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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 20 Numero 217 Dicembre 2005



Il nuovo ritmo del Novecento

Elisa Guzzo Vaccarino



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Aleksandra Ekster, bozzetto di costume per la danza dei sette veli in Salomé (1917); Mosca, Museo centrale statale Bakhrushin di arte teatrale

Keith Haring, disegno per il Monte Carlo Ballet (1989), collezione privata

Joan Miro', modello della scenografia per Jeux d'enfants (1932), Barcellona, Fundacio' Joan Miro'

La storia della danza nel XX secolo e' strettamente legata alla spinta propulsiva dell'arte d'avanguardia, che ebbe un ruolo fondamentale nell'elaborazione di coreografie e scenografie d'impronta totalmente nuova. Tre personaggi a Parigi furono gli artefici di questa rivoluzione: Diaghilev, Rolf de Maré e Loïe Fuller.

Il nuovo in danza, nel Novecento, è nato dalla rivoluzionaria concezione del corpo come soggetto d'arte o dalla pittura e dalle sue avanguardie che ne fanno un oggetto artistico privilegiato? Guardando ai personaggi chiave della nuova scena coreografica in Europa, si deve riconoscere che, se il percorso è a doppio binario, la pittura ha giocato comunque un ruolo di traino fondamentale. La danza delle avanguardie, in corso al MART di Rovereto da dicembre 2005 a maggio 2006, offre più di una risposta a questo ricco campo di questioni, proponendo opere-chiave intorno ai luoghi, dalla Russia pre e postsovietica, al centro Europa, agli Stati Uniti, ai momenti – i primi trent'anni del Novecento e l'oggi –, alle figure forti della coreografia internazionale del Novecento, da Nijinsky a Balanchine, da Martha Graham a Oskar Schlemmer.

- I personaggi-chiave

Circa la centralità della nuova pittura per la nuova danza, basta pensare a tre delle personalità più importanti presenti in esposizione, che marcarono a fondo il panorama parigino dell'inizio del secolo scorso: Sergej Diaghilev, impresario dei Ballets Russes, Rolf de Maré, patron dei Ballets Suedois, Loïe Fuller, "danzatrice di luce".
Sergej Diaghilev (1872-1929), nato da un ceppo di piccola nobiltà, allevato in un ambiente musicofilo, studia pianoforte ed è allievo di Rimskij-Korsakov al Conservatorio di San Pietroburgo, ma decide poi di dedicarsi alla critica d'arte e all'organizzazione di mostre. Fonda nel 1898 una rivista, "Mir Iskusstva", cioè "Il mondo dell'arte", che esisterà fino al 1904, sostenendo la pittura simbolista-impressionista e quella russa, da Alexandre Benois e Lev Bakst, a Nikolaj Roerich (tutti e tre futuri scenografi per il balletto), a Konstantin Somov, Boris Kustodiev, Valentin Serov e Ivan Bilibin. Cura poi, nel 1900, innovandone la veste grafica, l'"Annuario dei teatri imperiali", come assistente del direttore, il principe Sergej Volkonskij. L'anno seguente è suo il progetto di dare nuova veste estetica al balletto pastorale Sylvia di Léo Delibes, a opera appunto di Alexandre Benois, di famiglia francese, figlio di un architetto di corte pietroburghese, che aveva lavorato al Pavillon d'Armide del teatro Marinskij nel 1907. Progetto che però fallisce: Diaghilev viene destituito dall'incarico. Trasferisce allora il suo attivismo a Parigi, con una mostra di pittura al Salon d'Automne nel 1906, una serie di concerti nel 1907 e con l'opera di Mussorgskij Boris Godunov, protagonista il grande cantante lirico Fiodor Chaliapin, all'Opéra nel 1908. È la scoperta delle meraviglie dell'arte russa in Occidente. Dalla stagione successiva fioriscono i balletti "firmati", per cui Diaghilev, genialmente, trova fondi, piazze per creare il proprio mercato planetario, attenzione mondana e colta, e soprattutto riunisce, con il suo fiuto e il suo gusto raffinati, l'équipe di lavoro – scenografo e costumista, musicista, coreografo – più appropriata a ogni nuovo titolo in cartellone. I Ballets Russes fanno moda, impongono fogge e colori agli abiti e agli arredi nelle case della crème della buona società; passare sulle scene teatrali dello Châtelet, dell'Opéra, degli Champs-Elysées sotto la loro sigla è garanzia, se non di successo, di promozione "pubblicitaria" certa per sé e per la propria corrente artistica. E tutti fanno perciò a gara per mettersi in luce nella cerchia diaghileviana. Il che spiega la delusione dei futuristi per le occasioni mancate, come Le chant du rossignol (1920), tolto a Fortunato Depero, che disegnò costumi volumetrici "indanzabili", per attribuirlo a Henri Matisse, pittore che subisce e traduce nella sua pittura tutto il fascino dell'Asia, vicina e lontana, passata e presente. Una suggestione orientale-cinese, quella della fiaba di Andersen, che toccherà poi anche l'artista totale Oskar Schlemmer nel 1929.

- Gli "svedesi"

Se non si riesce a lavorare per Diaghilev, si bussa all'"altra porta", quella dei Ballets Suédois di Rolf de Maré. Come fa Jean Cocteau che, dopo Parade (1917) – un piccolo circo cubista su musica di Erik Satie comprensiva di spari e rumori di sirene, con i suoi impresari torreggianti, francese e americano, l'acrobata e la bambina, il prestigiatore cinese, il cavallo animato – finisce per rivolgersi a De Maré, con cui allestisce nel 1921 il surreale Les mariés de la tour Eiffel, pieno di personaggi eccentrici, leoni, struzzi, telegrammi animati, generali e bambini terribili, dove fungerà anche da voce recitante. Fernand Léger, invece, collabora solo con gli svedesi per cui firma scene e costumi di Skating Rink (1922), melodramma popolare su una pista di pattinaggio, e di La création du monde (1923), balletto africano. Giorgio de Chirico disegna La jarre pirandelliana in colori mediterranei e in clima di sospesa classicità, su musica di Alfredo Casella, per gli svedesi nel 1924 e Le bal per i russi nel 1929 su musica di Vittorio Rieti, balletto narrativo con "divertissement", forte di costumi "statuari" greco-romani metafisici.
Il nobile e facoltoso Rolf de Maré è quindi il grande competitore di Diaghilev a Parigi. Pure lui parte dalla pittura. Colleziona opere sulla base dei consigli dell'amico Nils Dardel, per approdare alla scena parigina, con i suoi Ballets Suédois, pronti ad accogliere i contributi visuali dello stesso Dardel (Nuit de Saint-Jean, Maison de fous), di Léger, di cui possiede vari dipinti.
L'ultima produzione della compagnia è Relâche, vale a dire un "non-balletto" nel "giorno di riposo". Vi lavora una personalità bizzarra come Francis Picabia, su musica di Erik Satie, e con un intervallo filmico, Entr'acte, girato da René Clair. La coreografia è affidata a Jean Börlin, allievo del primo tra i coreografi di Diaghilev, Mikhail Fokine. Börlin diventa il coreografo unico del gruppo, incaricato di "mettere in danza" idee e immagini offerte dagli artisti invitati, in un solo, intenso lustro, tra il 1920 e il 1925.
La seduzione dell'altrove, dagli svedesi, è declinata in un sentore di profumi africani: Création du monde (1923) e, prima, Sculpture nègre (1920) in cui Börlin stesso danza, mascherato e decorato come una statuetta tribale. È lo "spirito del tempo"; basta riandare allo studio di Picasso al Bateau-Lavoir, che lo vede circondato da pezzi di "art nègre" in una famosa foto del 1908. Ed ecco ancora la Spagna di Iberia, l'Oriente di Derviches, l'America degli immigranti e del jazz di Within the quota, su musica di Cole Porter, con un titolo allusivo al fatto che ogni etnia di aspiranti a entrare nel Nuovo Mondo doveva rientrare in una quota autorizzata di permessi.
Chi vince la palma dell'Avant-garde più spinta: i russi o gli svedesi? Difficile dare una risposta univoca, soprattutto perché i balletti più "estremi", a lungo lasciati cadere, vengono riscoperti solo ora a cura della coppia di specialisti Millicent Hodson e Kenneth Archer. Questo vale per Skating Rink dei Ballets Suedois, ma anche per il Sacre du printemps dei Ballets Russes, modernissimo, sulla musica disarmonica e poliritmica di Igor Stravinskij, con scene e costumi e make-up barbarici e fauve di Nikolaj Roerich, e coreografia battente con i piedi "in dentro" e le ginocchia piegate: un fiero scandalo, che segnò il passaggio per la troupe di Diaghilev dall'accattivante fase orientalista a quella "hard", sperimentale.

- La giocoliera della luce

Sul fronte della "modern dance", Loïe Fuller (1862-1928), pioniera statunitense, ex attrice di vaudeville, approdata a Parigi nel 1893, giocoliera della luce con i suoi maxi veli rotanti illuminati da sapienti giochi di colore, amata dai simbolisti e dai futuristi, si esibisce come attrazione alle Folies-Bergère, dopo aver bussato invano alle porte dell'Opéra di Parigi. Ed è "La Loïe", così soprannominata, che nel 1900 in occasione dell'Exposition Universelle parigina monta un suo padiglione a forma di immenso velario, a convincere Isadora Duncan (1877-1927), profetessa della danza libera, naturale come le onde del mare, a lasciare l'America, la California dove è nata e New York e Chicago, dove aveva tentato la fortuna con relativo esito, per la Ville Lumière nel 1900.
Loïe è amica e agente oltreoceano di Auguste Rodin, autore di acquerelli ispirati alle danzatrici cambogiane e di sculture dedicate alla danza e a Nijinsky, il ballerino-coreografo-divo dei Ballets russes. Sarà proprio lei a esportare negli Stati Uniti alcune statue di Rodin, fornendo opere-base a vari nascenti musei americani.
È dunque la pittura a cambiare la danza? O è la danza a fornire materia per animare tridimensionalmente la pittura? L'interesse per l'intercambiabilità delle arti, per tutta la prima metà del Novecento, è vivo e diffuso: basta guardare a opere come La musica è come la pittura di Francis Picabia (1914-1917) e più avanti Broadway Boogie-Woogie di Piet Mondrian (1942-1943). O, prima ancora, alle ricerche di Alexandre Sakaharov (1886-1963), performer ebreo ucraino, che avrebbe dovuto collaborare nel 1908 con Vassilj Kandinskij per il famoso Suono giallo(*), improvvisazione su musica, colore e gesto: il musicista Thomas von Hartmann avrebbe scelto un acquerello da suonare; il ballerino avrebbe poi dovuto danzare quella partitura indovinando l'acquerello di partenza.
Ma il dialogo tra le arti per la scena continua, contro ogni proclamato azzeramento negazionista: assistito dal computer, per esempio per i superbi danzatori virtuali di Merce Cunningham in Biped (1999), o affidato agli stilisti. Gianni Versace per Maurice Béjart nel 1987 a San Pietroburgo in Souvenir de Leningrad, ridisegna gli orientalismi alla Bakst e Benois, mentre Christian Lacroix per Blanca Li all'Opéra di Parigi, nel 2001, realizza una nuova veste per Shéhérazade, dopo quella originaria di Benois per Diaghilev del 1910. La partita tra le arti, ora come ieri, è tutta da giocare.


La mostra La danza delle avanguardie (Mart Rovereto, corso Bettini 43; telefono 0464 438887, informazioni 800 397760; www.mart.trento.it; orario 10-21, chiuso lunedì), a cura di Gabriella Belli ed Elisa Guzzo Vaccarino, dal 17 dicembre 2005 all'8 maggio 2006, esplora le relazioni tra danza come espressione artistica d'avanguardia e le altre arti del Novecento, un intreccio che ha portato la danza a esiti rivoluzionari: i coreografi e gli scenografi più innovativi hanno raccolto spunti e suggestioni lavorando fianco a fianco con gli artisti; d'altro canto, pittori, architetti, stilisti sono spesso intervenuti direttamente in ambito teatrale. Il percorso espositivo presenta oltre settecento opere tra tele, sculture, fotografie, scenografie e costumi originali, a partire dagli artisti di fine Ottocento come Degas e Toulouse-Lautrec, passando per Matisse e Picasso, le avanguardie russe, Ie sperimentazioni degli anni Quaranta, fino ad arrivare a lavori per coreografie, video e performance di Sol LeWitt, Haring, Rauschenberg, Anish Kapoor, Jeff Koons. Catalogo Skira.