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Multiverso Anno 2007 Numero 5



Franco Clivio e gli oggetti. Un mondo di rivelazioni continue.

Elena Brigi





Rosella Prezzo
La verità svelata dal velo

Gian Paolo Gri
Zucchero a velo

Fama Cisse
Il velo vissuto

Selina Hossain
Il velo in Bangladesh

Luigi Gaudino
Noi, loro e il velo

Gianni Vattimo
Pudore ed esibizione

Andrea Csillaghy
Veline

Silvia Baschirotto
Il velo, i misteri e i riti

Elena Fabbro
Lo sguardo e il silenzio. Il velo nei rituali e nel mito greco

Mario Turello
segno/velo

Renato Giovannoli
Apparenza e verità. Il tema letterario del traditore e dell’eroe

Alessandro Grossato
Il ‘velo di Maja’, un’invenzione dell’Occidente

Andrea Csillaghy
Editoriale

Paolo Rossi
‘Margaritae ad porcos’

Rosino Gibellini
La ri-velazione della religione

Pierluigi Di Piazza
L’uomo e Dio: il nascondimento

Guido Miccinesi e Claudia Borreani
Malati terminali: dire la verità?

Chiara Ceci
La natura si nasconde: i mimetismi

Amir D. Aczel
I codici cifrati

Giovanni Favero
Il velo dei numeri. Una favola sui salari industriali nell’Italia fascista

Elena Brigi e Franco Clivio
Franco Clivio e gli oggetti. Un mondo di rivelazioni continue

Mario Piazza
La discrezione della lettera

Felice Casson
I segreti di Stato

Lorenzo Guadagnucci
Quando la politica copre la verità: il caso di Genova

Pierluigi Sullo
La democrazia velata

Carlo Ginzburg
Vero, falso, finto

Roberta Valtorta
L’arte nasconde
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Ogni mio incontro con Franco Clivio è accompagnato dallo scambio augurale di piccoli doni, ognuno di questi parla il linguaggio che ci accomuna, quello del design, anzi dell’industrial design:
viti, bulloni, molle, bottoni, oggetti in filo di ferro, coltelli, martelli, giunti di fissaggio, libri tecnici, manifesti sulla storia della matematica o sull’arte della macchina.
Anche quando il regalo è la cioccolata, un regalo scontato per chi è svizzero, in realtà è il preludio di un nuovo discorso: “Sai – mi dice – per fare questo packaging hanno chiamato un architetto famoso, Jean Nouvel.Per confezionare 140 grammi di cioccolata ha usato 80 grammi di plastica, incredibile.Sono pazzi questi svizzeri!".
Questa volta, però, non ha con sé il prezioso cofanetto di oggetti con il quale ama stupirti parlando dell’ultimo acquisto, dell’intelligenza di chi l’ha progettato, di come è fatto, dell’ironia che a volte nasconde e della fortuna che ha avuto nel trovarlo.
Ha portato, invece, le prime immagini del libro che finalmente ha preso l’impegno di scrivere:è da tanto che ne parliamo, sarà un’occasione, per chi lo leggerà, di avvicinarsi al mondo dell’industrial design entrando dalla porta giusta.
Siamo sempre più circondati da oggetti che appartengono al così detto design riconosciuto, quello patinato di molte riviste, dove essere glamuorous è uno dei requisiti principali.
Il più delle volte sono prodotti banali, complicatie poco funzionali:sedie, divani, poltrone, lampade, che ambiscono ad essere sempre qualcosa d’altro, e mai, come prima cosa, quello a cui sono riservati.
Anche i prodotti destinati ad aiutarci nel fare qualcosa. sono diventati dei rompicapi confezionati secondo i requisiti di un design strategico, dove di. Dove di strategico, però, c’è solo l’aspetto diabolico con cui sono stati progettati.

Ma il design, l’industrial design non è questo, anzi non lo è mai stato. Il design non è un design glamour per designer trendy.
La cultura del progetto è da sempre un risultato articolato, complesso, ma mai complicato, fatto di operazioni dove la forma, la funzione, la tecnica, i materiali, le esigenze della collettività, sono elementi coesi nella ricerca di nuove forme, al centro della creatività dei progettisti.
Anche quando è stata intrapresa la strada difficile dell’innovazione, solo i prodotti capaci di superare le difficoltà causate dalle relazioni economiche, sociali e tecnologiche, hanno effettivamente aperto la strada a nuove soluzioni formali, produttive.
In generale, di tutti gli oggetti possiamo dire tante cose. Parlare della loro forma, della loro leggerezza, della precisione, della visibilità, della riproducibilità.
In questa nostra conversazione partiamo allora proprio dagli oggetti,
Quelli semplici e potenti allo stesso tempo, a volte così piccoli o così comuni da fareci dimenticare anche a noi che li studiamo, la loro intelligenza, la loro capacità di raccontare storie. Fra le molte immagini ne .
Scelgo due, quella di un sottopentola in filo di ferro, per me fantastico, e quella di un paio di forbici.


Franco Clivio. La prima volta che ho visto questo sottopentola avevo 25 anni ed ero a Ulm: uno studente all’inizio del suo percorso nel mondo dell’industrial design.
L’ho visto e sono rimasto colpito, ne ho comprati subito quattro, sono tornato a casa e li ho fissati al muro. Quello è stato il mio primo quadro nella casa di Ulm.
Raccontare cosa è questo sottopentola è un po’ come alzare il velo che gli oggetti hanno.
Un velo impercettibile che se sei distratto, se non dai importanza alle cose, se non rifletti sul perché e sul come, lascia le cose mute, senza parole.
Questo sottopentola rappresenta molto bene cosa è il prodotto industriale: un oggetto ben fatto, formalmente corretto, esteticamente perfetto, funzionale, prodotto industrialmente, realizzato con un solo materiale, universale, economico e ripetibile. Rispetta moltissimi requisiti. Un’immagine fantastica che puoi guardare in diversi modi.
Anche il suo profilo ha significato.
Èun oggetto perfetto, al quale non puoi aggiungere o togliere niente. Tutto funziona.

Nel caso del sottopentola la leggerezza non è solo fisica, ma anche formale:
è leggero, peserà non più di 100 grammi, ma puoi appoggiarci sopra una pentola di oltre 10 chili.
Il materiale, il filo di ferro, è un semilavorato industriale, facile da usare. Il vetro per esempio non lo puoi usare come vuoi: o moli tutti gli angoli o gli crei una cornice. L’intelligenza del filo non finisce lì: è usato come se fosse un tessuto, una trama;per realizzare l’oggetto non hai bisogno di pensare sistemi di connessione fra le parti, con il filo fai anche il giunto.

Ma c’è qualche cosa di più. Creato tutto sulla geometria del cerchio, riesce a rendere il massimo della sua funzione, disperdere il calore – sfruttando solo i punti di contatto, come se fossero chiodi: non una superficie continua, ma tanti punti isolati e tanta aria che ci passa in mezzo. Tutto questo lo rende un pessimo conduttore o, meglio, un ottimo isolante.
La forma, l'estetica, la quantità di materiale usato in relazione alla funzione, al costo.
Incredibile, quante cose può raccontare questo semplice sottopentola.

Per quanto riguarda le forbici, invece, non so se la metterò nel libro, ma l’ho fatta per ricordarmi che uno dei temi importanti che riguardano l’industrial design è la riconoscibilità degli oggetti.
Sono più di vent’anni che raccolgo forbici,: forbici arancioni, dall’originale della Fiskars alle innumerevoli copie.
La gente compra normalmente forbici, forbici false in questo caso, perché non lo sa:non vede che sono una copia, anzi, in un prodotto d’uso quotidiano, economico, non interessa vedere cosa lo rende falso.
Non è certo la scritta, ma se le usi capisci subito cosa non va.
Queste forbici, le originali, hanno una forma che non è nuova.
C’erano già quelle per i sarti con questa forma particolare, funzionale per tagliare la stoffa:l’inclinazione dell’impugnatura rispetto alle lame ti permette di appoggiarti al tavolo quando tagli, così il piano ti aiuta e ti guida.
La Fiskars ha ripreso tutto questo, in particolare modo l’impostazione dei manici.
Le ha rese poi economiche realizzando l’impugnatura in resina e ricavando le lame da lastre di acciaio, non più pezzi fusi come quelle dei sarti.
Il colore arancione, se all’inizio è stata una scelta funzionale alla loro visibilità sul mercato, ora le copie imitano anche quello, creando un ulteriore punto intorno al quale creare confusione.
In questo caso, gli oggetti di industrial design vanno in un certo senso contro corrente rispetto a quelli della moda:chi copia una borsa di Prada, cerca di farla più fedele possibile rispetto all’originale; nel caso delle forbici, invece, a chi copia non gli interessa la fedeltà della forma, per conquistare il mercato punta tutto sulla confusione del colore.
Diversamente dalla borsa di Prada, chi compra una forbice non sa se sta acquistando un originale o una copia, questo perché non conosce la differenza.
Vero o falso? Riesci a capirlo solo se visualizzi bene l’oggetto, se lo conosci...



La nostra conversazione potrebbe continuare per ore ed ore, le immagini sono tante come pure le cose che gli oggetti possono svelare. Nel sentirlo parlare mi sorge ilun dubbio. se ilIl desiderio di ascoltare il seguito è nel segreto del ritmo della narrazione o di quelloin ciò che mi viene svelato.
Franco, come l’abile Sheherazade, ha l’arte di sapere incatenare una storia all’altra ed interrompersiinterrompendosi al momento giusto.
Anche per questa volta il nostro incontro è giunto al termine.
Altri doni, altri bulloni, bottoni o molle saranno i magici banditori di nuovi racconti.
Nel salutarci al suo “stammi bene”, gli dico “ricordi che Dino, diceva : noi siamo quello che conosciamo”. Entrambi ridiamo e ci diamo appuntamento per la prossima volta.



Franco Clivio, designer, è autore di numerosi prodotti prodottidisegnati per Gardena, Erco, Lamy e Siemens. Formatosi alla Hoschschule für Gestaltung di Ulm, ha insegnato per molti anni alla Hochschule für Gestaltung di Zurigo,. VÈisiting professor presso diversi istituti universitari, e, dal 2003, è docente alla Facoltà di Design e Arti dell’Università IUAV di Venezia.

Elena Brigi, architetto, dottoranda in Design del prodotto e della comunicazione – Scienze del design presso l’Università IUAV di Venezia, si occupa dei temi inerenti il brevetto, le nuove tecnologie e l’industrial design.