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cura.magazine Anno 2 Numero 4 aprile-giugno 2010



E' solo questione di "dare visibilita' "?

Raimar Stange

Intervista con Kathrin Rhomberg, curatore della 6a Biennale di Berlino



Free press trimestrale dedicato ai temi dell'arte e della cultura contemporanea


EDITORIAL

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Feliz Cumpleaños America Latina! 200 Years of Independence and It Feels Like Yesterday
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Quale significato ha l’America nel nostro inconscio collettivo? Visita guidata al Beirut Art Center
What Does ‘America’ Mean in our Collective Unconscious? A Guided Tour at Beirut Art Center

NOW
È solo questione di “dare visibilità”? Intervista con Kathrin Rhomberg curatore della 6aBiennale di Berlino
Is Just About “Giving Visibility”? Interview with Kathrin Rhomberg Curator of the 6th Berlin Biennale
raimar stange

FOCUS
La cultura verde, ossia come coniugare bellezza e consapevolezza
Green Culture, i.e. How to Combine Beauty and Awareness
michele trimarchi

Authentic Market
benedetta di loreto

GUEST CURATOR
Alcune considerazioni sul lavoro di Miroslaw Balka
Some Notes on Miroslaw Balka’s Work
ulrich loock

NON–PROFIT & ART RESIDENCIES
Hungarian Multicultural Center
sabrina vedovotto

SPOTLIGHT
Amelia Whitelaw
susanna bianchini

Alberto De Michele. Chi ha paura dei lupi cattivi?
Alberto De Michele. Who is Afraid of the Big Bad Wolf?
sara schifano

LAB
Riccardo Benassi
giulia ferracci

Luca Trevisani
valentina rossi

FORMS BECOMING ATTITUDES
Fashion curating. Intervista a Maria Luisa Frisa
Fashion curating. Interview with Maria Luisa Frisa
dobrila denegri

Sapeurs savent bien se saper
francesca cavallo

A. PUNTI DI MODA
Déjeuner sur l’herbe
maria laura corsini

ART & CUISINE
Daniel Spoerri: aneddoti su una topografia del cibo
Daniel Spoerri: An Anecdoted Topography of Food
costanza paissan

Nomiya
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n. 18 autunno-inverno 2014

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n. 16 primavera-estate 2014

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Isobel Harbison
n. 15 autunno-inverno 2013

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n. 14 primavera-estate 2013

Laura Reeves. Ritorno alla realtà
Adam Carr
n. 13 inverno 2013

Marie Lund
Cecilia Canziani
n. 12 autunno 2012


Michael Schmidt,
Frauen, 1997 – 1999
photographs ? the artist

Petrit Halilaj
They Are Lucky to Be Bourgeous Hens II, 2009
wood, paint, electricity, chickens
circa 550 x 150 cm
Courtesy: Chert, Berlin

Phil Collins
They Shoot Horses, 2004
synchronised two-channel colour video projection with sound, 420’
Courtesy: the artist

In vista dell’apertura dalla prossima Biennale di Berlino, la curatrice Kathrin Rhomberg promette una mostra indubbiamente orientata politicamente, ma senza rigidità su specifici argomenti e problematiche. Ciò che le interessa, più che discutere di “realtà politiche” concrete, è presentare le “forme artistiche che assicurano la visibilità” di queste stesse realtà. Il timore è che proprio tale impostazione faccia perdere alla mostra quella sua forza sociale dirompente che due anni fa è stata il tratto distintivo della quinta edizione.

R.S. Lei viene da Vienna ma ha lavorato anche a Colonia, tra l’altro. Quali differenze vede a Berlino? Esiste una situazione specifica in questa città?

K.R. Berlino è una città cosmopolita che continua tuttora a esercitare una notevole forza di attrazione, frutto non soltanto della sua posizione geopolitica, ma legata soprattutto al costo della vita e delle abitazioni, tuttora conveniente. La città crea così i presupposti ottimali per gli artisti e denota una differenza evidente rispetto alle altre metropoli europee. Un altro fattore che a mio avviso distingue Berlino da città come Colonia o Vienna è la “fugacità”, intesa secondo l’interpretazione di Zygmunt Bauman, una sensazione che qui è veramente tangibile. Molti di coloro che negli ultimi anni vi si sono trasferiti, infatti, vivono e lavorano non solo a Berlino ma anche altrove. Il risultato è un’atmosfera di grande mobilità e flessibilità, che nel contempo genera anche condizioni di vita frammentate e disgregate. Un modello di vita quanto mai attuale i cui protagonisti non possono essere definiti né nomadi né stanziali.

R.S. Questa osservazione influisce sull’idea alla base del suo progetto curatoriale della 6a Biennale di Berlino?

K.R. La questione del presente e del rapporto che l’arte assume con esso per me è un punto cruciale. Pertanto sì, ha anche un’influenza sul concetto curatoriale di questa sesta edizione della Biennale di Berlino. È un rapporto che non si lascia codificare, ma è soggetto a costanti mutamenti condizionati dalla fugacità di cui abbiamo appena parlato. Da un lato, a partire dalla fine della guerra fredda viviamo in un mondo divenuto estremamente fragile e che non offre più la possibilità di rifugiarsi da nessuna parte. Dall’altro, nel mondo dell’arte occidentale sperimentiamo nuove forme di “art pour l’art”, di escapismo, di ritorno alle questioni estetiche e formali, e di sguardo retrospettivo. Come se la relazione con il presente e la realtà fosse diventata fragile e rassegnata, come se il futuro non fosse più immaginabile. In pratica, come se mancassero i concetti e le idee per trovare l’orientamento in questo nuovo mondo incerto.

R.S. La “sua” sesta Biennale di Berlino allora si attiverà per contrastare l’escapismo menzionato? Si assisterà in primo luogo a un’arte esplicitamente politica?

K.R. Non userei necessariamente il concetto di lavorare “contro” qualcosa, per me sa troppo di missione e di approcci categorici, che escludono tutto il resto. Nella mostra saranno presentate le posizioni artistiche e saranno visibili i comportamenti artistici che vanno oltre le questioni formali, estetiche e immanenti all’arte. Un’arte che non si sottrae al nostro presente e alle sue realtà, ma se ne appropria e le produce. Una delle realtà che definiscono cosa determina il nostro presente è la realtà politica. Di conseguenza, i contributi artistici raccolti nella mostra si indirizzano sempre anche all’aspetto politico, senza però dover essere esplicitamente politici.

R.S. Le chiedo di scendere un po’ più nel concreto: quali “realtà politiche” verranno “indirizzate” nella mostra? E di quali artisti si tratta?

K.R. Vorrei evitare di diventare più concreta. Semplicemente perché l’obiettivo della mostra non è tematizzare in modo esplicito l’una o l’altra realtà politica. Sotto questo aspetto, l’impostazione non è influenzata dal fatto che in singoli lavori ci sia un approccio concreto a specifiche realtà politiche. Il mio interesse al fine della Biennale non verte su queste realtà in sé, ma piuttosto sulle forme artistiche mirate a dar loro visibilità. Mi sono interrogata sulle possibilità dell’arte di rendere visibile ciò che, senza il suo intervento, resterebbe invisibile. E quindi sulla possibilità di dare vita a una realtà che prima non sarebbe esistita per la nostra consapevolezza, vuoi per ragioni di rimozione, di accecamento ideologico o per puro disinteresse o incultura.
Un esempio di visibilità ottenuta attraverso gli strumenti dell’arte - secondo il mio parere - è stato il contributo nel Padiglione ceco e slovacco per la Biennale di Venezia di Roman Ondák, che sta preparando un nuovo lavoro anche per Berlino. In quell’occasione l’artista ha praticamente fatto scomparire il Padiglione, la sua essenza, ricreando al suo interno una riproduzione icastica dell’ambiente esterno circostante con la vegetazione, i cespugli, gli alberi e i viottoli del parco tra i vari Padiglioni nazionali: con il suo intervento, all’improvviso l’appartenenza territoriale di quello spazio è diventata incerta. Un piccolo turbamento poco appariscente delle nostre convenzioni sul modo abituale di guardare e di riflettere, sul terreno apparentemente rassicurante dell’osservazione distanziata dell’arte. Una piccola crepa nella realtà e la sua segnalazione esplicita. Questo tipo di interesse artistico per la realtà e la ricerca di forme possibili della sua sperimentabilità: ecco i temi su cui verterà la Biennale.

R.S. Sarebbe interessante se potesse fornirci qualche altro esempio per avere un’idea della 6a Biennale di Berlino. Quale ruolo ha per esempio la mostra di Adolph Menzel, integrata in questa edizione? Artista interessante per Berlino, anche perché nella parte est della città durante il periodo della DDR, è stato trattato come esempio emblematico di artista politico, che ha reso visibili i rapporti (di lavoro) sociali in senso estremamente realistico. Anche l’artista Phil Collins, un giovane contemporaneo a differenza di Menzel, sarà tra i partecipanti alla mostra. Ci vuole dire qualcosa di questi artisti e di qualche altro?

K.R. La scelta di integrare nella Biennale l’opera di un artista del XIX secolo, presentando i disegni di Adolph Menzel alla Nationalgalerie, costituisce un altro tentativo di eludere la prospettiva abituale con cui si guarda l’arte contemporanea. O almeno il tentativo di disorientare al punto di consentire un secondo sguardo che, possibilmente, parta da un’angolazione inusuale. Il realismo di Menzel, nella mostra curata dallo storico dell’arte americano Michael Fried, deve fungere da riferimento, come uno dei tanti possibili scenari davanti ai quali si snodano le questioni del rapporto tra l’arte contemporanea e il presente. In che modo oggi, in mezzo al potere e alla quantità di immagini che i nostri media sfornano senza tregua, è possibile riprodurre la realtà e uno sguardo critico sui rapporti che la costituiscono? Le risposte che Adolph Menzel ha trovato nel XIX secolo per la questione della rappresentabilità della realtà, forse non sono capaci di adattarsi al nostro presente. Ma spero che possano contribuire a suscitare l’attenzione per questa problematica. La scelta di Menzel come artista di riferimento è stata semplice. Da un lato mi sembra che non ne sia stata ancora colta a sufficienza l’importanza per la storia dell’arte, dall’altro è il rappresentante di un secolo che potrebbe essere illuminante per comprendere meglio l’attualità. La trasformazione sociale di Berlino a quell’epoca è stata dirompente: nel giro di poco tempo la popolazione è raddoppiata, l’industrializzazione e il crescente capitalismo hanno portato a condanne sociali, a contrasti tra le classi sociali e tra popolazione di città e di campagna. Sono nate nuove definizioni, come il concetto di “estraniamento” per descrivere una realtà esistente sotto la superficie visibile. Questo periodo di transizione trova espressione anche nei lavori di Adolph Menzel. Michael Fried individua nella provvisorietà e nell’incompiutezza di molti disegni e dipinti una delle caratteristiche dell’artista, due aspetti che danno particolare rilevanza al fattore immaginativo. Menzel non si è limitato semplicemente a riprodurre il mondo, ma tramite la fisicità e la possibilità di immedesimazione ha creato un legame con il mondo stesso, al centro del quale, per lui, si colloca l’uomo. La medesima centralità si ritrova anche nelle opere fotografiche di Michael Schmidt, che sono presenti già nel preludio della Biennale di Berlino negli spazi pubblici e mediatici e compariranno su manifesti, inserzioni nei giornali e su tutte le pubblicazioni della bb6. La serie dei suoi ritratti femminili mostra donne giovani e consapevoli, antieroiche e contrarie a qualsiasi sguardo mediatico usuale sulla donna. Queste immagini diventano public art e spezzano così la quotidianità scandita dai mass media.
Phil Collins ha progettato un nuovo lavoro per la Biennale. Ha ritratto professori che, fino al 1989, hanno insegnato marxismo-leninismo nelle scuole e università dell’ex Europa orientale. Ha invitato alcuni di essi a Manchester a elaborare un programma di insegnamento di questo argomento sulla cui base si svolgeranno lezioni in diverse scuole per un semestre. Il video che accompagna il progetto sarà visibile nella mostra.
Sono previsti numerosi lavori appositamente realizzati per la Biennale di Berlino. Il giovane artista kosovaro Petrit Halilaj, per esempio, è presente con un grande progetto. Insieme alla sua famiglia, Halilaj costruisce una nuova casa a Pristina dopo aver deciso di lasciare l’abitazione distrutta dalla guerra, piena di ricordi e immagini di quel momento drammatico. Le casseforme di legno utilizzate per la nuova casa saranno trasportate a Berlino per installare una copia di quella di Pristina, o meglio la sua forma scultorea in legno, nel white cube delle opere d’arte. Si tratta di un progetto che mostra innumerevoli punti di contatto con i disegni di Adolph Menzel che, mi auguro, saranno evidenti nella sintesi offerta dalla Biennale.

R.S. Grazie per questa conversazione, sono impaziente di vedere la mostra.