Equipèco Anno 9 Numero 32 estate 2012
La ricerca nella mente
“Quale affermazione sembra più veritiera: ho un cervello, oppure sono un cervello”.
Queste parole, pronunciate dal divulgatore scientifico Douglas Richard Hofstadter, rappresentano perfettamente la poetica dell’artista belga Jan Fabre, e non è un caso che si tratti di uno scienziato.
Infatti, tra i principi che stanno alla base dell’opera dell’artista fiammingo c’è la “concilience”, la relazione collaborativa fra le varie branche del sapere umano, che proietta l’esperienza dell’artista nel concetto wagneriano del Gesamtkunstwerk (arte totale). Si tratta di un’arte che non ricerca l’essenza, le strutture primarie minimaliste, tutto ciò che l’arte non può non essere, ma al contrario rappresenta tutto ciò che l’arte può essere: la vita stessa. Un’idea che ha le proprie basi storiche nell’arte performativa americana e nei gruppi Fluxus e Gutai, che Fabre prende come punto di riferimento per i propri studi. L’artista aggiunge così un nuovo tassello al mosaico che si sta costruendo dalle prime avanguardie artistiche, da quando l’arte è diventata meta-arte, cioè una riflessione sul concetto di arte stessa.
Muovendosi tra teatro, performance, video, scultura e disegno, Fabre indaga con ogni mezzo il proprio corpo, cercando nuove opportunità di sentire e di vedere. Nel suo laboratorio di ricerca la mente diventa l’oggetto principale dell’analisi artistica, non identificabile solo con l’organo celebrale, ma estesa a tutto il corpo che l’artista considera come un “cervello che cammina”. Parliamo di un corpo potenziato, con una memoria genetica, capace di conoscere e di scostare il “velo di Maya”, attingendo al sacro attraverso l’esperienza del superamento dei limiti. In questo modo il corpo diventa contemporaneamente sacro ed empirico e l’arte lo rappresenta attraverso una ricerca ontologica sull’essere. Tale indagine mira a dimostrare come l’essenza delle cose non va cercata oltre il fenomenico, ma dentro il fenomenico, più esattamente dentro la nostra mente.
Un esempio sono gli enormi cervelli di marmo sormontati da croci dell’installazione Pietas, esposti alla 52esima edizione della Biennale di Venezia nel 2011. In questa occasione Fabre trasforma il cervello da organo del pensiero razionale a organo dell’elaborazione della visione simbolica e religiosa, rendendolo il fulcro dell’iconografia cristologica della Pietà. La mente sostituisce il cuore, come organo dove ha sede la passione, e diventa il punto in comune tra spirituale e razionale, tra divino e umano. Quella di Fabre è un’esperienza tra la scienza e la poesia: da una parte c’è un interesse scientifico per il corpo, dall’altra la trasformazione del corpo anatomico in corpo emozionale, fonte di fascinazione evocativa. Così Jan Fabre apre una nuova pagina nel mondo dell’arte, attraverso l’indagine del mistero della vita racchiuso nella mente.