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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 20 Numero 212 giugno 2005



Realta' intensificata

William Feaver

Lucian Freud



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Lucian Freud, Buttercups (1968); collezione privata

Lucian Freud, Double portrait (1985-1986); collezione privata

Lucian Freud, Painter working, reflection (1993); collezione privata

Salutato alla fine degli anni Ottanta come "il maggior pittore realista vivente", Lucian Freud ama mostrare i soggetti ritratti così come sono, con bellezze e imperfezioni e, pur guardando ai modelli del passato, si conferma pienamente "moderno".
Ce ne parla il curatore della mostra in corso a Venezia.

Nel 1954, quando espose le sue opere nel Padiglione britannico alla XXVII Biennale di Venezia, Lucian Freud aveva trentadue anni. In confronto con gli altri due espositori, Francis Bacon e Ben Nicholson, era ancora il giovane prodigio, con un nome importante – Sigmund Freud era suo nonno – e virtualmente senza rivali come pittore di preciso dettaglio. In tempo per la Biennale aveva terminato il dipinto di una camera d’albergo di Parigi con sua moglie a letto, triste, e lui in piedi curvo su di lei, intento a fissarsi in mente non solo l’aspetto, ma l’atmosfera del luogo e il senso di un matrimonio fallito.
Nell’ultima sala della sua mostra al Museo Correr, Freud espone The painter is surprised by a naked admirer, un dipinto terminato di recente e significativo proprio come Hotel bedroom cinquant’anni fa. L’artista ottantaduenne si trova, come allora, in secondo piano. A Parigi si guardava nello specchio sulla porta dell’armadio. Ora, nel suo studio all’ultimo piano di un palazzo di Holland Park, nella parte ovest di Londra, sta a due metri dalla tela sul cavalletto. Questa volta però non è il mal di testa della moglie a farsi notare, ma l’apparizione di una giovane donna che impone la sua presenza aggrappandosi alla gamba di lui. Freud guarda in basso, evidentemente compiaciuto dal modo in cui la sua musa gli poggia la guancia sulla coscia. Ma è solo un’interruzione: l’impresa del dipingere deve andare avanti.
Fino alla fine degli anni Settanta Freud non era molto conosciuto al di fuori della Gran Bretagna. Una retrospettiva organizzata dal British Council allo Hirshhorn Museum di Washington nel 1987 diffuse in modo considerevole la conoscenza della sua opera. Tutto a un tratto venne salutato come "il maggior pittore realista vivente" (Robert Hughes) e i riconoscimenti crebbero di conseguenza. Freud non andò mai a visitare la mostra di Washington o quella di Parigi, e tanto meno quella di Berlino (la vide solo quando l’esposizione fece poi tappa a Londra). Freud, che di regola evita le interviste per proteggere la propria privacy, ha sempre sostenuto che i suoi dipinti parlano per lui e che, da un certo punto di vista, sono tutti autoritratti. In questo caso non hanno bisogno di spiegazioni. Il corso della sua vita, fondamentalmente lavorativa, può essere indagato attraverso i dipinti. Ma il valore e la qualità dei dipinti si basa sulla loro indipendenza dai dettagli biografici. Essi sono, insiste Freud, autosufficienti.

Lo sguardo indagatore

La grande retrospettiva dedicata a Freud presentata a Londra, Barcellona e Los Angeles due anni fa ha attirato folle numerose e provocato commenti torrenziali sulla forza di ciò che egli definisce un’"intensificazione della realtà". Non si tratta di espressionismo né, tanto meno, di puro realismo naturalistico. È uno sguardo che indaga alla ricerca di nuovi valori quali la goffaggine, la tenerezza e la spietatezza. È raro che il pittore si avventuri al di fuori dei confini della stanza in cui vive e lavora. Non è un recluso, ma tratta la propria vita in modo tale che qualsiasi cosa che non sia pittura diviene talmente subordinata da non contare quasi più. Le persone gli servono come modelli, di solito perché gli sono vicine (e perché hanno tempo); li "usa", dice spesso, ma lo fa con la convinzione che la loro utilità sia più al servizio della pittura che non del pittore.
Anche una pianta può posare per Freud, mentre fiorisce o avvizzisce col passare delle settimane o dei mesi. A Freud piacciono i cavalli: quando gli capita monta ancora a pelo, e puntando sui cavalli negli anni ha vinto e perso intere fortune. Quando dipinge un cavallo lo fa con lo sguardo di uno che conosce le finezze della carne equina. Gli animali lo affascinano. Ha vissuto quindici anni con Pluto, la sua cagna di razza whippet, trovando con lei una forma di accordo. I cani whippet dormono molto e sono quindi ideali da dipingere; inoltre scattano e fiutano, seguono i propri istinti, amano tuffarsi in un bel letto caldo e assumono posizioni eleganti in qualsiasi momento. Pluto assomigliava molto a Freud. Ed egli le riconosceva qualità per lui importanti: forti appetiti, risposte dirette, prontezza e devozione.
Nel selezionare le opere per la mostra al Museo Correr ho fatto fatica a far risaltare la tenacia e il candore straordinari di Freud. Non è un pittore che lusinga il suo modello, ma neanche (come spesso si sostiene) uno che mostra il peggio delle persone. Ci mostra come siamo: vulnerabili, spesso ansiosi e mai privi di difetti. Tratta la pelle e il pelo, le foglie e i tessuti, le unghie rosicchiate, il cuoio capelluto rasato a zero, come sostanze affascinanti, roba da ritrarre fedelmente con la pittura. Freud può sembrare in contrasto con la tendenza comune dell’arte dell’inizio del XXI secolo, ma i suoi dipinti (come pure le incisioni degli ultimi anni, ugualmente potenti) a questa tendenza appartengono nel modo più vero. Benché presti ascolto a Tiziano e a Hals, a Rembrandt, a Corot, a Courbet e a Ingres, a Cézanne e a Picasso, ai nani di Velázquez e alle odalische di Ingres e Matisse, Freud è un innovatore nonostante tutto. Ambizioso, pieno di risorse, privo di pretese nel modo più assoluto, Freud è tipicamente "moderno" proprio come tutti gli altri artisti di oggi e, nonostante le sue scelte ostinate, infinitamente più abile della maggior parte degli altri.
William Feaver