AI MAGAZINE Anno 4 Numero 41 luglio 2010
A volte ritornano, tra vampiri e zombiemania, una mini guida per tentare di orientarci tra “I cool ones” dal mondo dell’arte sino a quello letterario, passando per le ultime mode.
A volte ritornano, tra vampiri e zombiemania, una mini guida per tentare di orientarci tra “I cool ones” dal mondo dell’arte sino a quello letterario, passando per le ultime mode.
Bisognerebbe essere morti per non accorgersene. Da qualche tempo il mondo della cultura, non solo pop, è alle prese con personaggi a sangue freddo. La letteratura è invasa da saghe vampiresche e romanzi steampunk che cinema e televisione saccheggiano con grande fortuna; la moda, l’arte, la filosofia, persino la cosmesi suggeriscono che oggi “The cold ones” sono in realtà “The cool ones”. I prodromi di quest’ondata dark si rintracciano nella moda e nell’arte contemporanea, che per definizione dovrebbero essere “avanti”, e stavolta sono andate così avanti che, come direbbe The Ghost Whisperer, sono “passate oltre”.
I loro repertori visivi e commerciali, che vanno spesso a braccetto, ci hanno seppelliti già da anni in un camposanto fashion di teschi e scheletri più o meno scintillanti, più o meno apotropaici, più o meno vendibili (è ormai certo che l’acquisto milionario del teschio di diamanti di Damien Hirst sia tra le bufale del decennio). In questo, e anche nell’avvicendarsi dei colori dominanti, dicono i cromatologi, ha influito la svolta del millennio, con il Giubileo e le sue processioni vaticane violavestite. Aggiungi il terrorismo informatico del millennium bug (altra bufala), il senso di incertezza che domina le epoche di cambiamento, e il misticismo disorientato di un’era povera di spirito, che non sa più bene dove cercare il Trascendente e finisce per farlo tra le lapidi. Risultato: sempre più cupe le tavolozze dei pittori, sempre più gettonate le vanitas. Sempre più emozionante chi come Bill Viola si muove tra una dimensione e l’altra, ammiccando un po’ al Cristianesimo e un po’ al Buddhismo; sempre più furbo chi come Cattelan piazza le sue morti velate nella collezione Pinault e il suo monumento a Craxi in una Biennale di Carrara intitolata Post-monument, facendo ancora notizia. Sempre più usato il sangue come pigmento, come materia, come performance (da Marc Quinn a Hermann Nitsch), come condimento sui set cinematografici - al punto che in Giappone proliferano aziende specializzate nella produzione di sangue finto e umori vari, necessari a colmare la richiesta di un Occidente sempre più sedotto dalla dimensione del Dopo.
E dire che solo qualche anno fa una grande mostra dedicata alla Morte nell’arte aveva ricevuto dai media italiani una copertura stampa quasi inesistente perchè considerata menagramo. Ma questo “A volte ritornano” versione mainstream è a suo modo rivivificante: si può finalmente dire cosa ci piace di questa moda mortifera. A chi scrive piacciono le donnine esanimi dipinte da Danilo Buccella, specie quelle con sfondo cimiteriale, o quelle fantasmatiche e recluse in ville stile The others. Gli Hells dei fratelli Chapman, in fieri in un capannone di Londra popolato da miniature crudeli e sanguinolente destinate a diventare opere d’arte miliardarie.
La lotta (letteraria) tra il Bene e il Male ambientata nelle campagne inglesi di Jane Austen (Orgoglio e Pregiudizio e Zombie, di Seth Grahame-Smith), a Buckingham Palace con la Regina Vittoria (Queen Victoria Demon Hunter, di A.E. Moorat), a Washington durante la Guerra Civile (Abraham Lincoln Vampire Hunter, sempre di Grahame-Smith). Persino la grassoccia e rassicurante Charlaine Harris, scrittrice del Mississippi che si è inventata i vampiri sexy di True Blood (e il loro seguito di fangbangers, ansiosi di concedere giugulari e non solo) ma anche il cupo e intrigante personaggio di Harper Connelly, che gira a piedi nudi nei cimiteri per chiaccherare coi cadaveri. E poi si rifocilla di Werther’s Originals perchè lo zucchero le tira su il morale.
Perfetto dunque il tempismo del saggio Zombies, Vampires and Philosophy, in cui R. Greene e K.S. Mohammad raccolgono una serie di dissertazioni filosofiche intelligenti e ironiche. In cui si fa notare che, se l’appeal dei vampiri è facile da comprendere (sono aggraziati, sexy, sofisticati. Sono forti e veloci, sono nottambuli senza hangover, hanno una messinpiega imperturbabile - sono l’epitome del metrosexual, insomma), quello degli zombie è più problematico, e deriva da un oscuro meccanismo di immedesimazione. Gli zombie infatti non si preoccupano di controllare i loro fluidi corporei, di mancare di grazia nei movimenti - o di intere parti del corpo. Non sanno stare a tavola, non devono essere attraenti, e non dicono mai “Mi dispiace”. Sono, psicanaliticamente, creature dell’Es, dedite alla pura autogratificazione. Sono insieme la nostra peggiore paura, morte e putrefazione, e il più profondo desiderio, l’assenza di morale e di ansia da performance. Il Non-morto, o Quasi-morto, è di gran moda perché è catartico, è proibito, è perverso, è politicamente scorretto (niente zombie o vampiri vegani, sorry), è egoista all’estremo, è immortale e coltiva perciò il distacco emotivo, è trasversale a tutte le arti e a tutte le epoche. È una creatura di confine, come noi. Se siete tra quelli che disdegnano, o che si vergognano di frequentare il genere, sappiate che prima di voi si sono lasciati irretire dal suo fascino - e dalle questioni filosofiche che la possibilità della sua esistenza solleva - pensatori come Descartes, Rousseau, Freud e Heidegger. Se fossero vivi (o Non-morti) oggi, sarebbero anche loro in attesa del finale di Twilight.