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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 17 Numero 185 gennaio 2003



Grandi mostre

Ludovico Pratesi

Incontri alla galleria Borghese di Roma



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Incontri alla galleria Borghese di Roma

AL CROCEVIA TRA PASSATO E PRESENTE

Gli "incontri" cui allude il titolo della mostra mettono di fronte - in uno dei principali musei del nostro paese - arte antica, arte contemporanea e restauro, in un evento che ha tratti di singolarità ma che trova anche conforto nello spirito "libero" del fondatore stesso della collezione. Ce ne parla qui uno dei curatori.

Ci sono molti modi per festeggiare il centenario di un evento che ha cambiato il corso della storia. Si può semplicemente ricordarlo, documentandolo nei particolari più minuziosi, per sottolinearne la portata. Si può celebrarlo enfatizzandone i contenuti, per ricostruire le circostanze che ne determinarono l'accaduto in maniera più fedele possibile. Oppure si può proiettarlo nel futuro, aggiungendo elementi nuovi, per stimolarne una lettura non in chiave meramente filologica bensì avveniristica.
Facciamo un salto indietro di cento anni. Nel 1902, dopo molte indecisioni, lo Stato italiano decise di acquistare la villa dei principi Borghese, un ampio parco situato immediatamente fuori Porta Pinciana, insieme all'edificio costruito per volontà del cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, dagli architetti di famiglia Flaminio Ponzio e Giovanni Vasanzio, terminata nel 1620. Non una residenza qualunque, intendiamoci, ma un vero e proprio museo privato, dove il porporato custodiva le sue collezioni d'arte: centinaia di statue antiche (la sola facciata era ornata da centoquarantaquattro bassorilievi e settanta busti) accostate alle sculture dei contemporanei di Scipione, come Pietro Bernini, suo figlio Gian Lorenzo e Alessandro Algardi. Alle opere scolpite si aggiungeva inoltre la "galleria dei quadri mobili", affollata di opere di maestri come Antonello da Messina, Tiziano, Lorenzo Lotto, Domenichino, Rubens e Caravaggio. Fin qui, nulla di strano: già dalla fine del Quattrocento i nobili romani collezionavano opere d'arte e personaggi come il marchese Vincenzo Giustiniani, il cardinale Francesco Maria del Monte o il marchese Asdrubale Mattei avevano ammassato nei loro palazzi centinaia di capolavori di arte greca e romana.
Ma la collezione del cardinal Borghese era unica nel suo genere per una novità: in quella che Francis Haskell ha definito "l'animata confusione dei Borghese" vigeva il principio del confronto dell'arte del tempo di Scipione con la statuaria classica degli antichi. Il "sacro fuoco" che animava il cardinale era frutto del desiderio di far convivere l'antico col moderno e, come ha affermato Maurizio Calvesi, l'originalità della raccolta borghesiana era che la sfida tra l'arte del passato e quella del presente "potesse essere non soltanto autorevolmente sostenuta, ma addirittura vinta anche sotto il profilo del risultato artistico, e il gran numero di sculture classiche raccolte insieme alle opere moderne nella Villa Pinciana doveva consentirne la diretta e meravigliosa verifica"(1).
Ritorniamo all'acquisizione, che ha permesso di conservare intatto l'edificio che è stato definito di recente come "il più bel museo del mondo", evitando la dispersione di una collezione che non ha paragoni. Come ricordarla un secolo dopo in maniera degna ma non banale, in modo da aggiungere alla solenne storia della galleria Borghese anche qualcosa che la poteva proiettare nel nostro presente? Una maniera possibile era proprio quella di rispettare la passione del "cardinale collezionista", che all'inizio del Seicento aveva avuto l'audacia e il coraggio (che a un nipote di papa non potevano certo mancare) di accostare gli "scandalosi" dipinti del Caravaggio ai busti di senatori e divinità pagane che affollavano i saloni della sua residenza. Così, il soprintendente al Polo museale romano Claudio Strinati, la direttrice della galleria Borghese Alba Costamagna e lo scrivente hanno deciso di accogliere la sfida lanciata da Scipione quattro secoli fa: far dialogare tra loro i dipinti di sette maestri del passato con le opere realizzate per l'occasione da altrettanti artisti contemporanei italiani di fama internazionale.

LA SFIDA DEL CONTEMPORANEO

Così è nato Incontri, un evento "pluridisciplinare" che coinvolge allo stesso livello arte antica, arte contemporanea, restauro e museologia, incentrato appunto sul rapporto tra le opere contemporanee e i capolavori della galleria Borghese, selezionati tra quelli che necessitavano di un restauro, ai quali si aggiunge il Davide con la testa di Golia di Caravaggio, inserito nel gruppo come opera-simbolo del museo. Un rapporto che non vuole presentarsi a uno scontro, bensì stabilire una continuità tra passato e presente, antico e moderno, in nome di una giusta e inevitabile evoluzione dell'arte, di cui sono testimoni i sette artisti che espongono in mostra insieme a maestri del calibro di Antonello da Messina, Giovanni Bellini, Michelangelo da Caravaggio, Annibale Carracci, Perugino, Raffaello e Rubens. Ognuno a suo modo si è guadagnato "sul campo" le credenziali per dialogare con loro alla pari, nella solenne cornice della galleria Borghese. Se Carla Accardi fa parte, fin dagli anni Cinquanta, dell'astrattismo europeo, Giulio Paolini e Jannis Kounellis sono stati fondatori della corrente dell'Arte povera, mentre Luigi Ontani ha anticipato con i suoi "tableaux vivants" molte ricerche di artisti stranieri emersi negli ultimi vent'anni. Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Mimmo Paladino, in qualità di membri della Transavanguardia, hanno contribuito fin dagli ultimi anni Settanta al ritorno della pittura sulla scena dell'arte intesa come rivisitazione in chiave postmoderna di una pratica espressiva tradizionale.
A queste personalità, che hanno il merito di aver tenuto alto il vessillo dell'arte italiana contemporanea nell'affollato scenario artistico internazionale, abbiamo chiesto di confrontarsi con i grandi maestri del passato, dei quali sono i legittimi eredi. All'interno del salone d'ingresso della galleria Borghese, sotto la volta affrescata nel 1775 dal pittore siciliano Mariano Rossi con La vittoria di Furio Camillo sui Galli, l'architetto Franco Purini ha realizzato uno spazio per ospitare le opere dei quattordici artisti. A ogni dialogo è riservata una stanza, una sorta di sobria camera conventuale che ricorda le celle del convento di San Marco a Firenze affrescate dal Beato Angelico.
Antico e moderno, passato e presente. Uno di fronte all'altro. Per testimoniare l'evoluzione dell'arte antica nel presente, attraverso sette dialoghi originali e sorprendenti. Come? Ogni artista ha scelto di lavorare su un dettaglio dell'opera antica, per definire un ideale territorio comune sul quale costruire il proprio lavoro.

IL MOMENTO DEL CONFRONTO

Così, Mimmo Paladino ha interpretato il Ritratto d'uomo di Antonello da Messina in un microcosmo di forme e colori in bilico tra pittura, scultura e architettura. L'artista è partito dal manto rosso dell'uomo ritratto da Antonello (che secondo Paladino rappresenta "l'elemento più prezioso dell'opera") e lo ha trasformato in una struttura tridimensionale, un poliedro dal quale fuoriesce una piccola tela dipinta dall'artista con un ritratto fortemente geometrizzato, dove Paladino ha sovrapposto al volto di tre quarti ripreso da Antonello un altro volto frontale, disegnato sulla tela grezza. Il punto di congiunzione con il poliedro è dato dal manto rosso, che crea una continuità tra i diversi elementi che compongono l'opera contemporanea.
La Madonna col Bambino di Giovanni Bellini è diventato un luminoso dipinto astratto di Carla Accardi, un'opera dove i contrasti tra segno e colore si fondono in un insieme di forme che si incastrano in una struttura armoniosa, nata da una rigorosa e controllata selezione degli elementi che compongono l'opera, che in questo caso vive della sovrapposizione tra due immagini diverse. Da una parte le forme astratte ispirate dal soggetto antico, dove gli slittamenti cromatici sono determinati dall'uso dell'acrilico invece dell'olio, e dall'altra il pattern di segni che impone un ritmo dinamico al dipinto.
L'espressione corrucciata del Ritratto d'uomo di Raffaello ricompare nell'opera di Francesco Clemente, un ritratto ravvicinato di un uomo dal volto volitivo e nervoso, gli occhi brillanti e appuntiti, quasi guardinghi, la bocca contratta e il viso leggermente addolcito dai riccioli di capelli scuri che ne incorniciano la fronte alta e spaziosa. Un volto rivolto verso un altro volto, entrambi avvolti nel mistero di un'identità non descritta dalla fisiognomica ma rafforzata dal piglio. In questo duello di personalità note ma non rivelate Clemente ha voluto rispettare il silenzio imposto da Raffaello, creando a sua volta una ulteriore ambiguità, senza dichiarare l'identità del personaggio ritratto, lo scrittore Aldo Busi.
Invece la Testa di apostolo di Rubens ha suggerito a Enzo Cucchi di lavorare sulla natura eccessiva e ombrosa del Barocco fiammingo. Un'ispirazione non diretta ma metaforica, che ha portato l'artista alla definizione di un'opera che non tiene conto dei dati formali del dipinto antico ma interpreta per contrasto l'esuberante personalità del suo autore, definita da Bellori come "la furia del pennello"(2).Una furia della quale Cucchi mostra il lato oscuro, con il suo paesaggio fiammingo tratteggiato in bianco sul fondo scuro della tavola di cemento: la silhouette di una chiesetta olandese dal caratteristico campanile appuntito che racchiude la forma di un teschio, uno dei segni che ricorrono più spesso nell'opera dell'artista marchigiano, dai grandi dipinti degli anni Ottanta, come Succede ai pianoforti di fiamme nere (1983) fino alle opere più recenti. Una sorta di "memento mori" che ricorda i candidi teschi dipinti dai pittori olandesi del primo Seicento, come David Bailly o Pieter Claesz, nelle loro nature morte, accanto a splendenti vassoi d'argento carichi di ostriche e aragoste, proprio per indicare la transitorietà della bellezza e la vanità delle ricchezze materiali.
Più mentale il lavoro di Giulio Paolini, che si è ispirato al San Sebastiano di Perugino per mettere in scena il nuovo martirio dell'uomo contemporaneo a opera del tempo. Il suo Martirio di san Sebastiano è un disegno delle stesse dimensioni dell'opera di Perugino, dove l'artista ha tracciato a matita alcuni elementi del suo autoritratto (i capelli, il profilo delle spalle, i piedi accavallati) seduto su una poltrona in stile. Sui braccioli della poltrona è appoggiata una cornice quadrangolare, che indica con la sua geometria perfetta il centro ideale di un orologio, composta dalle frecce che trafiggono il corpo nudo di Sebastiano nel dipinto di Perugino, che Paolini ha trasformato in lunghe linee rosse, disposte e numerate come altrettante lancette. Un personaggio senza volto in posa per un ritratto in perenne corso d'opera, per indicare il destino dell'uomo moderno, martirizzato da un tempo di cui non è più in grado di regolare lo scorrere.
La Testa d'uomo col turbante di Annibale Carracci è il punto di partenza del viaggio tra storia e geografia, Oriente e Occidente di Luigi Ontani. Dopo aver trasformato l'opera di Carracci in un autoritratto ingigantito e acquarellato, realizzato da un fotografo indiano secondo un procedimento utilizzato da Ontani fin dal 1974, l'artista ha voluto affiancarlo a un'erma in ceramica policroma, risultato di un "girotondo in galleria", una passeggiata ideale in grado di riunire visivamente le sue predilezioni all'interno del museo Borghese. Come in un immaginario Voyage autour de mon musée, si è ispirato all'Erma di Bacco, la scultura di Luigi Valadier esposta alla Borghese, e ha inserito nella scultura una serie di elementi estrapolati dai suoi capolavori preferiti, tra cui l'Autoritratto in veste di Bacco di Caravaggio e l'Apollo e Dafne di Bernini. Ed è proprio Caravaggio l'autore del Davide e Golia che ha ispirato l'installazione di Jannis Kounellis, sospesa tra simbolo e tragedia. E Kounellis è partito dal gesto del giovane David che regge per i capelli la testa di Golia con la mano sinistra, mentre con la destra impugna la spada con la quale ha appena decapitato il suo nemico. Una vendetta esibita e carnale che nell'opera di Kounellis viene ricordata attraverso la tensione generata dalla pesante trave di legno conficcata nel sacco pieno di carbone: dal gesto dipinto da Caravaggio sulla tela si passa a una dimensione tattile, fisica, che appartiene a una teatralità oscura e drammatica.
La forma, il colore, il gusto, l'espressione, il concetto, la geografia, il gesto. Sette opere, sette sguardi, sette linguaggi, sette storie. Lo stesso luogo: la galleria Borghese. Per affermare con coraggio e determinazione la grandezza dell'arte italiana nel mondo ieri, oggi e domani. Come un valore universale da difendere per sempre.

LA MOSTRA

La mostra Incontri è aperta fino al 9 marzo alla galleria Borghese (piazzale Scipione Borghese 5, Roma; orario 9-19,30; chiuso lunedì; telefono 06-32810). In un ambiente progettato dall'architetto Franco Purini dialogano tra loro le opere di sette maestri del passato e sette artisti contemporanei: Carla Accardi e Giovanni Bellini, Francesco Clemente e Raffaello, Enzo Cucchi e Pieter Paul Rubens, Jannis Kounellis e Caravaggio, Luigi Ontani e Annibale Carracci, Mimmo Paladino e Antonello da Messina, Giulio Paolini e Perugino. Il catalogo è pubblicato da Charta.

Ludovico Pratesi