L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Art e Dossier (2003 - 2005) Anno Numero 170 settembre 2001



Le passioni di una vita

Gioia Mori



ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Il nuovo ritmo del Novecento
Elisa Guzzo Vaccarino
n. 217 Dicembre 2005

Il tema della discordia
Paul Lang
n. 216 novembre 2005

Tradizione e Innovazione
Anna Maria Ruta
n. 214 settembre 2005

Grande mela anni Ottanta
Gianni Mercurio
n. 215 ottobre 2005

Con gli occhi di Alice
Marina Pugliese
n. 213 luglio/agosto 2005

Realta' intensificata
William Feaver
n. 212 giugno 2005


Pablo Picasso, Maternità su fondo bianco (1953)

Pablo Picasso, Donna con berretto e vestito rosso (1937)

Pablo Picasso, I giochi (realizzato il 25 dicembre 1950)

Duecento opere di Picasso, provenienti soprattutto dalle collezioni degli eredi, sono esposte Milano, a Palazzo reale, nella mostra Picasso. 200 capolavori dal 1898 al 1972, dal 15 settembre al 27 gennaio.
Sono le opere da cui l'artista non si separò mai, forse perché raccontano le sue passioni più intime: gli amori, i figli, i miti mediterranei popolati di fauni e minotauri, gli artisti che amava.

I quadri sono donne pazze
appuntati sul cuore
delle bolle scintillanti
per gli occhi stretti alla gola
dal colpo di frusta carambolesco
che agita le ali
intorno al quadrato del suo desiderio.

Pablo Picasso, 1936


Picasso - è noto - non buttava via niente. Entrare nel suo studio era come varcare la soglia di un magazzino della memoria, dove il biglietto del circo e il ritaglio di giornale erano conservati con la medesima attenzione o, piuttosto, la stessa nonchalance che dedicava ai suoi quadri di Corot e Gauguin, alle poesie di Apollinaire, ai doni di Matisse, alle banconote che intanto andavano fuori corso. Tutto era accatastato e apparentemente dimenticato, sommerso da veli di polvere. Tutto era in realtà in uno stato di sospensione, in attesa di metamorfosi. "L'artista - confessò Picasso a Christian Zervos nel 1935 - raccoglie emozioni che vengono da ogni parte: dal cielo, dalla terra, da un pezzo di carta, da una forma che passa, da una tela di ragno. Proprio per questo non si deve far distinzioni tra le cose, le quali non sono stratificate per classi" (1). E dunque, tutto trovava posto nel suo universo, in un'indigestione di colori e forme, ricordi ed emozioni, uno stato che definì "di pienezza", a cui subentrava quello "di restituzione" - una tela, un disegno, una scultura -, che trasformava i pezzi di una bicicletta in un toro o una cesta nel corpo della figlia che salta con la corda, o un pezzo del fornello nell'inesistente Venere della Compagnia del Gas (2). Appare dunque chiaro perché Picasso abbia sempre dichiarato che l'arte astratta non esiste, convinto com'era che "si deve sempre partire da qualcosa. Si può togliere, dopo, qualsiasi apparenza di realtà, ma l'idea dell'oggetto avrà comunque lasciato il suo segno inconfondibile". Imprigionate nella tela del ragno creatore rimanevano dunque cose e persone, bloccate in ogni tentativo di fuga che l'oblio o l'assenza potessero escogitare: seppure libere o lontane, "qualunque cosa diventino, esse non potranno più sfuggire dal quadro; ne sono parte integrante, anche se la loro presenza non è più evidente" (3). Gentile e tenero, generoso e disponibile, emanante "una bontà sfavillante, una specie di serenità beffarda e anche una dolcezza inquietante", come lo descrive Simone Téry in un articolo del 1945, Picasso sembra conoscere comunque un solo modo di amare cose e persone, energico e inesorabile: possedendole. Molto dell'universo che amò rimase con lui fino alla sua morte: non vendette mai un'impressionante quantità di opere che imprigionavano ricordi e suggestioni indispensabili alla sua vita. Parte di questo suo personale mondo è oggi visibile al Musée Picasso di Parigi oppure è conservato dagli eredi, che sono, quest'ultimi, i maggiori prestatori delle opere esposte dalla metà di settembre a Milano.

PICASSO PRIVATO

È un diario per immagini, quello esposto a Milano, che può creare anche quel naturale disagio che subentra quando ci si accorge di leggere appunti privati. Perché moltissime delle opere hanno le loro precise date di nascita, giorno, mese e anno; e se la maggior parte di esse rimangono per noi "mute", alcune ci raccontano giorni che sono "particolari", le occupazioni di Picasso in un ultimo dell'anno, in un preciso compleanno, in un certo Natale: sappiamo così che trascorre il 31 dicembre del 1934 e il primo gennaio del 1935 pensando alla giovane Marie-Thérèse, che guida un sontuoso Minotauro; e che una donna domina i suoi pensieri del 31 dicembre 1938, così come quelli del suo compleanno del 1948, il 25 ottobre; e che forse il Natale del 1950 fu particolare, se riempì una tela dell'allegria dei piccoli Claude e Paloma impegnati nei nuovi giochi, un trenino e una macchina a pedali rossa. Piccoli segreti di famiglia, giorni rubati da occhi indiscreti. In sequenza ordinata - frasi scelte del racconto di una vita - compaiono amici e mogli, figli e amanti, giochi e innamoramenti estetici, come fu quello per Degas: più o meno trasformati (e le sembianze diventano monocromi cubisti, compassati volti ingresiani, stravolte metamorfosi colorate, linee e segni senza volume), comunque imprigionati.
Non si liberò mai della memoria di due amici, il catalano Casagemas, che è raffigurato morto in una tela del 1901, e l'apolide Apollinaire, per il quale elaborò un monumento di cui è esposto uno studio. A lungo Carles Casagemas ossessionò con la sua vicenda l'amico pittore, che forse non si era accorto della tragedia imminente: con il giovane anarchico e decadente, cultore di Maeterlinck e Verlaine, devastato dalla morfina e dall'alcool, poeta scadente e pittore mediocre (ma Picasso conserverà sempre due suoi dipinti), l'artista aveva diviso uno studio a Barcellona e anche quando andarono a Parigi, nel 1900, vissero nella stessa stanza. Un'amicizia troncata nel febbraio del 1901 dal suicidio del giovane, che diventerà il protagonista di una vita non vissuta in molte tele blu. E per Apollinaire, compagno delle stravaganti serate di quella che Gertrude Stein chiamerà "la banda Picasso", sensibile interprete dell'opera dell'artista e dei pittori cubisti, ucciso nel 1918 dalla febbre spagnola, Picasso pensò una "profonda statua di niente, come la poesia e la gloria", ispirandosi alle parole dell'uccello del Bènin, protagonista di un testo di Apollinaire: e fece una scultura sottile come un filo.
L'irregolarità della vita sentimentale di Picasso non smetterà di produrre biografie scandalose, film grotteschi e considerazioni inattuali; quegli amori segnati da innamoramenti fulminei, sostituzioni celate, compresenze dolorose, abbandoni plateali (vissuti con una dinamica così simile al suo processo creativo, fatto di "indigestioni" e restituzioni) sono tutti nelle sue opere, alcuni esposti a Milano: la compagna dei tempi del Bateau Lavoir, Fernande Olivier, ritratta in alcuni bronzi e in un prezioso disegno cubista del 1909; la moglie russa, la ballerina Olga Kokhlova, madre di Paulo, è la gigantesca dea che solleva il figlio in un piccolo legno del 1921 (misura solo 14,5 x 9,5 centimetri); la giovane Marie-Thérèse Walter, madre di Maya, appare in una tela del 1932 dai teneri colori pastello, dove il verde dello sfondo si sposa con il rosa di un corpo addormentato, o col buffo cappello nel ritratto (1937) in cui il grigio azzurro del volto domina lo sfondo giallo. E poi arriva la "donna che piange", Dora Maar, un'artista sensibile e tormentata come le opere che ha ispirato, abbandonata per la giovane Françoise Gilot, madre di Claude e Paloma, un'icona su fondo bianco che protegge in un abbraccio i figli (1953), o li assiste durante la lezione di disegno (1954).
Della donna Picasso conosceva e amava un archetipo mitico, la grande madre mediterranea che ricompare in alcune terrecotte del 1947, tanagrine del XX secolo dal sorriso accennato, con le mani sul grembo o i seni esagerati, o idolo incinta in un bronzo degli anni Cinquanta. Madri, figli e nipoti narrano una storia più intima, quella del patriarca che fissa con nostalgica tenerezza i giochi semplici dei bambini: Paulo con la palla, Paloma che salta con la corda o gioca con una macchinina, Claude e Paloma con il triciclo, fino al piccolo sulla spiaggia con la paletta azzurra (1971). Picasso pensava che, "come diciamo in Spagna, l'amore deve essere provato coi fatti non con gli argomenti. Conta quel che si fa, non quel che si ha intenzione di fare" (4). E certo i suoi lavori non sono argomenti.

UOMINI CHE GUARDANO

Françoise Gilot racconta di quando Picasso le mostrò alcune incisioni: "Erano popolate di minotauri, centauri, fauni, uomini barbuti o rasati, di ogni sorta di donne. Tutti erano nudi o quasi, e sembravano gli interpreti di un dramma della mitologia greca"(5). È Picasso stesso a spiegare il Minotauro, figura gaudente e tragica, che "mantiene le sue donne nel lusso, ma regna col terrore, ed esse sono felici di vederlo morire". È sempre il Mediterraneo del mito, trasformato in Montparnasse, all'origine delle incisioni in cui piccole Marie-Thérèse bambine conducono minotauri ciechi e illuminano le lotte del mostro: "L'ambiente è un'isola rocciosa del Mediterraneo. Creta, per esempio. Là, lungo la costa, vivono i minotauri. Sono ricchi signori dell'isola. Sanno di essere dei mostri e vivono, come i dandies e i dilettanti di ogni luogo, una esistenza che sa di decadenza, in case piene di opere d'arte dei pittori e scultori più alla moda. Adorano essere circondati di belle donne, che i pescatori del luogo vanno a cercare nelle isole vicine. Quando il calore del giorno ha ceduto, invitano gli scultori e le loro modelle a delle feste, dove, fra musiche e danze, ognuno si sazia di ostriche e di champagne, fino a quando la gioia succede alla malinconia. Allora nasce l'orgia. [...] Un minotauro non può essere amato per se stesso. O almeno non pensa di esserlo. Non gli sembra logico, ecco. Forse per questo si abbandona alle orge". A volte, i suoi fauni e i suoi minotauri si abbandonano a gesti di apparente tenerezza e sembrano vegliare placide donne addormentate, come Picasso amava ritrarle: "Passò a un'altra incisione, un Minotauro in atto di sorvegliare una donna dormiente. "Sta studiandola, cercando di leggere i suoi pensieri, per scoprire se lei lo ama perché è un mostro. [...] Le donne sono abbastanza bizzarre per farlo". Guardò di nuovo l'incisione: "Difficile dire se intenda svegliarla o ucciderla"".
I fauni e i minotauri degli anni Trenta, impegnati a svelare donne addormentate, diventeranno in vecchiaia innocui suonatori di flauti (come in una tela del 1971) e voyeur che disegnano in bordelli d'altri tempi. È alla fine della sua vita che Picasso elabora un singolare omaggio a Degas: non all'artista che con la sua Ballerina di quattordici anni vestita di tulle e dai capelli di crine anticipava l'uso di materiali quotidiani nell'opera d'arte, ma quello più nascosto e segreto, l'autore dei monotipi che ritrae la vita delle case chiuse. Richardson racconta come, vedendo il monotipo di Degas Sul letto, Picasso rimanesse sedotto dal lavoro, ritrovandovi l'immediatezza di una foto in bianco e nero e la forza, l'impatto di un disegno di Rembrandt. Era il 1958, quando Picasso riuscì ad acquistare quei monotipi che Vollard si era sempre rifiutato di cedergli, usati dal mercante come illustrazioni per le edizioni di lusso de La Maison Tellier di Maupassant (1934) e Mimes des courtisanes de Lucine di Pierre Louÿs (1935). Passò quasi un ventennio, prima che da queste opere nascessero le incisioni che vedono Degas come protagonista, non variazioni sul tema come quelle elaborate su opere di Delacroix o Manet, Le Nain, Velázquez o El Greco, piuttosto una piccola ossessione come quella che gli aveva ispirato Rembrandt che ritrae Saskia e decine di dipinti con pittori e modelle. Nel caso di Degas, che compare per la prima volta in un'incisione datata 16 marzo 1971, l'artista diventa il voyeur in giacca e cravatta che prende appunti sulla nudità senza inibizioni delle prostitute, compare in un quadro che adorna la stanza delle donne, appare armato di sguardi che emanano raggi indirizzati verso le oscene contorsioni delle modelle, indiscreto spettatore spesso relegato al margine del foglio. Secondo Brassaï, Picasso in quell'uomo con barba rappresentava il padre. Anche lui pittore, noto frequentatore dei postriboli di Malaga, che però dipingeva colombe.
Storie di uomini che guardano, di uomini che si trasformano in fauni e minotauri. Fantasmi della malinconia che con l'orgia diventa gioia, della solitudine che potrebbe portare alla santità. Perché, raccontava Picasso, "nulla può essere fatto senza la solitudine. Mi sono creato una solitudine che nessuno sospetta. È molto difficile oggi essere solo, perché abbiamo gli orologi. Avete mai visto un santo con l'orologio? Ho cercato dappertutto per trovarne uno, perfino tra i santi che sono considerati i protettori degli orologiai" (6).

Note:
(1) C. Zervos, in "Cahiers d'Art", n. 7, ottobre 1935, in P. Picasso, Scritti, Milano 1998, p. 30: "Il pittore subisce stati di pienezza e di restituzione. È questo il segreto dell'arte. Vado a passeggiare nella foresta di Fontainebleau, faccio indigestione di verde. Devo pur liberarmi da questa sensazione in un quadro. Il verde è il colore in esso dominante. Il pittore dipinge per un bisogno di liberarsi da sensazioni e visioni".
(2) A. Warnod, in "Arts", 29 giugno 1945, in P. Picasso, op. cit., pp. 55-56: "Picasso ci lascia un momento e ritorna con un oggetto in ferro, una statuetta rappresentante una donna, di non so quale civiltà, di un'arte arcaica, oppure negra, o di una concezione molto moderna: una testa piatta sorretta da un lungo collo, le braccia arrotondate a cerchio, in mezzo al cerchio un cerchio più piccolo forato da buchi che possono rappresentare i seni e al di sotto due gambe che reggono il tutto. "Che nome le dareste? Io la chiamerei La Venere della Compagnia del Gas". "E perché mai?". "Perché l'oggetto che vi presento non è una statuetta. È semplicemente un pezzo del mio fornello a gas. Troverete senz'altro un pezzo simile nella vostra cucina". "Lo ammetto, mi sono ingannato". "Perché ingannato? Quest'oggetto può ben essere il segno di una donna e le linee, i volumi, sono armoniosi. Bastava scoprirlo". "Fate spesso scoperte del genere?". "Qualche volta. Ricordate la Testa di toro che ho esposto recentemente? Ecco come è stata concepita. Avevo notato in un angolo un manubrio e una sella di bicicletta disposti in modo tale che assomigliavano a una testa di toro. Ho messo insieme questi due oggetti in un certo modo". "Ci avrete messo del vostro". "Insomma, ho fatto di quel manubrio e di quella sella una testa di toro che tutti hanno riconosciuto come tale. La metamorfosi si era compiuta e mi auguro che un'altra metamorfosi si compia in senso contrario...".
(3) C. Zervos, op. cit., p. 29.
(4) M. de Zayas, in "The Arts", maggio 1923, in P. Picasso, op. cit., p. 11.
(5) F. Gilot, Vita con Picasso (1964), Torino 1998, pp. 43-44.
(6) E. Tériade, in "L'Intransigeant", 15 giugno 1932, in P. Picasso, op. cit., p. 25.

Tutte le immagini sono Cortesia Ufficio stampa mostra Picasso. 200 capolavori dal 1898 al 1972 - Milano, Palazzo reale, dal 15 settembre al 27 gennaio.