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Mousse Anno 4 Numero 20 settembre-ottobre 2009



Stockholm - City Focus

Karl Lydén

Institutional Plague





COLOPHON
MOUSSE #20

MARIANA CASTILLO DEBALL
Listen to the stones
by Dieter Roelstraete

MARISA MERZ
When we say “beautiful” we are alive
by Hans Ulrich Obrist

NICK MAUSS
How do these things touch each other?
by Dominic Eichler

MIROSLAW BALKA
Wandering Around
by Michal Wolinski

BJÖRN BRAUN
Portfolio
by Kirsty Bell

HARK!
Market Time
by Jennifer Allen

HILARY LLOYD
Around herself
by Gigiotto Del Vecchio

BEYOND
womp-bomp-a-loom-op-awomp-bam-boom!
by Massimo De Carlo, Mark Leckey

SIMON FUJIWARA
Sexual Architecture
by Francesca Boenzi

STOCKHOLM - CITY FOCUS
Institutional Plague

by Karl Lydén

ARTIST PROJECT
Trisha Donnelly

LOST AND FOUND
Miroslav Tichý
by Carolyn Christov-Bakargiev

ANDREW DADSON
There is something to nothing here
by Monika Szewczyk

REPRINT
Gregory Bateson: shuffle the pieces
by Anthony Huberman

PARIS
Unfaithful reflections
by Clément Rodzielski

LONDON
The big charango and the revolutionary jukebox
by Alli Beddoes

BERLIN
We are somewhere else already
by Clemens Krümmel

THE BRUCE HIGH QUALITY FOUNDATION
Our future is about expansion
by Cecilia Alemani

LOA ANGELES
The body artist: the performing sculptures and sculptural performances of Martin Kersels
by Andrew Berardini

DIARY
by Francesca Pagliuca

BOOKS
by Stefano Cernuschi

ALEXANDRE SINGH
Artist as circumlocutor
by Luigi Fassi

INTRODUCING
Rossella Biscotti
by Roberta Tenconi

GINTARAS DIDŽIAPETRIS
Reinterpreting reality
by Raimundas Malašauskas

Neoliberalism, neo-conceptual art, and appearances, which crowd In upon the soul
by Ana Teixeira Pinto
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Dora Budor
Kathy Noble
n. 49 estate 2015

We don't need a dislike function: post-internet, social media, and net optimism
Andrew Durbin
n. 43 aprile-maggio 2014

The Screen as the Body
Elisabeth Lebovici
n. 32 febbraio-marzo 2012

Chantal Akerman
Elisabeth Lebovici
n. 31 dicembre 2011-gennaio 2012

Geoffrey Farmer
Monika Szewczyk
n. 30 settembre-ottobre 2011

Art Society Feedback
Emily Pethick
n. 27 febbraio-marzo 2011


Cecilia Grönberg / Jonas (J) Magnusson
Omkopplingar

Cecilia Grönberg / Jonas (J) Magnusson
Omkopplingar

Cecilia Grönberg / Jonas (J) Magnusson
Omkopplingar

Gli aspetti positivi di Stoccolma, una città piuttosto restia al cambiamento, sono esaminati in termini di funghi, istituzioni d’arte, librerie e odio per se stessi. Scoprite i luoghi dove cercare l’arte in questa Venezia del Nord e la maniacale tendenza archivistica sull’urbanistica socialdemocratica. Luoghi come Hallongrottan, Black Letter Books e la ringiovanita Konsthall C vi danno il benvenuto nella stagione buia, per la quale le cure migliori sono l’ibernazione, l’emigrazione o le più bizzarre forme di narrativa gialla svedese.

Recentemente ho letto un articolo su San Paolo del Brasile. Quasi fosse una lettera d’amore scritta da un suo abitante, il testo era punteggiato di desideri e descriveva la città come un flusso costante, un ronzio, una metamorfosi organica: una città che, non appena guardi dall’altra parte, sembra produrre una quantità infinita di estremi. Questo non è esattamente il modo in cui vedo Stoccolma, o in cui mi vedo scrivere un testo su Stoccolma. Prima di tutto perché vi è qualcosa di piuttosto statico, immobile e conservatore in questa città sull’acqua, dove la Città Vecchia sembra un museo e dove le altre isole centrali si stanno lentamente trasformando in monumenti a se stesse, con i loro edifici in pietra centenari e di colore giallo pallido che sopportano silenziosamente l’eternità. In secondo luogo perché, dallo sguardo svedese, fisso nello specchio del confronto internazionale, raramente nascono lettere d’amore. Piuttosto quello sguardo è portatore di una lunga (e giustificata) tradizione di odio per se stessi. Olof Lagercrantz, uno scrittore, critico e pubblicista svedese degli anni Sessanta e Settanta, affermò che la Svezia è abbastanza grande perché i suoi intellettuali pensino a se stessi come autosufficienti e si volgano verso l’interno, ma non è grande abbastanza perché chiunque possa produrre alcunché di originale. Fortunatamente questo non è del tutto vero per quanto concerne la scena artistica di Stoccolma, dove, talvolta, le cose si fanno piuttosto interessanti. Ma quando capita qualcosa di significativo, sembra che accada nelle crepe della condizione complessivamente statica della città, spuntando improvvisamente come un fungo, solo per sparire dopo un tempo brevissimo, lasciando gli astanti alle prese con un altro periodo di silenzio.
Nel 2006 è stato pubblicato Omkopplingar, il libro/stampato concettuale/ opera d’arte di Cecilia Grönberg e Jonas (J) Magnusson. Simile alle Pagine Gialle per grafica e formato, il libro di 1097 pagine costituisce essenzialmente un archivio di testi trovati, immagini e poesia concreta che riguardano lo spostamento degli uffici e della fabbrica della società di telecomunicazioni LM Ericsson. L’edificio della fabbrica preso in considerazione si trova al centro di un’area chiamata Telefonplan, o Piazza del Telefono, che funge da prisma per la storia industriale della Svezia, per la visione socialdemocratica di una società suburbana indipendente e, forse, per la comunicazione come lavoro e come linguaggio. Uno degli autori, Jonas (J) Magnusson, fa parte anche della rivista OEI, che Daniel Birnbaum, in un articolo su Artforum nel 2007, descrive come un tesoro nascosto: “OEI, al giorno d’oggi, è probabilmente la rivista letteraria più estrema al mondo – spietata nel suo sperimentalismo e intransigente nel promuovere il proprio formato materiale. Molti numeri di OEI contengono una quantità sufficiente di testo da poter riempire dieci libri, mentre altri si sono trasformati in oggetti sintetici piuttosto mostruosi, che mescolano le sensibilità di Tel Quel e l’elenco telefonico di Gothenburg, Millepiani e i manuali tecnici degli albori di Silicon Valley”.

Sebbene scrivere di una città nel suo complesso mi terrorizzi, vorrei mettere da parte le specificità micologiche delle opere singole e parlare brevemente della situazione generale della scena artistica di Stoccolma. A differenza di New York, non vi è un panorama galleristico che funga da elemento di propulsione e, di conseguenza, non esiste un grande quartiere di gallerie come potrebbe essere Chelsea (esiste, tuttavia, qualcosa chiamato Hudiksvallsvägen che potrebbe servire da punto di partenza per il vostro tour delle gallerie di Stoccolma). A differenza di Berlino, non vi è un flusso costantemente cangiante di piccoli attori indipendenti, e temporanei, a dar vita a un vibrante panorama non commerciale (e non esistono parti della città poco costose e in fase di trasformazione da quartieri popolari a quartieri di lusso, dove gli artisti hanno i loro studi e i loro appartamenti o dove i critici d’arte si radunano nei bar per discutere se esista veramente una critica d’arte svedese o se appaia come un’illusione sui quotidiani). Fondamentalmente, se New York è la più grande galleria d’arte del mondo e Berlino è la più grande scuola d’arte, allora Stoccolma è la più efficiente istituzione d’arte. Sì, perché la scena artistica di Stoccolma è essenzialmente formata da istituzioni, spesso piuttosto grandi e, senza eccezioni, a finanziamento pubblico.

In primo luogo, c’è il Moderna Museet, e, sulla stessa isoletta, troverete il Museo dell’Architettura e l’Accademia Reale di Belle Arti. Poi c’è Kulturhuset, “La Casa della Cultura”: un grande edificio di vetro costruito nel 1974 per essere il punto più centrale della città, insieme all’adiacente piazza di Sergels, che presenta diversi livelli, con piani sotterranei adibiti a mostre, ristoranti, una biblioteca e una libreria seminterrata che si chiama Konst-ig. E poi vi sono le istituzioni un po’ più piccole, simili a delle gallerie d’arte, come Magasin 3, Tensta Konsthall, Marabouparken, Konsthall C, Bonniers Konsthall e Botkyrka Konsthall. Tutte queste istituzioni, si occupano principalmente di mettere in mostra e dare visibilità alle opere ma, quando si arriva al livello discorsivo, oserei dire che Stoccolma abbia una forte caratterizzazione istituzionale. Il programma di studi internazionale IASPIS – un’istituzione pubblica con una missione rigidamente formulata – è stata per anni (nel bene e nel male) al centro dei discorsi sulla scena artistica di Stoccolma, organizzando seminari, eventi e proiezioni e raggiungendo, forse, il periodo di massima prolificità qualche anno fa, sotto la direzione di Maria Lind.

Se quanto detto finora riguarda la situazione generale e il nucleo più importante della scena artistica di Stoccolma, cioè il terreno su cui ci muoviamo, mi piacerebbe ora dire qualcosa di più su ciò che potrebbe sbucare tra le fessure del sistema. Nel 2009 e nel 2010, andrei alla ricerca dei miei “porcini” in tre luoghi, per trovarci i magici funghi o per essere indirizzato nella giusta direzione. Il primo posto sarebbe Black Letter Books, una libreria internazionale aperta nel weekend, in quello che normalmente funge da minuscolo ufficio di Site, una rivista in lingua inglese che si occupa di arte contemporanea, architettura, cinema e filosofia. Il secondo luogo sarebbe Hallongrottan [“La grotta dei lamponi”]: una piccola libreria sull’isola meridionale, che offre una buona scelta di testi femministi e LGBT (anche in inglese) e un bel programma di seminari, discussioni e proiezioni di film. Il terzo posto sarebbe Konsthall C, il centro d’arte che occupa l’edificio di una vecchia lavanderia dei sobborghi ancora in attività: agli inizi del 2010, Kim Einarsson, curatore indipendente di base a Berlino, assumerà il ruolo di direttore e già circolano voci interessanti sugli esperimenti curatoriali cui darà vita.

Perciò sembra che qualcosa di buono possa accadere nella città di cui ho parlato in termini di arte, architettura, librerie, istituzioni e odio per se stessi; la città che si definisce la “Venezia del Nord” e il cui unico contributo alla storia della filosofia consiste nell’aver ucciso Cartesio (giunto a Stoccolma nell’inverno del 1650, come istitutore della Regina Cristina, fu costretto a incontrarsi con lei ogni giorno alle cinque e mezza, nelle buie mattine invernali svedesi: non ci volle molto prima che il filosofo, che notoriamente amava dormire fino a tardi, contraesse la polmonite e morisse). Ma forse vi deve essere una qualche forma di giustizia poetica nell’arte o, per essere più precisi, nella letteratura. Perché non solo un certo Le Corbusier, in un progetto ufficiale, indirizzato al Comune nel 1933 (e da questi scartato), propose di racchiudere tutta la Città Vecchia in un enorme edificio funzionalistico; ma sembra anche che, nel 2005, il solenne sguardo di Stoccolma, carico di vergogna, si sia trasformato in una risata di autoscherno di fronte allo specchio, e lo sconosciuto autore del romanzo Klitty – una bizzarra caricatura della redditizia narrativa gialla svedese, che mescola le banalità e la prosa d’azione di quest’ultima con le perversioni più surreali e con quella che è stata definita pornografia femminista – termina il libro facendo bombardare all’esercito svedese la Città Vecchia con cemento fresco, nel tentativo di contenere una rinata epidemia di peste medievale. Così, poeticamente parlando, siano i suoi orrori pittoreschi e le sue regie istituzioni sepolti per sempre.