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Titolo Anno 22 Numero 62 primavera/estate 2011



Un contesto internazionale. Arte povera 1968–70

Francesca Pola



Rivista scientifico-culturale di arte contemporanea
SOMMARIO N. 62

3 Editoriale
di Giorgio Bonomi

5 Arte povera e concettuale.
Coincidenze e specificità
di Francesco Tedeschi

10 Germano Celant. Dal Museo sperimentale
alla definizione di un moviment
di Alessandro Botta e Giovanni Franchino

14 Un contesto internazionale. Arte povera 1968–70
di Francesca Pola

18 Per una teoria dell’Arte povera a Torino: Boetti, Gilardi, Pistoletto, Zorio
di Tiziana Conti

21 Appunti per un’Arte povera romana
di Maria Villa

25 Milano e l’Arte povera
di Elena Di Raddo

25 “Poor” e “Pure”. L’Arte povera e la critica di “October”
di Kevin McManus

31Michelangelo Pistoletto nel “terzo paradiso”
di Lara Caccia

34 Analisi del silenzio. Enciclopedia di parole taciute che Gilberto Zorio non avrebbe mai voluto sentire
di Fabrizio Parachini

36 Appunti su Erik Dietman (1937 – 2002). Cronologia di mostre e progetti in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta
di Gaspare Luigi Marcone

40 UEBERMODELS. L’estetica della riduzione. Intervista di Cristina Marinelli a Niels Betori Diehl e Barbara K. Prokop

43 Della povertà dell’arte, alla fine della filosofia...
di Massimo Iiritano

44 Spigolature bibliografiche
di Giorgio Bonomi

49 Massimo Iiritano, Dissoluzioni. La crisidell’esperienza estetica tra arte e filosofia
di Clementina Gily

51 In memoria diMirella Bandini
di Tiziana Conti

52 Lo sciocchezzaio
di Giorgio Bonomi


Recensioni

56 La fotografia nell’arte degli anni ’70 in Italia
di Gaspare Luigi Marcone

57 Gaspare
di Sergio Givone

58 Roy Thurston
di Simona Vigo

59 Museo del Novecento di Milano
di Giorgio Bonomi

60 Pino Chimenti
di Lara Caccia

62 Francesco Lussana
di Giulia Santi

64 La presenza della pittura.
Gli anni Settanta
di Matteo Galbiati

65 Paolo Iacchetti
di Matteo Galbiati

66 Claudio Parmiggiani
di Gaspare Luigi Marcone

67 Invader
di Simona Antonacci

69 Elio Marchegiani
di Cristina Marinelli

71 Il Quarto Re. I segni del contemporaneo e la ricerca religiosa
di Massimo Iiritano

72 Ottavio Sgubin
di Enzo Marigliano

74 Arturo Vermi e Cesare Galluzzo
di Matteo Galbiati
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Copertina del catalogo della mostra
Op Losse Schroeven. Situaties en Cryptostructuren
Amsterdam, Stedelijk Museum, 1969

J. Kounellis
Senza titolo, 1969, sacchi e semi
mostra Live in Your Head. When Attitudes Become Form. Works - Concepts - Processes - Situations - Information, Berna, Kunsthalle, 1969
(foto di C. Abate, da “Cartabianca”, Roma, n. 5, maggio 1969)

G. Zorio
Progetto per l’opera in fieri Purificare le parole,
dal catalogo della mostra Op Losse Schroeven. Situaties en Cryptostructuren, Amsterdam, Stedelijk Museum, 1969

L’ambito di indagine artistica identificato dalla denominazione critica di “Arte Povera” vive da sempre il paradosso della propria stessa definizione: se storicamente questa denominazione è stata impiegata in senso militante da Germano Celant tra il 1967 e il 1971, essa è stata poi assunta da lui anche retrospettivamente quale modello di avanguardia operativa permanente, tradotta nei linguaggi individuali dei suoi esponenti. La fluidità esatta della prima teorizzazione dell’Arte Povera si è infatti intrecciata, nel corso dei decenni, da un lato con tensioni interpretative interne che, a seconda del protagonista di pertinenza, ne hanno arricchito ed esteso le implicazioni, dall’altro con la propria ricezione critica internazionale a partire dalla fine degli anni Sessanta, in rapporto ad una situazione estesa ed allargata che ha visto gli artisti italiani dialogare in tempo reale con altri esponenti dell’avanguardia globale, dall’Europa, agli Stati Uniti al Giappone. Un destino internazionale che appare oggi come l’inevitabile portato, teorico e pratico, dell’allargamento critico, terminologico e di circuito voluto da Celant e dai suoi protagonisti (dagli artisti ai galleristi), nell’apertura interdisciplinare come nel confronto internazionale del loro agire, cui corrispondeva alla fine degli anni Sessanta una mutata relazione con il fare artistico e con la fluidità possibile delle sue realizzazioni.

L’Arte Povera vive così oggi il paradosso di essere assurta a emblema di una ritrovata “identità italiana” della ricerca d’avanguardia proprio nei medesimi anni in cui il sistema artistico mondiale ne sanciva una prima collocazione internazionale.
In questa prospettiva, si è qui scelto di segnalare alcuni episodi che possono essere considerati, tra il 1968 e il 1970, indici tangibili della costituzione di un contesto nel quale l’Arte Povera trova il proprio respiro e dialogo internazionale, non prestando attenzione alle presenze dei singoli (non sono ad esempio prese in considerazione le mostre personali), quanto invece ad alcune manifestazioni collettive che hanno avuto rilevanza nella sua maturazione teorica e nella definizione di un contesto attivo e proattivo per il suo sviluppo in questi suoi primi anni.

Un primo segnale è da riconoscersi nella manifestazione Prospect 68 alla Kunsthalle di Düssedorf, dal 20 al 29 settembre 1968, a cura di Konrad Fischer e Hans Strelow, dove sono invitate ad esporre sedici gallerie europee e americane: la galleria torinese di Gian Enzo Sperone, vivaio creativo della nuova tendenza, presenta opere di Calzolari, Boetti, Piacentino, Prini, mentre Ileana Sonnabend, sua interlocutrice parigina, lavori di Anselmo, Mario Merz, Morris, Nauman, Zorio. Tra gli altri artisti presenti, Beuys, Broodthaers, Buren, César, De Maria, Hodgkin, Panamarenko. Pochi mesi dopo, nello spazio alternativo della Castelli Warehouse di New York, si tiene dal 4 al 28 dicembre Nine at Leo Castelli, mostra a cura di Robert Morris, che accosta lavori di Bill Bollinger, Stephen Kaltenbach, Eva Hesse, Bruce Nauman, Alan Saret, Richard Serra, Keith Sonnier a opere di Giovanni Anselmo (Senza titolo, 1968, cotone, acqua, acciaio) e Gilberto Zorio (Piombi, 1968).

Un confronto ancora più serrato si ha in occasione di Op Losse Schroeven. Situaties en Cryptostructuren (On loose screws. Situations and Cryptostructures), mostra a cura di Wim Beeren, che si tiene allo Stedelijk Museum di Amsterdam dal 15 marzo al 27 aprile 1969, nella quale agli artisti italiani non solo è riservato ampio spazio, ma anche la possibilità di interagire con esponenti di vecchia e nuova generazione dell’avanguardia americana ed europea.(1) A sottolineare il valore in presa diretta dell’esposizione, che si propone di documentare una situazione in fieri, si decide di presentare in catalogo, contestualmente alle opere esposte, anche progetti non ancora realizzati.
Anselmo espone una serie di opere del 1968: Struttura che mangia l’insalata, Senza titolo (acqua, cotone, acciaio), Senza titolo (vetro, specchio, cotone), Torsione; in catalogo, presenta il progetto di W (viva), che prevede l’impiego di carne fresca su tondino di ferro e chiusa in un sacco di polietilene.
Pier Paolo Calzolari espone alcuni lavori del 1969 sul trascorrere dell’energia attraverso la tensione del tempo: Impazza angelo artista, Un flauto dolce per farmi suonare, Il mio letto così come deve essere, Senza titolo(piombo, mercurio), Meridiana.
Così Zorio propone alcuni lavori sulle potenzialità processuali degli elementi: Rosa Blu Rosa del 1967, Il fuoco è passato e Scrittura bruciata del 1968; Arco voltaico del 1969; in catalogo, compare il progetto dell’opera di lì a poco realizzata come Purificare le parole.
Con gli elementi lavorano anche Jannis Kounellis, che Senza titolo (struttura di ferro e cotone) e Senza titolo (carrello e carbone) del 1967, oltre a Senza titolo del 1969 (lana rosa e pali di legno); Mario Merz, che presenta Città irreale del 1968, Che fare (vetri e stucco), Castello e Il pacchetto del 1969, Marisa Merz, con Altalena per Bea, Scarpetta e Scodella di sale del 1968.
Paolo Icaro propone un progetto di azione in relazione a una finestra del museo, che prevede di scrivervi ogni giorno una serie di frasi predeterminate, sino a riempirla, poi barrare le scritte con una X, fotografare la finestra, ripulirla e conservare documento dell’avvenuto negli archivi dello Stedelijk; in catalogo, presenta invece Annotazione per misura a distanza, che prevede un Progetto di registrazione di volo di farfalle e un Progetto di osservazione della stella Sirio. Analogamente e in senso inverso, Emilio Prini propone le tracce dell’azione Camping. Compaiono in catalogo anche un testo di Piero Gilardi, Politics and the AvantGarde. Pop and Nouveau Realisme; analysis and myth of the technological society, e uno di Harald Szeeman, Diario dei preparativi, e solo di questi, per la mostra When Attitudes Become Form.

Di lì a poco inaugura infatti uno dei momenti centrali nella codificazione internazionale di una tendenza estesa che include come centrali gli autori poveristi: la mostra Live in Your Head. When Attitudes Become Form. Works – Concepts - Processes - Situations - Information, che si tiene a cura di Szeeman alla Kunsthalle di Berna dal 22 marzo al 27 aprile 1969. Il sottotitolo (Quando attitudini diventano forma. Opere – Concetti – Processi – Situazioni – Informazione) compare in quattro lingue (tedesco, inglese,francese e italiano) e tende a sintetizzare le modalità operative di una temperie creativa complessa, fondata sul rifiuto della forma artistica mediata, in una diretta relazione con lo spazio della vita. Come lo stesso Szeeman individua nel testo introduttivo: “Per questo fenomeno complesso mancano fino ad ora nome ed etichetta, come si era verificato per la Pop, l’Op e la Minimal. I termini proposti Anti-Form, Micro-emotive Art, Possible Art, Impossible Art, Concept Art, Arte Povera, Earth Art, colgono solo un aspetto: l’apparente opposizione alla forma; un alto grado di impegno personale ed emotivo; eleggere ad arte oggetti che fino ad allora non erano considerati come tali; lo spostamento dell’interesse del risultato al processo di realizzazione; l’utilizzo di materiali poveri; l’interazione fra lavoro e materiale; la madre terra come materiale di lavoro e luogo di lavoro, e il deserto come concezione”.
Oltre al testo di Szeeman, sono presenti tre contributi dedicati all’analisi delle tendenze specifiche, a firma di Scott Burton (Notes on the New), Grégoire Müller (Diversité, abondance...) e Tommaso Trini, che nel suo testo Nuovo alfabeto per corpo e materia parte proprio dal riconoscimento di corrispondenze internazionali del nuovo linguaggio visivo per focalizzare nelle esperienze italiane una sorta di contaminazione con lo specifico teatrale e performativo, che dall’alfabeto della materia conduce appunto all’alfabeto del corpo.
Anselmo espone Torsione, tre Senza titolo del 1968-69, Trespolo del 1969; Alighiero Boetti è presente con Terreno giallo del 1966, La luna, Boetti e Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969, del 1969. Calzolari espone Benvenuto, benvenuto Alice del 1968 e Oroscopo come progetto della mia vita del 1969; Kounellis Senza titolo del 1969 (sacchi e semi);Mario Merz Sit-in del 1968, Appoggiati, Acqua scivola (Igloo di vetro) e Calco da mastice come per i denti del 1969; Zorio espone Luci del 1968, Torce, Trascinando un po’ di..., Giunchi con arco voltaico e Cenere del 1969. Pino Pascali espone 32 mq di mare circa del 1967. Altri autori denunciano una più diretta intenzionalità performativa e concettuale: Michelangelo Pistoletto partecipa semplicemente in catalogo pubblicando foto de Lo Zoo, Prini è presente ma non espone opere, Icaro propone un’azione realizzata da Szeeman stesso con museo a luci spente e con Kounellis nella piazza della cattedrale. Il contesto internazionale è ampio e diversificato: sono presenti Andre, Artschwager, Bang, Bark, Barry, Beuys, Bochner, Boezem, Bollinger, Buthe, Cotton, Darboven,Dibbets, van Elk, Ferrer, Flanagan, Glass, Haacke, Heizer, Hesse, Huebler, Jacquet, Jenney, Kaltenbach, Kaplan, Kienholz, Klein, Kosuth, Kuehn, LeWitt, Lohaus, Long, Louw, McLean, De Maria, Medalla, Morris, Nauman, Oldenburg, Oppenheim, Panamarenko, Pechter, Raetz, Ruppersberger, Ruthenbeck, Ryman, Sandback, Saret, Sarkis,Schnyder, Serra, Smithson, Sonnier, Tuttle, Viner, Walther, Wegman, Weiner, Wiley.

Dopo Berna, la mostra viene riproposta a Krefeld, al Museum Haus Lange tra maggio e giugno, e a Londra, all’Institute of Contemporary Arts, tra settembre e ottobre. Il riscontro di stampa internazionale è ampio. La rivista romana “Cartabianca” dedica alla mostra un ampio servizio, con testo di Fabio Sargentini (gallerista de L’Attico, il quartier generale romano propulsivo della nuova tendenza) e foto di Claudio Abate.(2)

Il 1969 è anno cruciale per l’affermazione della nuova tendenza tra concetto, comportamento e intervento, e il libro Arte Povera di Celant viene pubblicato in quattro edizioni: italiana (Arte povera, Mazzotta, Milano) inglese (Art Povera. Conceptual, Actual or Impossible Art?, Studio Vista, Londra) americana (Art Povera. Concepual, Actual or Impossible Art?, Praeger Publisher, New York) e tedesca (Ars Povera, Studio Wasth, übingen). L’autore invita gli artisti a realizzare essi stessi le pagine del libro dedicate a presentare il loro lavoro, scegliendo illustrazioni, scrivendo testi o realizzando opere per l’occasione. Il libro tende codificare internazionalmente
Arte Povera come etichetta storiografica e interpretativa estesa al di là del contesto italiano: include infatti Andre, Anselmo, Barry, Beuys, Boetti, Boezem, Calzolari, De Maria, Dibbets, Fabro, Flanagan, Haacke, Heizer, Hesse, Huebler, Kaltenbach, Kosuth, Kounellis, Long, Mario Merz, Morris, Nauman, Oppenheim, Paolini, Penone, Pistoletto, Prini, Ruthenbeck, Serra, Smithson, Sonnier, van Elk, Walther, Weiner, Zorio, lo Zoo (di Pistoletto).
Una operazione che Celant prosegue con la mostra Conceptual Art, Arte Povera, Land Art alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, dal 12 giugno al 12 luglio 1970, che intende mostrare la centralità del movimento italiano in un contesto più ampio.

Un dialogo internazionale che ha intanto raggiunto anche il Giappone, con Between man and matter, a cura di Yusuke Nakahara, che si tiene nel 1970 a Tokyo (Metropolitan Art Gallery, dal 10 al 30 maggio), Kyoto(Municipal Art Museum, dal 6 al 28 giugno), Nagoya (Aichi Prefectural Museum, dal 15 al 26 luglio) e Fukuoka (Prefectural Culture House, dall’11 al 16 agosto), e mette in rapporto artisti europei, statunitensi e asiatici.
Gli italiani presenti in questa occasione, che realizzano anche opere in loco, sono Luciano Fabro con Il pupo e L’Italia del 1968, Avanti dietro destra sinistra (cielo) del 1967- 8, Nazione italica del 1969, Davanti, Dietro, Destra, Sinistra (in una sala bianca a forma di pentagono); Kounellis con Senza titolo (una stanza chiusa da una sbarra di ferro); Mario Merz con Proliferazione di una pianta (la cui progressione di Fibonacci parte dalla cima di un bonsai e si sviluppa con filo elastico sulle pareti); Giuseppe Penone con Demagnetizzazione di una stanza (una sequenza di specchi circolari da una stanza del museo a un lago, la cui proiezioni rimandano l’una all’altra sino a trasferire l’interno nell’esterno); Zorio con Il confine è quella linea immaginaria che si concretizza con la violenza del 1970.
Quasi contemporaneamente, dal 31 maggio al 5 luglio 1970, si tiene al Kunstmuseum di Lucerna la mostra Processi di pensiero visualizzati.
Junge Italienische Avantgarde, a cura di Jean-Christophe Amman, con opere di Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Giorgio Griffa, Kounellis, Roberto Maini, Eliseo Mattiacci, Mario Merz, Paolini, Penone, Pistoletto, Prini, Salvo, Zorio. Nell’introdurla in catalogo, Amman ripropone la dialettica italiano/internazionale: “È nostra opinione che, dopo diversi anni, l’Italia disponga nuovamente di un’avanguardia non solo riconosciuta a livello internazionale, ma che ha dato vita a un movimento artistico per il quale il critico genovese Germano Celant ha creato tre ani fa il concetto di ars povera. [...] Oggi molti artisti rifiutano il concetto [...] perché quest’espressione comprende solo un aspetto del loro operato, essendo il materiale solo un mezzo per esprimere il messaggio”. Dal 1971, Celant stesso smette di usare il termine Arte Povera. “Nell’arco di cinque anni la sperimentazione è riconosciuta, non esiste più ragione di muoversi in gruppo. Influenzato certamente dalla posizione di Carla Lonzi che in quegli anni si era battuta per una ricerca di identità privata e personale, parlai con gli artisti della mia insofferenza verso l’etichetta che mi toglieva respiro su altri linguaggi, a cui ero interessato, come musica e danza, architettura e design, dell’urgenza a trattare singolarmente il loro lavoro”.(3)

E al suo contributo per il catalogo della mostra Arte Povera che si tiene al Kunstverein di Monaco di Baviera, a cura di Eva Madelung, dal 26 maggio al 27 giugno 1971, sceglie di assegnare la denominazione aperta di Senza titolo.


Note
1. Oltre agli artisti italiani, erano infatti presenti alla mostra di Amsterdam: Carl Andre, Joseph Beuys, Marinus Boezem, Bill Bollinger, Walter De Maria, Jan Dibbets, Ger van Elk, Rafael Ferrer, Barry Flanagan, Michael Heizer, Douglas Huebler, Neil Jenny, Olle Kåks, Richard Long, Robert Morris, Bruce Nauman, Dennis Oppenheim, [...] Panamarenko, Reiner Ruthenbeck, Robert Ryman, Alan Saret, Richard Serra, Robert Smithson, Keith Sonnier, Frank Viner, awrence Weiner. La mostra viene riproposta con il titolo Verborgene Strukturen Strutture nascoste) al Museum Folkwang di Essen, dal 9 maggio-22 giugno del medesimo anno.
2. F. S. [Fabio Sargentini], Avanguardia a Berna, “Cartabianca”,Roma, n. 5, maggio 1969.
3.Germano Celant, Cercando di uscire dalle allucinazioni della storia, in Arte povera / Art Povera, Electa, Milano 1985, p. 17.