Titolo Anno 22 Numero 64 inverno-primavera 2012
Curiosamente, ma non tanto, “critica” e “crisi” hanno la stessa derivazione etimologica, cioè dal greco antico “krinō” che significa “io giudico”; se a questo aggiungiamo il valore che Kant dava alla parola “Kritik”, consistente nella capacità di cogliere i limiti della ragione ma allo stesso tempo quella di fondare la conoscenza possibile, possiamo allora affrontare l’attuale situazione di “crisi” che oramai attiene a tutti i livelli e a tutti i settori della società globalizzata.
L’arte non può fare eccezioni, anche qui la crisi ha coinvolto tutti i suoi aspetti: da quello della fondazione epistemologica del suo stesso essere, a quello espositivo, a quello commerciale e del collezionismo.
È noto che il mercato dell’arte va molto male da un po’ di tempo, a parte i grandi valori di centinaia di migliaia di euro (o dollari) ed oltre, sia per mancanza di domanda ma, forse, anche per eccesso di offerta (in due sensi: troppi artisti e prezzi troppo alti per autori quasi sconosciuti). Allo stesso tempo si comincia a sentire la crisi espositiva, proprio nei luoghi deputati alle esposizioni, i musei.
Negli ultimi anni, come avevamo notato nell’Editoriale del numero precedente, si è arrivati ad una moltiplicazione bulimica di musei dedicati all’arte contemporanea, come è avvenuto a Napoli e a Roma, dove figurano una decina di spazi, importanti e costosi; altrettanto capita in piccole città e paesi, in cui proliferano contenitori per mostre, dovuti ai capricci o alla vanità di amministratori, di fatto quasi inutilizzati, per mancanza dei fondi necessari per la gestione e le iniziative.
Si deve sempre rammentare, quando ci lamentiamo che in Italia, rispetto agli altri Paesi, si spende poco per l’arte contemporanea, che noi qui abbiamo un patrimonio di arte antica e moderna che nessuna altra Nazione ha e al quale si devono conservazione, tutela, utilizzazione, fruizione che costano moltissimo e quindi per il contemporaneo occorre accontentarsi di avere un po’ di meno.
Ma, in realtà, il vero problema non consiste solo nella scarsità di fondi bensì nella cattiva utilizzazione di questi, a cominciare dalla realizzazione di mostre di scarso valore storico-scientifico come le due giostre di Carsten Höller esposte al MACRO di Roma, che ha trasformato, per l’occasione, una sua sala in Luna Park o l’ennesima mostra di Julian Schnabel in Italia di cui proprio non si sente il bisogno; viceversa, a questo proposito, proprio in questi giorni il Museo Pecci di Prato ha dimostrato come si possano fare mostre di notevoli dimensioni di pittori italiani ed ottenere ottimi risultati, assai più significativi di tante mostre di “importazione” di star, vere o presunte, straniere (ci riferiamo alla mostra di Nicola De Maria, di cui qui appresso si parla); anche il MAXXI di Roma ha offerto una interessantissima mostra, di artisti sì stranieri, ma assai poco conosciuti in Italia e provenienti da una Nazione non raggiungibile comodamente, cioè di autori contemporanei dell’India.
Allora la “crisi” può essere benefica se aiuta a spendere in modo più oculato; ad eliminare il parassitismo delle Società che organizzano e gestiscono le mostre e i musei, con i relativi elevati emolumenti per Presidenti, Vicepresidenti, Consiglieri, impiegati, segretarie (questi ultime due categorie, magari, pagate con salari vergognosi); ad evitare le alte spese per mostre di artisti stranieri, dati i costi dei trasporti e delle assicurazioni, a favore dei tanti artisti italiani di elevato livello (invitando, con i risparmi, critici, direttori di musei, giornalisti di altri Paesi per una giusta diffusione internazionale delle iniziative), superando così i desiderata dei “poteri forti” del “sistema dell’arte” e non aspettando che l’artista italiano per aver il giusto riconoscimento debba essere morto o, per lo meno, moribondo!
La “crisi” potrebbe anche contribuire a ritrovare sobrietà e onestà scientifico-critica, negli studi, nell’ideazione e curatela delle mostre e nella conservazione e allargamento delle collezioni dei musei, senza stare a contare ossessivamente il numero dei visitatori, i quali, si sa – al di là delle mostre “evento”, tanto vacue quanto inconsistenti ma con nomi di richiamo – sono costituiti al 90% da ragazzi delle scuole ed ora anche dagli anziani delle Case di riposo, consuetudine sacrosanta ma che non può giustificare completamente le ingenti spese per mantenere le strutture, o no?
La “crisi”, allora, potrebbe anche far diminuire la pletora di presunti “artisti” che copiosi ogni anno escono dalle Accademie di Belle Arti, quando queste dovrebbero, come, anche su questo punto, abbiamo accennato nel numero precedente, ritrovare il loro DNA, cioè quello di scuole di alta formazione per operatori delle arti applicate che, in Italia, non si trovano più e che invece avrebbero numerose occasioni di lavoro e ben retribuito. Anche le Università, per il settore delle discipline artistiche, dovrebbero avere una sorta di “numero chiuso”, dato che i giovani laureati, anche molto bravi, sono destinati alla lunghissima disoccupazione o, se va bene loro, allo “stage continuo”, oppure a moltiplicarsi come “critici”, “curatori”, “addetti stampa” volenterosi ma incapaci e inconsistenti, sempre i lotta tra di loro al massimo ribasso!
Orbene: la “crisi” potrebbe anche riguardare il fondamento stesso del fare arte, ma di questo in altra occasione.