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Titolo Anno 23 Numero 67 estate-autunno 2013



Riccardo Guarneri

Claudio Cerritelli

La sospensione dello spazio-tempo nella pittura di Riccardo Guarneri



Rivista scientifico-culturale di arte contemporanea


SOMMARIO N. 67

Pag. 3 Editoriale di Giorgio Bonomi

Pag. 5 La sospensione dello spazio-tempo nella pittura di Riccardo Guarneri di Claudio Cerritelli

Pag. 9 Il silenzio diventa tempo. Sulla poetica di John Cage
di Polo Bolpagni

Pag. 12 Opalka, 1965 / 1 – ∞ 5607249
di Francesca Brambilla

Pag. 14 Remo Gaibazzi. Tempo e lavoro
di Mario Bertoni

Pag. 17 Spazio diacronico e spazio sincronico. La riflessione di Carlo Alfano
di Francesco Tedeschi

Pag. 20 Daniel Spoerri. Lo Chef danzatore
di Anna Mazzanti

Pag. 23 Irma Blank. Consegnarsi al flusso del tempo
di Cristina Marinelli

Pag. 26 Marco Bagnoli. Lo spazio-tempo come dimensione del soggetto
di Kevin McManus

Pag. 30 Simoncini.Tangi
di Federica Biràgina

Pag. 33 La natura misteriosa del “tempo fotografico”
di Cristina Casero

Pag. 36 L’architettura contemporanea tra il tempo e lo spazio
colloquio di Giorgio Bonomi e Valeria Menchetelli con Franco Purini

Pag. 41 Non temere il proprio tempo è un problema di spazio
di Matilde Galletti

Pag. 44 Giulio De Mitri. La sensibile poesia del fare
di Matteo Galbiati

Pag. 48 Ora dirò di un neo arcimboldesco tableau vivant messo in scena da Luigi Ontani e Franco Purini
di Valentina Ricciuti

Pag. 51 Spigolature bibliografiche
di Giorgio Bonomi

Pag. 55 Spigolando per mostre
di Giorgio Bonomi

Pag. 60 Lo sciocchezzaio
di Giorgio Bonomi


Recensioni

Pag. 64 David Sylvester, Interviste con artisti americani
di Luca Pietro Nicoletti

Pag. 65 Grafia musicale e segno pittorico nell’avanguardia italiana (1950-1970)
di Anna Cochetti

Pag. 66 Quelli di Franco Fontana
di Sergio Neri

Pag. 68 Giuseppe Restano. Pavimenti
di Manu Buttiglione

Pag. 70 Antonio D’Agostino. Retrospettiva 1960-2009
di Giorgio Bonomi

Pag. 72 Città autografica. Disegno e progetto per un dialogo tra generazioni
di Valentina Ricciuti

74 Troppi addii!
di G. B.
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R. Guarneri, Costruzione a 4, 1965, cm 100 x 100 (collezione privata)

R. Guarneri, 4 rettangoli, 1971, cm 130 x 123 (collezione Lombardini, Firenze)

R. Guarneri, Il mistero della costruzione, 2001, cm 77 x 56

In una conversazione curata da Giovanna Uzzani (2004) Riccardo Guarneri riflette sulla sua lunga storia di eventi legati alla pittura come “approfondimento della sintassi della pittura stessa”, impegno costante a valutare i molteplici equilibri tra colore e linea, strumenti in reciproca tensione che lasciano affiorare differenti stati di luce e di ombra, sintesi spazio-temporale che sfugge alle normative della costruzione logica per captare vibrazioni e sfumature disseminate sulla superficie.
Immagini sospese nel vuoto, segni penetranti, vapori cromatici, lievi evanescenze di luce, situazioni presenti fin dalle opere degli anni Sessanta dove l’artista preferisce togliere elementi riconoscibili costruendo atmosfere rarefatte ai limiti del nulla, in sintonia con la leggerezza dell’invisibile.
L’adesione al linguaggio geometrico e alle sue sperimentazioni strutturali evoca correlazioni musicali tra colori e suoni, consente soprattutto la variazione di elementi ripetuti all’infinito, sequenze temporali racchiuse in minimi toni, passaggi quasi impercettibili all’interno del ritmo compositivo.

L’inafferrabile succedersi delle immagini s'intensifica nel corso del tempo sia come valore interno all’opera, sia nel divenire dei periodi di ricerca, concatenati e sorretti dal desiderio di comunicare l’emozione mentale della “luce che consuma e disfa” ogni struttura apparente, ogni minima staticità del campo percettivo.

Nella ricerca di Guarneri non c’è appagamento contemplativo e neppure progressione logica di forme, ma costante apertura verso le intermittenze del segno e del colore, strumenti di sconfinamento che fanno della pittura un’esperienza che si rigenera attraverso l’interrogazione continua del mistero dello spazio, con ritmi sospesi tra colore e luce come attimi sensoriali oltre l’orizzonte mentale del tempo.

Spazio e tempo sono dunque parametri soggettivi misurabili attraverso l’oggettività del fare pittura, la ricerca di relazioni con il vuoto coinvolge la superficie con molteplici gradazioni, essa stessa luogo di astratta purezza, impercettibile emanazione del visibile, sensibile introspezione dello sguardo che insegue bagliori in divenire nella rarefatta qualità delle vibrazioni cromatiche.
La dimensione del tempo è vissuta da Guarneri – in sintonia con le concezioni della pittura astratta contemporanea- come durata interiore, sospensione di tutte le relazioni con la realtà apparente, del resto la pittura è possibilità infinita di comunicare l’essere nel mondo attraverso il linguaggio specifico dei suoi elementi. L’immagine bidimensionale in sé contiene la fusione di molteplici esperienze fisiche e mentali, luogo di convergenza di differenti livelli percettivi legati sia alla memoria del reale che alle sue invisibili dinamiche.

C’è un tempo di costruzione dell’opera come campo aperto alle soggettive scelte segnico-cromatiche e al superamento della fase progettuale; c’è un tempo di rivelazione emozionale del colore che modifica la struttura dell’immagine in funzione del gradiente luminoso; c’è un tempo di sedimentazione dei segni e delle linee fissato valutando sia gli esiti in corso d’opera sia lo stato finale del dipinto.
C’è un tempo di riflessione e di confronto che intercorre tra le opere anche a distanza di fasi realizzative, riprendendo dal passato elementi utili alla dimensione creativa del presente.
C’è, infine, un tempo di percezione dello spettatore che è invitato non a consumare con un colpo d’occhio l’immagine dipinta ma a entrarvi lentamente e con attenzione, per cogliere – in tutte le sue seduzioni immaginative – il complesso carattere del linguaggio di Guarneri, dai minimi particolari della tessitura cromatica al processo astrattivo della visione totale.

Non a caso Giorgio Cortenova – già in una nota del 1975 – indicava la necessità di un lungo tempo d’osservazione del quadro: “Esso non è mai finito, ma sempre in ‘fieri’ e lo sguardo deve cedere il posto ad una presa di coscienza del tutto interiore; qualcosa che non si vede, ma esiste solo in quanto proiettato sulla tela dall’atto mentale del fruitore”.

Questa soglia tra visibile e invisibile è una presenza costante nelle ragioni della pittura astratta tese a coinvolgere il lettore ben oltre il puro e semplice atto del vedere, nel caso di Guarneri è la condizione necessaria per accedere alla sostanza luminosa del colore, per scorgere nel magico perimetro delle trasmutazioni segniche tutte le possibili stratificazioni, senza perdere alcun particolare effetto per rivelare il loro modo di apparire o di dissolversi.
I valori sensoriali del vissuto persistono come memoria delle cose anche quando l’immagine sembra coincidere con la radicale presenza del vuoto, lasciando che il respiro del bianco diventi luce totale, senza più interferenze o tramiti figurali.

In realtà, dopo una fase di costruttività geometrica caratterizzata da precise composizioni di quadrati, rettangoli e rombi, Guarneri crea dislocazioni e ritmi anomali che fanno slittare lo spazio verso l’esterno, oltre il perimetro circoscritto della superficie. L’uso delle diagonali nasce dall’esigenza di continui spostamenti, dalla volontà di negare i vincoli dello spazio simmetrico per acquisire una maggiore libertà compositiva, soprattutto per assecondare il senso di continua apertura delle forme sensibilizzando le loro dinamiche strutturali.
Per ottenere questa spazialità espansiva Guarneri lavora sulle tensioni interne della geometria, insegue la rarefazione del colore e la sottigliezza delle linee, smaterializzando il corpo dell’immagine fino a farne pura vibrazione luminosa. Alle variazioni del quadrato si affiancano altri ritmi strutturali, gradazioni di angoli acuti e ottusi, archi di cerchio, orientamenti accuratamente predisposti per creare una complessità percettiva instabile, uno spazio inquieto.

Così, se la ricerca di Guarneri è stata negli anni Sessanta e Settanta più radicale nel configurare la struttura dell’opera, nelle stagioni successive essa ha attinto la propria sostanza immaginativa da una più articolata presenza di segni, macchie, sfumature, vibrazioni calligrafiche.
Negli anni Ottanta lo spazio dipinto lascia filtrare nuovi desideri e correlazioni con precedenti memorie, il peso del tempo congiunge i fili di una ricerca che scorre inquieta tra l’idea iniziale e le sollecitazioni che scaturiscono dal lavoro. Anche le esitazioni possono aprire la strada verso soluzioni non previste, in una stessa opera è possibile cogliere procedimenti operativi legati a molteplici stati espressivi, frammenti di vita e dettagli astratti, scritture invisibili e macchie trasparenti, elementi leggeri e istintivi, tutto spinge la superficie verso direzioni variabili, inesplicabili, segrete.

Tra il segno e l’acquerello si stabiliscono relazioni sempre diverse, lo sguardo è sollecitato a seguire il tratteggio della matita, il sottile esercizio della scrittura, le varie consistenze del colore, ogni scelta operativa fa emergere forme sospese nel vuoto, respiri impercettibili nell’aria immateriale della superficie.
Durante il tempo di lavoro nascono improvvisi suggerimenti, lievi lacerazioni, linee rette sfiorate da atmosfere vaporose, soffi di luce irragiungibili, apprensioni emotive che caricano lo spazio di turbamenti cromatici e vibrazioni segniche.
Ogni variazione compositiva vuole restituire il senso di un primordiale incanto, quasi una dimensione senza tempo, nel senso che lo spazio pittorico inghiotte il tempo, non ha cronologie, usa segni e colori come strumenti di dilatazione percettiva, tramiti per costruire uno sviluppo del colore avvolto nella qualità luminosa delle forme.
L’evanescenza dei pigmenti crea movimenti discontinui nella vastità del visibile, le macchie sembrano impronte del pensiero in cerca d’assoluto, ombre luminose la cui verità visiva corrisponde alla qualità fisica del colore.
Questa condizione di ricerca non esclude la presenza di emozioni che vengono da lontano, orizzonti che nascono e svaniscono nell’atto stesso di osservarli, nello stesso istante in cui prendono forma.

Tra le tecniche che nutrono l’immaginazione di Guarneri, l’acquerello ricopre un ruolo privilegiato, capace di sollecitare l’incanto dello stupore originario, il respiro interno del colore, il sogno di una luce purissima dove lo sguardo sembra perdersi nel nulla, nella sostanza stessa dell’aria.
Il tempo d’esecuzione che l’acquerello comporta non ha confronti, è implacabile nel suo modo di captare l’istante della visione, non ammette pentimenti e correzioni, le macchie possono agire solitarie ma perlopiù si sovrappongono una sull’altra con tonalità leggerissime.
La stesura veloce del colore ha già in se stessa una nozione di tempo irreversibile legato all’esigenza di fermare l’immagine nel punto giusto, prima che possa scivolare via, diventare altro, allontanarsi dalla verità del suo istantaneo vibrare, spazio-tempo come valori inscindibili, strutture profonde dell’essere.
Con questo sentimento del dipingere Guarneri attraversa le impervie vicende della pittura aniconica con la convinzione, condivisa da diversi altri artisti della sua generazione, che il soggetto del dipingere sia comunque e sempre la pittura stessa o, meglio, la memoria oggettivata del colore o, ancora, la possibilità di portare quello spazio determinato verso la percezione di un tempo non misurabile.

Nel persistente racconto immaginativo che Guarneri suggerisce durante l’ultimo decennio, il tema della felicità creativa si sposa direttamente con il piacere del dipingere, questa sembra la certezza visibile nelle opere in cui l’artista congiunge gli orizzonti luminosi del passato e le nuove movenze del colore, con differenti ritmi che insorgono determinando direzioni oblique, immagini in bilico, sospensioni illimitate.
Il mistero della costruzione continua a essere il punto di riferimento di ogni bagliore del colore, sia che si tratti di evocare le atmosfere sensoriali della natura oppure le sonorità interiori dell’inconscio. Talvolta a sedurre l’artista è il desiderio di alzare lo sguardo verso altezze celestiali, spazi forse inaccessibili ma sempre desiderati, proiezioni spaziali che accompagnano la serenità di sguardo con cui Guarneri vive la continuità tra il passato e il presente, spazio di compresenze temporali diverse, capacità di intuire il futuro con tutti i sensi del suo inconfondibile alfabeto.