Inside Art Anno 8 Numero 74 marzo 2011
Passioni e segreti del guerrireo errante. L’universo magico e ancestrale del maestro beneventano
L'incessante interrogarsi sul linguaggio dell’arte e sulle sue infinite declinazioni espressive è il modus operandi adottato da Mimmo Paladino per condurci in un universo prodigioso popolato da forme e da segnali primordiali vivificati dal vento impetuoso della contemporaneità. Dalle sculture d’intonazione arcaica alle pitture ispirate alle leggende e alle epopee popolari del bacino del Mediterraneo, dalle tracce preistoriche e tribali alla cosmogonia greco-ellenistica e paleocristiana in un avvicendarsi di immagini che travalicano i confini del reale per congiungersi al fantastico, all’inconscio e all’immaginario onirico. Un universo magico e ancestrale ma al tempo stesso drammatico e tormentato, spesso caratterizzato da omini assorti e distanti, uomini-fantoccio sprofondati nel nulla esistenziale e da piccole teste tosate contraddistinte, a volte, orecchie lunghissime e aguzze quasi fossero – se pur distanti da ogni riferimento diretto e assoluto con i modelli del passato – satirelli danzanti o inquietanti folletti.
Tra i molteplici e multiformi soggetti del complesso repertorio paladiniano, quello della montagna è certamente un motivo costante, quasi che tale espressione artistica possa rappresentare un riepilogo, se pur per frammenti, delle sue tendenze artistiche e speculative. Già nel 1990 a Gibellina (Trapani) Paladino aveva adoperato una Montagna di sale come “repoussoir” per la tragedia teatrale La sposa di Messina di Friedrich Schiller. Cinque anni più tardi, nel 1995, un’imponente installazione alta venti metri, con un diametro di trenta è stata riproposta a piazza del Plebiscito a Napoli “en pendant” con le sue opere raccolte ed esposte in contemporanea alle Scuderie di palazzo Reale e al museo Pignatelli. Dalla candida struttura emergevano come per incanto, e con un che di minaccioso, una trentina di brandelli scultorei e foschi dalle fisionomie umane e ferine tra cui alcuni cavalli presentati anche capovolti.
Un brano di questo allestimento, denominato la Vasca, è ora conservato nelle collezioni di arte contemporanea nel museo di Capodimonte. Una piramide salina era stata ideata dall’artista già alcuni anni addietro a connotare un tratto della costa occidentale della Sicilia che da Trapani giunge a Marsala: la Statale provinciale 21 o la via del sale. Qui Paladino aveva insediato un’imponente macchina argentea che non investe la natura ma ne diviene un ideale completamento: anche qui egli aveva introdotto scure figure di cavalli che contrastano con il nitido candore della massa cristallina. Un’altra Montagna, questa volta Azzurra e non di sale – come lo stesso Paladino rivela – che si estende per 2.500 metri quadri, verrà realizzata sul versante della diga di Camposauro nei pressi della galleria di Monte Pizzuto a Solopaca tra le montagne del Sannio.
Un’opera suggestiva che ricrea, sulla parete impreziosita da piccole tessere di ceramica blu, gli scenari di questi luoghi che sono peraltro la terra d’origine dell’artista: paesaggi caratterizzanti dai vigneti, scene agresti e montane e l’arco di Traiano a Benevento. Il riverbero dei raggi solari sulle lastre color del cielo si unisce a un’incantevole scenografia costituita da vapori, acqua, suoni e colori tanto da far sostenere, agli abitanti del luogo che «la Montagna parla». Dalle montagne beneventane a Milano, dove dal 21 marzo, in concorso con una retrospettiva a palazzo Reale dedicata all’artista – e specificamente in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia e per predisporre Milano alla tanto attesa Expo 2015 – una candida ziggurat di sale con la sua appariscente campitura monocromatica adornata, anche qui, da inserti scultorei figurativi campeggerà a piazza Duomo tra la statua equestre di Vittorio Emanuele II e la facciata gotica della cattedrale. Un’operazione di grande impatto estetico e filosofico ma con molte implicazioni sociali e politiche come ha rivelato lo stesso autore: «Ho voluto portare il sale dal Sud al Nord». Il sale dunque e una maestosa architettura mobile che incredibilmente acquistano delle valenze fortemente popolari e apotropaiche e divengono un prezioso strumento di aggregazione. E su tutto la straordinaria capacità di Paladino di padroneggiare sia la superficie della tela e della scultura sia lo spazio pubblico e di procedere con grande abilità dal piccolo dipinto al grande intervento urbano. Raggiunto al telefono, il maestro, tra anticipazioni e ricordi, riflette sul futuro e chiarisce il suo eclettico fare artistico.
Paladino, nella personale a palazzo Reale dobbiamo aspettarci nuove sperimentazioni o ulteriori contaminazioni?
«Ma no! In realtà è una piccola, in senso numerico, antologica, però mi sembrava giusto che palazzo Reale, che è un luogo così visitato, potesse offrire del mio lavoro, anche se per frammenti, una breve storia perché probabilmente non tutti la conoscono per quella che è; posso dire che ci saranno degli accenni e che si parte da un piccolo quadro del 1977».
Alla Biennale di Venezia del 1964 un giovanissimo Paladino, all’epoca appena sedicenne assiste allo sbarco degli artisti della pop art statunitensi. Quanto quest’avvenimento ha segnato il suo modo di intendere e di fare arte?
«Era la cosa più eclatante per un pittore in erba, che tra l’altro viveva in provincia, tornare con questa straordinaria idea di utilizzare materiali per dipingere: dall’“aquila impagliata” di Rauschemberg al “grande dentifricio” di Oldenburg c’era tutto quello che nell’arte non si era ancora visto, almeno fino a quel momento e quindi il fatto di tornare da Venezia con questa voglia di ripercorrere tale linguaggio e tale idea di trattare la materia e gli oggetti, per un giovanissimo pittore era estremamente emozionante».
Lei ha dichiarato: «Noi siamo ciò che siamo proprio grazie a chi ci ha preceduto». Ora le chiedo: lei è ciò che è grazie a chi o a che cosa?
«Dalle Grotte di Lascaux a oggi noi non saremmo tali se non ci fosse stata tutta la storia del mondo attraverso il segno e soprattutto, per quel che mi riguarda, l’espressione grafica; c’è da mettere dentro proprio tutto».
Se dovesse spiegare a un pubblico composto da giovanissimi che cosa è la Transavanguardia, cosa direbbe?
«Direi che la Transavanguardia in quanto teoria critica esiste un attimo dopo che un gruppo di artisti, italiani soprattutto, riscoprono non solo il piacere ma anche il significato del dipingere in maniera molto ampia. Quindi nel dipingere una stanza come un piccolo quadro così da utilizzare un oggetto piuttosto che una figura dipinta. Tutto ciò avveniva con estrema disinvoltura espressiva, non era il gesto del tornare a dipingere che non c’è mai stato per questi artisti; non esisteva il tornare ma il riappropriarsi di tutti i metodi e i mezzi che la pittura potesse offrire».
Anni ’80, la Transavanguardia, Bonito Oliva e soprattutto Paladino, Chia, Clemente, De Maria e Cucchi. Da un punto di vista dell’esperienza umana che cosa le è rimasto di quella fase?
«Assolutamente una grande energia e soprattutto l’idea che l’arte italiana fosse in quel momento la vera protagonista nel mondo. Dovunque si andava, dagli Stati Uniti al Giappone, all’Australia c’erano grandi accoglienze e manifestazioni di entusiasmo.
L’ARTISTA
Tra i padri della Transavanguardia
Mimmo Paladino nasce a Paduli (Benevento) il 18 dicembre 1948. Esordisce come fotografo e la sue prime e più importanti personali sono nel 1969 allo studio Oggetto di Caserta e nel 1976 alla galleria Nuovi strumenti di Brescia. In occasione di Aperto ‘80, alla Biennale di Venezia del 1980 Achille Bonito Oliva accomuna le sue opere a quelle di Cucchi, Chia, Clemente e De Maria coniando il termine Transavanguardia. La sua prima retrospettiva è al Lenbachhaus di Monaco nel 1985. Nello stesso anno realizza grandi installazioni in spazi urbani tra cui la Montagna di sale in piazza del Plebiscito a Napoli. Celebre la serie dei Dormienti, 25 figure di terracotta e bronzo messe in scena a Poggibonsi (Siena) e a Londra con la colonna sonora di Brian Eno. Fotografia, pittura, scultura, disegno, incisione, mosaico, encausto, terracotta, ceramica, cinematografia sono le espressioni artistiche utilizzate dall’artista. Nel 1994 è il primo artista contemporaneo a esporre a Pechino attirando gli elogi del gotha della critica d’arte internazionale. Nel 2004 realizza le porte per la chiesa di Padre Pio ideata da Renzo Piano a San Giovanni Rotondo, nel 2010 la scenografia del tour di Dalla e De Gregori “work in progress”. Vive e lavora a Paduli e a Milano.
LA MOSTRA
Il destino dell’uomo
La rassegna con opere di Mimmo Paladino esplora concetti fondamentali della vita e dell’arte quali l’esistenza e la morte, il sacrificio e il dolore. La mostra, a cura di Andrea Dall’Asta e Francesco Tedeschi, raccoglie i lavori dell’artista caratterizzati da soggetti religiosi. Tra le opere esposte Corale (1992), la serie di sei grandi tele ispirate a Falcone e Borsellino, un contributo dell’artista per non far cadere nell’oblio il messaggio e il sacrificio dei due magistrati. Altro tema trattato è quello della croce quale simbolo universalmente noto, rappresentato da cinque dipinti e dal grande telero Sacro sud del 2010. Dal 22 marzo al 14 maggio, galleria San Fedele, via Hoepli 3 a/b, Milano.