, riducendo così l’alienazione mentale ad un’alienazione di tipo sociale. Si ritorna sempre al medesimo punto: la follia è recepita come uno scandalo, conviene negarla e sopprimere ciascuna delle sue forme di manifestazione». Le fou, l’étudiant et le katangais, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, pp. 238-239. Soltanto Guattari può considerare la follia «come qualcosa che sfugge alla determinazione sociale»; evoca del resto «l’analisi esistenziale del rapportarsi alla follia». Introduction à la psychothérapie institutionnelle, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero, 1972), p. 41.
33 Deleuze G., Désir et plaisir, in Deux régimes de fous. Textes et entretiens 1975-1995, Minuit, 2003, p. 112.
34. Bataille G., La part maudite, Minuit, 1949/1967/2011.
35. Guattari F., Machine et structure, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero, 1972), p. 240.
36. Tosquelles opera una distinzione tra i complessi psico-sessuali da un lato e i complessi psico-sociali dall’altro. Si veda in particolare Oury J., Roulot D.: Institution et Surmoi, in Dialogues à La Borde. Psychopathologie et structure institutionnelle, Hermann, 2008, p. 127.
37. Deleuze G., Trois problèmes de groupe, prefazione a Guattari F., Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero, 1972), p. III.
38. Lourau R., L’analyse institutionnelle, Minuit, 1970, p. 90.
39. Deleuze G., Trois problèmes de groupe, Guattari F., Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero, 1972), p. IV.
40. Guattari F., La causalité, la subjectivité et l’histoire , in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero, 1972), p. 190.
41. Guattari F., Introduction à la psychothérapie institutionnelle, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003, p. 39. Recupera senza dubbio l’idea foucaultiana di «intollerabile».
42. Parola di Jacques Schotte, esperto belga di psicoterapia istituzionale (citato a più riprese nella prima raccolta di Guattari.
43. Deleuze G., Foucault, Minuit, 1986, p. 123.
44. Deleuze G., Les intellectuels et le pouvoir (con Michel Foucault), in L’île déserte. Textes et Entretiens 1953-1974, Minuit, 2002, p. 288.
45. Guattari F., Microphysique des pouvoirs, micro-politique des désirs, in Les années d’hiver. 1980-1985, Les Prairies Ordinaires, 2009, p. 216.
46. «Per circoscrivere questi fenomeni, abbiamo provato a proporre l’idea di oggetto istituzionale in quanto oggetto specifico del campo tecnico e scientifico della psicoterapia istituzionale», Guattari F., Réflexions pour des philosophes à propos de la psychothérapie institutionnelle, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), p.88.
47. Guattari F., Autogestion et narcissisme, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), p. 212.
48. «Stato/corrugamento» o « corrugamento dello Stato», secondo Jean Oury.
49. Secondo l’espressione dello psichiatra tedesco Hermann Simon (all’inizio della psicoterapia istituzionale).
50. Oury J., Création et schizophrénie, Galilée, 1989.
51. Oury J., Le Collectif, Champ Sociale, 2005 (Scarabée, 1986).
52. «In misura più modesta, più misera, si ha la carta del giorno: un volantino arricchito con dei disegni o delle foto tagliate a caso da varie riviste, in cui confluiscono tutte le occupazioni previste per quel giorno […]. Questo foglietto, de-massifica il giorno, trasforma la massa in pubblico». In Oury J. Depusse M., A quelle heure passe le train?, Calmann-Lévy, 2003, p. 93.
53. Abensour, De la compacité. Architecture et régimes totalitaires, Sens & Tonka, 1997.
54. Oury J., L’aliénation, Galilée, 1992.
55. «Soltanto la categoria del molteplice - nella sua accezione sostantivata, superando dunque il molteplice nonché l’Uno, superando la relazione predicativa de l’Uno e del multiplo - è in grado di rappresentare adeguatamente la produzione desiderante: la produzione desiderante è molteplicità pura, vale a dire irriducibile affermazione dell’unità». Deleuze G., Guattari F., Capitalisme et schizophrénie. L’Anti-Œdipe, Minuit, 1972, p. 50.
56. Pankow G., L’être-là du schizophrène, Flammarion, 2006.
57. Deleuze G., A propos des nouveaux philosophes et d’un problème plus général , in Deux régimes de fous. Textes et Entretiens 1975-1995, Minuit, 2003, pp. 127-134.
58. Guattari F., Réflexions pour des philosophes à propos de la psychothérapie institutionnelle, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), pp. 87-88.
59. Guattari F., Introduction à la psychothérapie institutionnelle, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), p. 45.
60 Guattari F., Réflexions pour des philosophes à propos de la psychothérapie institutionnelle, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), p. 93-94.
61. « […] Eppure, in modo antagonista, queste stesse forze produttive richiedono più “fattori umani”. All’interno della società contemporanea, a determinare meno il lavoratore è la forza lavoro misurata in tempo anziché la qualità del suo stesso lavoro oltre alla posizione strutturale che occupa nel dispositivo di produzione. Ciò che conta, in breve, è la produzione di significante, e la produzione di significante non può prescindere dalla produzione di unità soggettive, vale a dire dalla produzione di istituzioni. La contraddizione risiede nel fatto che le forze produttive tendono, da una lato, ad assoggettare gli individui in dei modelli stereotipati e, dall’altro, a richiedere (attraverso l’organizzazione del lavoro, la formazione professionale, le innovazioni tecnologiche, il riciclaggio, la ricerca e così via) la produzione di unità soggettive sempre più elaborate». Guattari F., L’étudiant, le fou et le katangais, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), p.235.
62. Guattari F., La contre-révolution est une science qui s’apprend, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), p. 210.
63. Guattari F., L’étudiant, le fou et le katangais, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), p. 237.
64. «In quanto parte della crisi che coinvolge l’Università, la rivoluzione istituzionale di maggio ha presto posto il problema su misura della società intera». Guattari F., L’étudiant, le fou et le katangais, in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972), p. 230.
65. Colson D., Petit lexique philosophique de l’anarchisme. De Proudhon à Deleuze, Le Livre de Poche, 2001, p. 287.
66. Lazzarato M., Les révolutions du capitalisme, Les empêcheurs de penser en rond, 2004.
67. Guattari F., in Psychanalyse et transversalité. Essais d’analyse institutionnelle, La Découverte, 2003 (Maspero 1972).