Equipèco Anno 10 Numero 36 estate 2013
Il grado zero della risata
La risata è simbolo universale di benessere e ottimismo, una reazione emotiva contagiosa che si manifesta in contrazioni concatenate dei muscoli facciali e che arriva fino a rimodellare il viso in una maschera grottesca. Tuttavia, nei faccioni rosa che sorridono a mille denti dell`artista cinese Yue Minjun, qualcosa non quadra. Le espressioni sorridenti non infondono nell’osservatore una sensazione di piacere, ma mettono in discussione la certezza della simmetria bipolare tra l’azione del riso del pianto, tra commedia e tragedia, tra esteriorità e interiorità.
Quando la risata è esagerata e uniforme, una convulsione generale che annulla ogni possibilità di comunicazione, il viso si paralizza e chiude la sua finestra sull’intimità.
Nato nel Daqing (nella provincia di Heilongjiang, in Cina), Yue Minjun è uno dei maggiori rappresentanti del “realismo cinico”, una corrente artistica che esprime il disincanto nei confronti dei cambiamenti socio-politici della società contemporanea cinese. Dopo la rottura storica della rivoluzione culturale maoista del 1966, dove ogni artista aveva il solo glorioso dovere di ritrarre Mao, ha intrapreso la corsa verso l’egemonia mondiale, partecipando al processo di omologazione sociale.
Nei dipinti di Minjun - recentemente esposti alla Fondation Cartier di Parigi - l’uomo è interpretato come la caricatura di se stesso: un esercito di cloni moltiplicati all’infinito con il medesimo sorriso e gli occhi serrati che non attendono più nulla. La società si cristallizza sotto le sembianze di una massa uniforme di individui identici privi di individualità che si autoderidono. In questa realtà l’unico modo di sopravvivere all’assurdo è il “realismo cinico”, un realismo che esprime l’adesione all’autenticità di una sensazione personale, sottolineando sprezzantemente l’impossibilità di costruire un soggetto, tanto per chi guarda, quanto per chi è guardato.
Anche l’evidente simbolismo delle opere dell’artista si svuota di ogni rimando storico e culturale. Uomini trasformati in alberi o dinosauri, rifacimenti di capolavori classici, citazioni di eventi storici o di simulacri della contemporaneità non sono altro che vuoti simboli erranti sulla tela, che paralizzano ogni possibilità di interpretazione, neutralizzati da un muro di facce sorridenti. Opere come “The death of Matat” del 2002, o la serie “Memory” del 2000 riducono il neoclassicismo e il surrealismo ad involucri vuoti, per cui il mondo non ha più posto.
Così il sorriso non diventa altro che una mera cerimonia del nostro secolo con la quale ci presentiamo al mondo esterno, galleggiando nell’omologazione sociale fino ad avallare un`idea di felicità apparente.