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DROME magazine Anno 7 Numero 19 primavera-estate 2011



Luc Tuymans / Angel Vergara

Tea Romanello-Hillereau

Picture it! (united we stand, divided we fall)



arti/culture/visioni


SOMMARIO DROME magazine n. 19

- the SUPERNATURAL issue


copertina /cover: Emeli Theander


PRÉLUDE
INTRO Agnieszka Kurant, John Stezaker, Nick Cave, Alberto Lapenna (Myops)

SARO’ LA TUA OMBRA / I’LL BE YOUR SHADOW by Rebecca Rossi // LUC TUYMANS / ANGEL VERGARA by Tea Romanello-Hillereau // DAN PERJOVSCHI by Teresa Macrì // MOUNIR FATMI by Barbara Polla // MATTHEW DAY JACKSON by Fulvio Chimento // ROBIN RHODE by Silvano Manganaro // KARA TANAKA by Marianna Liosi // synusi@blog MARINA ABRAMOVIC // NESSUNA CONSOLAZIONE / COLD COMFORT by Leonardo Gliatta // inspired by DROME EMELI THEANDER // UMBERTO CHIODI by Micol Di Veroli // MASTER MUSICIANS OF BUKKAKE by Sada Ranis // statement TREY SPRUANCE // L’OTTAVA ORA / THE EIGTH HOUR by Luiza S. Kainowska // FANTASMATICA / PHANTASMAL by Valerio Dehò // L’OCCULTO OTTICO / THE OPTICAL OCCULT by Silvano Manganaro + Claudio Lanzi // portfolio LAMBERTO TEOTINO // MEDIUM by Alessandra Violi // STEVEN FORREST by Sada Ranis // statement ELISA PALOMINO + TRISTAN VON CHRISTANN // LES FRÈRES BOUROULLEC by Tea Romanello-Hillereau // statement ROSS LOVEGROVE // RAW EDGES by Valeria Corti // inspired by DROME MERIÇ CANATAN // MUSIC FROM OUTER SPACE by Riccardo Uras // statement TSUMORI CHISATO // shooting HILDEGARD VON BINGEN by Nicol Vizioli // shooting THE HEALERS by Robert G. Bartholot

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Luc Tuymans and Angel Vergara at Art Brussels 29
photographed by eckelwood.com for DROME magazine

Angel Vergara, Feuilleton: L’orgueil, 2011
still from the video Feuilleton (composed by seven simultaneous projections)
© Angel Vergara

Da quasi un anno, un governo inesistente; da sempre, un antico antagonismo tra le due comunità: a rappresentare l’altro Belgio, invece, il trascinante punto di vista politico e artistico di un belga fiammingo e di un belga francofono che, a colpi di pennello, esprimono il loro amore per l’arte e denunciano la corruzione del potere. Appuntamento con Feuilleton, video affresco, e non solo, sugli attesi schermi della Biennale di Venezia


Intervista esclusiva per un evento eccezionale: quest’anno, alla Biennale di Venezia, il padiglione belga sarà occupato dal Belgio unito, rappresentante le sue maggiori comunità, mentre tradizionalmente vi è sempre stata un’alternanza tra le Fiandre e la Vallonia. Chiacchierata appassionata e a tamburo battente con i due illustri ospiti del padiglione, Luc Tuymans (nato nel 1958, ad Anversa, dove vive e lavora), uno degli artisti contemporanei più influenti della sua generazione, in veste di curatore, e Angel Vergara (nato nel 1958 a Mieres, Spagna, di stanza a Bruxelles), celebre per la sua pittura in diretta, che si fa nel tempo delle immagini, tramite il suo avatar Straatman, nome che si è guadagnato sul campo, abbigliandosi come un fantasmino e vivendo l’arte nella prossimità con il fruitore. Benché molto diversi, nessuno dei due lavora con la pittura come mezzo puramente formale, ma piuttosto come via per indagare le relazioni tra il potere delle immagini e l’ordine socio-culturale dominante. Quest’“alleanza della pittura spagnola con quella fiamminga”, secondo le ironiche parole di Vergara, sormontando le complesse istanze politiche, riesce nel federare la cultura belga lanciando, insieme, significativi messaggi sulla veridicità del “reale”.
Li abbiamo incontrati a Parigi, un caldo pomeriggio primaverile, ritrovandoli poi a Bruxelles durante la scorsa edizione di Art Brussels.


DROME: I primi di Giugno si inaugura la Biennale di Venezia: cosa ci aspetta nel padiglione belga?
ANGEL VERGARA: L’installazione assomiglia ad un fregio molto grande, costituito da sette proiezioni videografiche simultanee, montate con il ritmo e la velocità di una soap-opera, e su queste immagini io dipingo. Lavoro molto sull’attualità, e questi video riguardano gli eventi politici, sociali, economici e culturali degli ultimi 10 anni.

D: Utilizza la stessa tecnica dei suoi film dipinti?
AV: Sì, ogni episodio è proiettato simultaneamente ed è legato al tema dei sette peccati capitali. Naturalmente, il messaggio è nella trama ed è subliminale, l’opera non è un esercizio morale. Quello che ci interessa è la “pittura”. La mia opera è una specie di aggressione e, allo stesso tempo, di unione, della pittura e delle immagini in movimento.

D: In genere, alla Biennale di Venezia, la Vallonia e le Fiandre si alternano nel padiglione belga, ma quest’anno, e al di là di ogni aspettativa, il padiglione ospita un artista scelto dalla Vallonia, che a sua volta ha invitato un curatore delle Fiandre. Come si può interpretare questo atto così forte, alla luce della situazione politica attuale?
LUC TUYMANS: La situazione politica nel nostro paese è più che infernale, e quando Angel mi ha chiesto di essere il curatore della sua mostra, mi sono stupito e allo stesso tempo ho colto l’aspetto simbolico della sua proposta: appartengo alla comunità fiamminga e con questa collaborazione dimostriamo al paese che con la cultura si può fare un qualcosa che la politica non riesce a fare.
Angel lavora sull’attualità e il suo messaggio è molto denso. Anche il mio lavoro artistico è impegnato, e l’unione delle nostre personalità sarà molto interessante per quanto riguarda la forma e il contenuto. D’altronde, la Biennale è sempre stata estremamente politicizzata, perché i padiglioni affermano l’idea di nazione. E, in effetti, la particolarità di quest’anno, è il fatto che il Belgio non sia separato. Non si deve dimenticare che il padiglione belga all’epoca di Re Baldovino era molto politicizzato, perché il re imponeva le sue idee, facendo emergere la relazione ambigua tra lui e Lumumba.

D: Non pensate che la situazione attuale possa portare a dei reali cambiamenti?
LT: La parte fiamminga ha replicato in maniera molto forte e la situazione attuale è peggiorata perché stanno creando i buoni e i cattivi fiamminghi. È per questo che non si deve mai mescolare l’arte e la politica.

D: Per riassumere, Angel Vergara è stato scelto dal Ministero della Cultura e Luc Tuymans è stato chiamato da Angel Vergara...
AV: In effetti, è una cosa eccezionale. Quando ho fatto la proposta a Luc, non ero sicuro che il Ministero avrebbe accettato. Effettivamente, il governo era appena caduto quando mi hanno comunicato che ero stato nominato per proporre un progetto per il padiglione belga, e la mia prima idea è stata quella di chiamare Luc. Volevo un artista per accompagnarmi e in più un artista dell’altra comunità, vista la situazione politica. Allo stesso tempo, sapevo che con Luc avrei avuto una comunicazione perfetta ai fini del progetto. Sembra assurda questa separazione, ma la distanza tra Anversa e la Vallonia è come da qui (Gare du Nord, NdR) alla Bastiglia... siamo vicini.

D: È stato difficile convincere il Ministero?
LT: Non penso, perché la decisione è stata presa rapidamente e, d’altronde, abbiamo sottoposto un progetto con un contenuto molto forte, visto che si tratta dei sette peccati capitali, la più grande e la più importante parte della nostra vita. Sette peccati capitali che appartengono alla storia della pittura da molto, molto tempo e regolano i rapporti di scambio fra noi, nell’ottica di una società manichea. Un Feuilleton del mondo, i cui temi sono politici, economici ed ecologici, che parte da immagini della cronaca recente, da un’iconografia del web. E grazie ad una presentazione virtuale abbiamo dato un’idea molto precisa della forma che avrebbe assunto questo progetto. Penso anche che al Ministero siano stati impressionati dal gesto di Angel e dal fatto che avessi accettato di esserne il curatore. Il tutto ha avuto un bell’impatto.

D: Ma allora tutto questo dimostra che le cose cambiano...
AV: Ci sono stati dei cambiamenti politici da parte della comunità francofona, quattro anni fa una cosa del genere sarebbe stata impossibile. L’idea di oltrepassare le istanze politiche e di non restare separati culturalmente dimostra che c’è stata un’evoluzione politica.

D: Come sono le vostre relazioni con le Fiandre?
AV: Ho sempre lavorato con le Fiandre, dove l’arte è molto più sostenuta che in Vallonia. In Vallonia c’è una grande tradizione della “parola”: il cinema, il teatro, la letteratura. Storicamente, sono le Fiandre che hanno partorito gli artisti famosi e non la Vallonia. Ad un certo punto, non c’era un museo di arte contemporanea nella parte francofona e il solo museo di arte moderna era stato chiuso.

D: Parlavate del vostro percorso pittorico in comune, potete ap- profondire?
LT: La mia opera è più classica, perché utilizzo la pittura ad olio sulla tela; Angel, invece, lavora a partire dalle immagini in movimento su vetro: vuole immobilizzare questa immagine e lasciare una traccia del gesto. Io voglio immobilizzare completamente l’immagine: è il fantasma dell’immagine.

D: I confini tra artista e curatore sembrano qui sfumare per un intenso lavoro di équipe. Ognuno di voi, in modo diverso, mette in questione lo status del reale: quale è il risultato di questo vostro incrocio per la Biennale?
LT: Siamo tutti e due artisti, e ognuno di noi conosce bene il lavoro dell’altro. Quando Angel mi ha fatto questa proposta, ho trovato che poteva essere un qualcosa di molto intrigante. A questo proposito, mi ricordo che al ritorno da New York con mia moglie, due settimane dopo l’11 Settembre, eravamo nel corridoio dell’aeroporto di Bruxelles e abbiamo visto nel light box un Bruegel ritagliato. Mi sono detto: “Questa è l’immagine immanente di questo disastro, di questo cataclisma, di questa catastrofe”. Allora, l’idea dei sette peccati capitali ha a che vedere con la storia pittorica del nostro paese. La Biennale di Venezia, per me, è un anacronismo. Io rappresentai il Belgio a Venezia nel 2001 e rimasi scioccato dall’eurocentrismo. Perché, con questi padiglioni che sembrano dei mausolei delle nazioni, si cade nell’immobilismo, nell’idea di territorio e di politica. Non è un caso che il padiglione tedesco sia di fronte al padiglione francese: il razionalismo francese che si oppone al ventre tedesco.
Per quanto riguarda la mostra, il punto focale è l’uccisione di Pasolini, una morte politica, che rappresenta la morte del reale, l’assassinio del poeta, l’attualità politica italiana. Pasolini negli anni ‘70 annunciava la morte del reale. Tutta la produzione dell’immagine è diventata appannaggio del sistema politico-economico (il capitalismo) e mediatico. La realtà è ridotta, banalizzata, all’insegna della mediocrità e del conformismo. Abbiamo pensato ad una pubblicazione, ispirata alla “Frankfurter Allgemeine”, che sarà distribuita in città, in maniera che il padiglione e la gazzetta costituiscano l’opera d’arte. Ovviamente, va nei due sensi: o si scopre prima il padiglione e poi la gazzetta, o il contrario.

D: Questo numero di DROME è sul tema del soprannaturale e, a questo proposito, le propongo un gioco: se le chiedessero di creare un governo composto da artisti, quali artisti sceglierebbe?
LT: Nessun artista. È molto pericoloso mescolare arte e po- litica. Abbiamo avuto l’esperienza di Adolf Hitler, che era un artista.

D: Ma Hitler era un artista fallito...
LT: Sì, ma il pericolo proviene anche dagli artisti di successo. L’arte tratta la verità in una maniera meta-realistica. Non si possono fare delle combinazioni di questo genere e non si possono avere dei doppi talenti: o l’arte o la politica. Sono delle stronzate...

D: ...e in un mondo ideale o soprannaturale?
LT: Un mondo ideale o soprannaturale non esiste... mi sono sempre opposto allo slogan del Maggio ‘68 che circolava a Parigi: “L’immaginazione al potere”. È un’altra stronzata, perché l’immaginazione fa parte della realtà, e non è il contrario.

D: Ma quali sono le qualità che un politico dovrebbe avere?
LT: Deve essere un uomo di Stato, avere il senso civico e la responsabilità civica, che l’artista ha la libertà di non avere: il politico è nella società e non nell’opera d’arte.

D: Per Angel Vergara, invece, l’arte si mescola con la vita...
AV: Prendo spunto dalla vita e dalla realtà. Non cerco di produrre le mie performance in un teatro, e poi non dobbiamo per forza definirle delle performance: cerco le situazioni più adeguate possibili per fare della pittura. Mi getto nel reale per impregnarmene, come una piastra fotografica, coprendomi con il lenzuolo bianco. A differenza del fotografo che si copre con il tessuto nero e che lascia passare un po’ di luce per impregnare la pellicola, io sono completamente aperto alla luce. Indosso un lenzuolo bianco e vado per strada con il mio laboratorio nomade, per disegnare e dipingere, sono “nella pittura”, e le persone mi hanno affibbiato il nome di Straatman, perché pensano che faccio una performance. All’inizio non sapevo quello che facevo e ho perso il controllo della situazione. Non mi rendevo conto che volendomi proteggere per concentrarmi e focalizzarmi sulla tela, mi esibivo. Anzi, ho sempre cercato di sviluppare un qualcosa che andava contro le idee dello spettacolo e del pubblico. Ho sempre cercato di ritrovarmi nel reale, per essere il più vicino possibile a quello che pensavo essere interessante in pittura: per svilupparla, sono alla ricerca di altri territori. In Feuilleton, dipingo sui video. In modo paradossale, dipingo un mondo in movimento. La pittura permette una sosta in un ambiente complesso. Ma questa ricerca di stabilità può anche assumere la forma di una performance.
LT: Penso anche che ci sia un’idea strana del Belgio: il “paese delle diversità”, il “paese giovane”, con un altro senso del nazionalismo rispetto alle grandi nazioni. È un paese che ha subito diversi poteri per tanto tempo. È per questo che non c’è mai stato tempo per il romanticismo o per la poesia nel senso cliché del termine, ma solo il tempo per sopravvivere e un grande senso del “reale”. Ed è quello che Angel vuole dire nel suo lavoro: lavora sulla realtà. Certo, le sue immagini sono un simulacro, nel senso che sono mediatizzate, ma sono diventate quasi delle meta-realtà. A livello politico, sono molto interessanti perché dimostrano la grande responsabilità che hanno.

D: In realtà, ponete delle domande alle immagini mediatizzate...
LT: Il nostro lavoro ha molte similitudini: siamo tutti e due intrigati dall’idea del rapporto di forza e dalla maniera nella quale i poteri sono costruiti, ed è in questo senso che il reale è molto importante, perché dietro ogni augurio c’è un desiderio e ci sono degli interessi.
Quando mi chiedono perché dipingo, la risposta è sempre la stessa: “Perché non sono un ingenuo”. La pittura è stata la prima immagine concettualizzata che si conosce, che sia in una grotta o non so dove. Il messaggio della pittura è che sono immagini uniche, anacronistiche, ma tracce umane. Hanno più impatto nella memoria. È all’epoca del Rinascimento che si è costruita la figura dell’artista così come la conosciamo oggi: non c’è molta differenza tra Tiziano e un artista contemporaneo. Così come le relazioni tra gli attori culturali: è a quest’epoca che i primi mafiosi, cioè coloro che avevano il potere e i soldi, hanno iniziato a interagire con coloro che avevano la cultura.

D: Qual è la relazione tra i belgi e il potere? Pensa che in Belgio sia diversa rispetto agli altri paesi?
LT: Non abbiamo mai avuto un’identità nazionale chiara, il Belgio è un paese piccolo con molte diversità. L’identità fiamminga è un’altra storia e rimonta al Medio Evo.

D: Sarebbe stato possibile il caso contrario: un artista fiammingo che invita un curatore vallone?
LT: Non con il ministro fiammingo attuale. Per la prima volta, i fiamminghi chiedono senza ambiguità di prendere il potere a scapito della comunità francofona, ed è questo il vero punto di vista nazionalista fiammingo. E non vorrebbero neanche federare la cultura, perché hanno la pretesa di possederla.

D: Ha un’idea sull’evoluzione degli eventi politici in Belgio?
LT: Naturalmente, le situazioni di questo tipo non cambiano da un minuto all’altro. È la squadra che è importante, e siamo in una via senza uscita perché i politici della mia generazione non vogliono il cambiamento e i giovani non hanno l’esperienza.