Mousse Anno 4 Numero 18 aprile - maggio 2009
THE WAY OUT IS VIA THE DOOR
Il lavoro dell’artista e musicista Luke Fowler è infestato dagli spettri del passato. Lo sfaccettato corpus dei suoi lavori indaga i rapporti degli individui con il luogo e la comunità, i movimenti e le sperimentazioni sociali e culturali, dalla psichiatria radicale di R. D. Laing, al riciclaggio culturale del musicista underground Xentos. Il suo lavoro scava nel passato ed esplora il possibile futuro della produzione culturale e dello stile di vita britannico, in particolare della sua città natale, Glasgow. Traendo spunto dall’eredità congiunta della musica sperimentale (soprattutto gli improvvisatori degli anni ’60, come Hugh Davies e Keith Rowe) e del cinema di ricerca (dall’opera di Chris Marker ai collage di immagini di repertorio di Craig Balwin, ai documentari socio-politici di Adam Curtis), il lavoro di Fowler combina l’impegno sociale e l’interesse per la cultura popolare di Jeremy Deller con il senso del materiale, della presenza e dell’identità culturale di Mark Leckey.
Il lavoro di Fowler risulta sempre più ricercato, giungendo a evocare l’estetica formale dei film-maker Gregory J. Markopoulos e Robert Beavers, pur continuando a ispirarsi a una gamma di manufatti e meteore culturali, nel tentativo di ricostruire e comprendere le storie passate, resuscitare progetti e personaggi dimenticati.
I film di Fowler imbastiscono complesse trame di immagini tratte da archivi, programmi televisivi, interviste e scarti, in una ricerca complessa e stratificata. What You See Is Where Your At (2001) è un ritratto dello psichiatra e scrittore scozzese R.D. Laing (1927-1989), figura chiave nel movimento dell’antipsichiatria degli anni ’60 e spesso definito “il filosofo della follia”. Nel 1965, Laing avviò una sperimentazione residenziale al Kingsley Hall di Londra, in cui i pazienti erano liberi di andare e venire godendo dell’assistenza, spazio e tempo necessari a elaborare la loro condizione mentale, invece di essere “curati” con mezzi farmacologici. L’approccio radicale di Kingsley Hall alla “follia” e alle sue terapie attirò l’attenzione pubblica sulla controversa teoria di Laing della pazzia come processo, che può implicare l’auto-guarigione e la rinascita. Il film accorpa un vasto assortimento di materiale di ricerca e audio-visivo, nell’ottica di trascendere il contesto per concentrarsi sulle esperienze dei pazienti, compreso Laing, in veste di psichiatra e quindi parte in causa a pieno titolo.
Nodo fondamentale del progetto era la libertà di espressione – quella che si mostra nel comportamento eccentrico dei pazienti, o nelle frasi e immagini scarabocchiate sulle pareti – che Fowler riflette in un fitto collage di materiali, con una particolare sensibilità per la grana delle immagini, nell’aspetto fluttuante delle vecchie riprese, e nell’attenzione per il dettaglio grafico.
Mary Barnes era una pittrice, protagonista dell’esperimento, che regredì all’infanzia per poter rinascere, processo vissuto con l’aiuto di Laing e degli altri pazienti.
Guardata con sospetto dall’establishment medico e dalla comunità locale, Kingsley Hall fu smantellata nel 1970 e la sua eredità in gran parte infangata dai mass media. La testimonianza di Mary in un’intervista contemporanea, insieme alla documentazione originale, e a una messa in scena teatrale per la tv dell’epoca, rievoca l’esperienza della paziente di Laing più emblematica, e la circostanza che ebbe modo di vivere, nelle sue parole: “Ronnie mi dette un’occasione, e quell’occasione mi fa vivere ancora oggi”.
“Che importanza può avere creare dieci isole felici in un mondo dove tutto continua a funzionare come prima?” Questa domanda di David Cooper, altro protagonista del movimento dell’anti-psichiatria, guida l’indagine di Fowler all’interno delle organizzazioni radicali, e si ripropone nello studio sul compositore Cornelius Cardew (1936-81) e la Scratch Orchestra.
Pilgrimage from Scattered Points (2006, UK, 45min) esamina il ruolo dell’artista e della pratica artistica radicale all’interno della società. Fondata nel 1969, l’Orchestra rappresentava uno sviluppo della sfida di Cardew alla musica classica e moderna, all’autorità e alla politica. Sotto la sua libera guida, la Scratch Orchestra era composta da un numero variabile di musicisti e non-musicisti e suonava una varietà di “partiture”, che potevano essere qualsiasi insieme di segni, dalle pagine dei giornali ai modelli per il ricamo.
L’orchestra intraprese un ambizioso tour che toccò le sale dei paesi di provincia, per presentare la sua musica al pubblico escluso, per ragioni geografiche e sociali, e rivolgersi direttamente ai lavoratori, di cui abbracciava la causa. Diviso in sette capitoli, il film segue il gruppo, dalla sua formazione nel 1969 alla sua dissoluzione a metà degli anni ’70, in seguito all’atteggiamento sempre più maoista di Cardew, basandosi su un assortimento di materiali che comprende il documentario di Hanne Boenisch, Journey to the North Pole (1971). Fowler tenta di conciliare la sua simpatia per i soggetti e le loro ambizioni con la valutazione storica dei loro successi e dei loro fallimenti. La pratica collaborativa è compromessa dalla struttura oscillante di potere all’interno del gruppo, dall’apertura e sintonia iniziale dell’orchestra alla rottura e scioglimento, a causa della crescente incompatibilità politica con gli scopi originari dell’ensemble e dei suoi membri. Eppure, come Cardew conclude senza mezzi termini: “Il fallimento esiste solo in rapporto agli scopi. La natura non ha scopi, pertanto non può fallire. Gli umani hanno degli scopi, quindi falliscono per forza. Spesso le trame meravigliose innescate dal fallimento rivelano la meschinità dello scopo. Naturalmente dobbiamo continuare a lottare per il successo, altrimenti non potremo fallire in modo onesto. Se Buster Keaton non si sforzasse seriamente di erigere la sua casa, nessuno riderebbe quando gli crolla addosso”.
La lotta della cultura per trasformare e influenzare la società è il filo conduttore dei disparati progetti di Fowler, che fanno esplodere le linee di confine tra ricerca e cura, espressione personale e collaborazione. Opponendosi alle gerarchie, sia sociali che culturali, la Scratch Orchestra poneva il quesito: la cultura di chi e per chi? Il famoso attacco di Cardew a Stockhausen e, per procura, a tutta l’avanguardia musicale e artistica, rappresentato dal libro del 1974, Stockhausen al servizio dell’imperialismo, nasceva dal profondo desiderio di conciliare gli sviluppi dell’avanguardia con la crescente alienazione del suo pubblico di riferimento e soprattutto il suo assorbimento nelle strutture istituzionali della musica e della cultura convenzionali.
Nel lavoro di Fowler, i fallimenti della cultura e i tentativi di sovvertirla si accompagnano ad altre modalità di produzione culturale, spesso cercate ai margini e inglobando materiali esterni al contesto dell’arte, con raccolte di oggetti che rendono sfocata la distinzione tra le gerarchie culturali, e tra la pratica curatoriale e artistica. The Way Out (2003, UK, 33min), realizzato insieme a Kosten Koper, è un ritratto del musicista di culto Xentos Jones, uno dei membri fondatori del gruppo postpunk The Homosexuals e Die Trip Computer Die oltre a diversi progetti solisti o collettivi sotto un’ampia gamma di pseudonimi.
È considerato un pioniere del post-punk per aver prefigurato l’uso della tecnica cut-up prima dell’impiego generalizzato del campionamento, e il poco che si conosce del suo lavoro si deve a una manciata di cassette, sessioni radio e registrazioni per la sua etichetta The War Boys. Il bricolage di Xentos riflette l’attività di Fowler come musicista nei gruppi sperimentali Lied Music e Rude Pravo, oltre alla sua direzione, a partire dal 1999, dell’etichetta indipendente SHADAZZ.
La personalità camaleontica di Xentos costituisce il punto di partenza per un’indagine sull’identità e l’espressione artistica, continuamente rimescolate dall’utilizzo di molteplici alter ego creativi. Xentos appare come una presenza fittizia, uno Zelig dietro gli sviluppi della seconda metà del XX secolo, che si muove tra generi diversi e ne prefigura di nuovi. Usando immagini trovate, fotografie e volantini, ma anche gli stravaganti film in super8 di Xentos, The Way Out ritrae il musicista come outsider, esplorando il mondo della produzione culturale sotto il radar del pop commerciale e della scena artistica e musicale contemporanea, mettendo a confronto e provocando questi mondi impenetrabili con una serie di invenzioni, bluff e testimonianze di fantasia. Come dichiara lo stesso Xentos: “Certo che voglio rompere l’ordine; è troppo rigido.”
Fowler sposta l’enfasi dall’archivio all’osservazione in Bogman Palmjaguar (2007, UK, 30min), il profilo di un eccentrico eremita che vive nel Flow Country, le lande acquitrinose del Nord della Scozia. L’incredibile paesaggio naturale viene esplorato da riprese impressionistiche in 16mm e registrazioni dal vivo, in cui sentiamo Bogman descrivere il suo rapporto con l’ambiente e il passato. L’uomo ha sfidato la sua diagnosi di “paranoico-schizofrenico” in una battaglia legale ancora in corso, parte di un’annosa opposizione al ricovero coatto, contro cui ha dovuto scontrarsi dalla tarda adolescenza, spesso sfruttando la sua conoscenza delle desolate terre del Flow Country, come unico rifugio per sfuggire alla polizia. Ha assunto il suo nome stravagante per sottolineare la sua affinità con il paesaggio e la sua identificazione con il giaguaro, un animale come lui perseguitato e per questo costretto a ritirarsi dai luoghi abitati. La sua complessa esclusione affonda le radici nel patologico rifiuto verso l’interazione umana, in quanto Bogman rigetta il contatto visivo e appare nel film solo sotto lo schermo protettivo delle maschere. Bogman Palmjaguar può sembrare una digressione rispetto ai temi di Fowler, ma quest’ambigua rappresentazione dell’alienazione sociale e dell’esclusione dipinge un personaggio non molto distante da Cardew, Laing e Xentos, immerso nella propria cultura e nella propria storia, geografia e sonorità alternative, come lui afferma “il suono del dorato uccello trampoliere tra gli acquitrini è molto suggestivo”.
Il rapporto con il luogo e l’ambiente (geografico o culturale) permea anche i quattro recenti Tenement Films (2009, UK, 4 x 3min), lavori più brevi su pellicola 16mm che aspirano a esplorare ed espandere l’arte del ritratto, in questo caso focalizzandosi sulle tracce e sulle abitazioni di amici e conoscenti. Ognuno dei Tenement Films ritrae un diverso appartamento, mostrando stanze di dimensioni identiche, ma arredate in modo diverso dai loro occupanti, amici dell’artista a Glasgow. Un po’ come Bogman, i partecipanti sono rappresentati esclusivamente attraverso il loro ambiente, e si nascondono dietro l’allestimento del proprio habitat. È questa la verità che sta cercando Fowler: non la realtà oggettiva, ma una verità composta di frammenti, scorci, indizi di persone e rapporti. I suoi ritratti, rubati e cosparsi di contraddizioni, sovversione, ironia e inganno, offrono una storia tanto vitale quanto sfuggente. Il bombardamento barocco di materiali audiovisivi è una manifestazione delle complessità della storia e della cultura, un sovraccarico di stimoli e informazioni che rispecchiano le contraddizioni insite nelle vite e nelle identità personali.
Il rifiuto dei dettami della produzione culturale, del packaging e della mercificazione, collocano Xentos in una posizione centrale per Fowler, un logo o un eroe, distaccato dal mainstream e libero di produrre e influenzare la società dall’esterno. In parallelo ai bersagli mancati, alle esistenze oppresse, ignorate, dimenticate o deviate, Fowler, in questi personaggi, trova una possibile via di fuga dalla società contemporanea. Come dice Xentos alla fine del film: “Ho paura di entrare nella norma, e se ora sono seccato è perché ci sto entrando. Frequento le gallerie d’arte, vengo etichettato e storicizzato, contribuendo all’economia di mercato della nostalgia. Certo non mi fa piacere, comunque non ce l’ho con te perché fai parte della norma, ma con me stesso per aver accettato entrarci”. Eppure ci si può facilitare la vita, come sostiene il filosofo cinese Confucio in una citazione che apre il ritratto di Xentos: “Per uscire basta passare dalla porta. Perché nessuno lo fa?”