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Diorama Mag Anno 1 Numero 0 autunno 2011



L’eleganza cambia tono

Virginia Devoto

Tentativi di comprensione di una tendenza cromatica





SOMMARIO N. 0

1 WUNDERKAMMER

3 EDITORIALE

7 INTRODUZIONE
Colore
/Eleonora Salvi

9 CONFRONTI
Baldessarri, Meireles, Navarro
/ Eleonora Salvi

20 AUTORI
Orhan Pamuk
/ Lorenza Novelli

23 AURORA DALLE ROSEE DITA
/ Ilaria Doimo

29 PUBBLICITA’
Artvertisement
/ Francesco Balacco

31FOCUS
L’eleganza cambia tono
/ Virginia Devoto

35 POESIA
Paul Verlaine

37 CINEMA
Percorso anacronistico nell’universo cinematografico a colori
/ Maddalena Cecconi

41 INTERVISTE
Astrid Legge
/ Zoe De Luca

49 SEEING IT RISE
/ Valentina Pieri

51 CONCEPT
Josef Albers

55 BIOGRAFIE
Tristan Corbiere
/ Alessandro Cacci

59 SAGGI
Arthur Shopenhauer
/ Lorenza Novelli

63 INTERVISTE
Massimo Caiazzo
/ Virginia Devoto

67 ABSTRACT SURFACE
/ Giulia Bombelli

71 ARCHIVIO
L’originale Miscellanea di Schott

73 MUSICA
Aleksandr Skrjabin
/ Elia Solverano

75 MUSICA
Delicate sound of colour
/ Roberto Mandia

79 ARCHIVIO
Guess Hue?

80 CINEMA
Kryzstof Kieslowski
/ Zoe De Luca

85 FOTOGRAFIA
William Eggleston
/ Zoe De Luca

98 DISTRIBUZIONE

100 WUNDERKAMMER
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Sigrid Calon
Zoe De Luca
n. 7 primavera - estate 2014

Interno Otolab
Virginia Devoto
n. 6 autunno-inverno 2013

A plunge in the Third Landscape
Eleonora Salvi
n. 5 primavera-estate 2013

Ogni sua parte somiglia all'intero
Virginia Devoto
n. 4 inverno 2013

Electronic Voice Phenomena
Jelena Miskin
n. 3 autunno 2012

The Rubber Man

Chiara Fraise Salvatori
n. 2 primavera-estate 2012



Il blu in Occidente è il colore a più alto tasso di gradimento. Lo dimostrano tutti i sondaggi d’opinione indetti dalla Seconda Guerra mondiale ad oggi, che 
registrano il blu come il colore preferito di oltre metà della popolazione europea. Perché? E da quando? Uno storico come Pastoureau, che ha scritto un’intera “biografia” su questo colore, è spinto a tracciarne la storia completa proprio per poter comprendere il motivo di questa forte preferenza; non è questo il momento di riassumerne approssimativamente gli scritti, basta soffermarsi su alcune tappe fondamentali. Fino al XII secolo il blu subisce un certo discredito; pur essendo presente nella vita quotidiana e nelle raffigurazioni pittoriche, dove il colorante veniva ricavato dalla costosissima polvere di lapislazzulo, non è mai un colore di primo piano, come lo sono invece bianco, nero e rosso, i tre colori archetipo tutt’ora prediletti in Oriente. Poi di colpo tutto cambia e, in pochi decenni diventa di moda, assumendo valore simbolico, religioso, sociale ed estetico: manoscritti miniati, vetrate, smalti, stemmi, stoffe e abiti, tutto è i nvaso e pervaso dal colore della profondità e della regalità.

È la Vergine, la Regina del cielo, la prima occidentale a indossare il nuovo blu, determinandone la promozione a livello sociale: gli stessi re seguono il suo esem-
pio, imitati a loro volta dall’aristocrazia. È una naturale conseguenza: se il blu è il colore del divino, deve essere anche quello del re. Così si giunse a definire blu il sangue degli aristocratici e oggi, seguendo la stessa logica, possiamo affermare che questo è il colore della classe politica, la nuova casta aristocratica. Ecco che con un lungo salto arriviamo al mondo a noi contemporaneo, in cui, a ben guardare, non è cambiata di molto la percezione di questo colore forse perché blu è anche sinonimo di fedeltà alla morale e alle idee, essendo da sempre il colore della toga dei filosofi. Facendo una rapida ricerca sul web, in merito alle tendenze colore degli ultimi tre anni, è facile carpire la preponderanza del blu “in tutte le sue sfumature”, indifferentemente dalle stagioni. Inchiostro, zaffiro, cobalto, copiativo, polveroso, metallico, elettrico, declinato in svariate tonalità, il blu, elegante e lucente, è il colore deg li abiti da sera: intellettuale, chic e mondano è perfetto per un abito da cocktail, ma “va bene anche di giorno”, per le riunioni più importanti o per fare la spesa. Duttile e sobrio, solenne e rassicurante questo colore, così proposto nei servizi di moda, ci appare adatto ad ogni situazione, ad ogni stagione e ad ogni fisico.

Nell’autunno/inverno 2008/09 sembrava dovesse sostituire definitivamente il nero come simbolo di raffinata distinzione: sono state, naturalmente, le star a indossarlo per prime, proponendo un rinnovato, moderno, sublime modello da perpetrare e lanciando così la nuova tendenza. Direzione cromatica, questa, che si dimostra anche particolarmente continuativa: nel 2010 la scelgono, tra gli altri, Alberta Ferretti, Roberto Cavalli, Miu Miu, Versace, Gucci, John Galliano per Christian Dior…ormai “è un must have”. Giorgio Armani lo predilige da sempre per il suo Uomo, e lo ha reso assoluto protagonista nella creazione della sua “Femme Bleu”: una signora del deserto è quella che sfila con convinzione sulla passerella, monocolore dalla testa ai piedi, proprio come una Tuareg, che cammina elegante e sognante sotto un cielo stellato, nel vento caldo del deserto.

Il fascino sobrio e aggraziato che contraddistingue uno dei più grandi stilisti italiani, il cui contributo artistico, applicato alle innumerevoli sottocategorie in cui si diversifica la sua produzione, “ha influenzato, definito e riprodotto l’identità sociologica dei popoli occidentali”, ancora una volta si fonde con l’immaginario esotico. “Finalmente libero di non fare Armani. So fare altre cose oltre la giacca”, ironizza lo stilista, durante un intervista nel backstage del defilé autunno/inverno 2010/11. Per esempio, il romanticismo in chiave moderna, declinato solo in cinque colori, da mattina a sera: blu, cielo, nero, bianco gesso e un tocco di rosso. “Cavalli fa il maculato, il mio dna è blu. Estremamente donante anche per le donne, è una valida alternativa al nero, che indurisce i lineamenti... Erano anni che volevo fare il blu, l’ho fatto totale, dall’inizio alla fine, così nessuno oserà più creare una collezione comp letamente di questo colore!”.
Il blu è suo dunque, se non per sempre almeno per questa stagione, e resterà legato al suo nome per molto ancora, perché gli si addice, forse più del “greige”, la tonalità da lui coniata, a metà strada tra il grigio e il beige, molto sobrio ma poco smagliante, e quindi privo di quella morbida duttilità che caratterizza il protagonista di questa riflessione. Oltre già palesata storica appartenenza “regal-borghese” del blu, due sono le questioni che affiorano con maggior forza:
il parallelismo con il nero e la più volte ripetuta affermazione “il blu in tutte le sue declinazioni”, due argomenti che, tra l’altro scopriremo essere legati tra loro.

Secondo Kandinsky esiste un’intensa affinità fisica tra il blu e il nero, poiché il blu può raggiungere una profondità prossima a quella del nero, baritonale, dapprima nei suoi movimenti fisici di allontanamento dallo spettatore e di movimento verso il proprio centro, e poi, anche, per la sua azione sull’animo. Andando molto in profondità infatti, il blu sviluppa l’elemento della quiete, del sonno e del riposo e, affondando verso il nero, acquista una nota di tristezza soffocante. Il nero è il colore che meglio definisce il Novecento, dalle fantasmagorie metropolitane all’angosciata cultura letteraria e politica, dalla provocazione punk delle strade, allo snobismo sopraffino delle elite; è insieme negazione e affermazione e attraverso l’opacità e la lucentezza mette in scena la sua ambivalenza. Nel nero il corpo si dissolve, accompagnando l’annullamento del senso, nel blu i sensi si placano. Non sorprende dunque che tale recente e ins istente tendenza cromatica sia stata benevolmente accolta dalla maggior parte di noi, abituati a nasconderci nel nero, metafora dell’eleganza ma anche dell’estinzione. Dal blu la luce si affievolisce fino a quasi scomparire, fino a raggiungere l’assoluta assenza di luce. Il nero in realtà non esiste e il blu, sfiorando il nero, diventa indaco, il colore del cielo di notte, il sole della notte che prepara nell’oscurità la sua prossima esistenza; astratto, dubbio, misterioso, figura il mondo degli Dei, della spiritualità nella sua accezione più mistica, valicando i confini della magia.

L’indaco, nella filosofia indiana, ampiamente diffusa anche nel mondo occidentale, attraverso la disciplina dello yoga, corrisponde al terzo occhio, il sesto chakra, proprio a indicare la caratteristica di astrazione, e quindi meditazione, che distingue questo colore, simbolo di intuito e di inestinguibile tradizione. A tal proposito basti ricordare che il Jeans, il cui protagonismo indiscusso degli ultimi decenni è inutile sottolineare, veniva originariamente tinto con l’indaco (oggi solo in alcuni superstiti ritroviamo l’etichetta “Indigo Basic”) e che i Tuareg, uomini blu del Sahara, da sempre si vestono interamente di codesto colore, scelto per l’innata qualità di isolante termico. La sua materia tintoria, l’omonimo fiore, l’Indigofera Tinctoria, per secoli ebbe un ruolo rilevante nell’economia dell’India, patria di un’antichissima arte dei colori, in cui migliaia di persone lavoravano per coltivare, estrarre e tingere indaco. Oggi f orse solo questo rimane: l’idea di un colore lontano, antico, legato a valori arcaici, che sicuramente non è in sintonia con le moderne esigenze.

D’altronde “la moda è la legge del flusso”, come dichiarò Volli, è il regno del cambiamento, non della tradizione. Ma perché annoverarlo tra “tutte le declinazioni del blu”? Se facessimo un sondaggio tra i giovani europei scopriremmo che neanche la metà degli interpellati sanno definire questa tinta, sebbene nello spettro esista ancora, sempre lì, al suo posto, il sesto. Nel linguaggio dei tintori giapponesi, invece, il termine “Ai” risulta talmente rilevante da ricoprire sia il significato di “indaco” che quello di “amore”. Il fatto che nel lessico occidentale l’indaco sia sempre meno presente sicuramente dipende dall’indiscutibile forza universale del blu; non dimentichiamoci le dirette associazioni con il cielo e con il mare, che da sempre disegniamo e immaginiamo “blu”, ma è legittimo pensare ad una sorta di ostracismo dilagante, avviato e alimentato proprio dalla moda. La stessa donna Tuareg di Armani è una “Femme Bleu”, non indaco, nonostante sia quest’ultimo il colore che la tradizione del Sahara perpetua. É necessario aggiungere una considerazione critica: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la preferenza per il blu non è l’espressione di una sua particolare ricchezza simbolica, anzi, si ha addirittura il sentore che venga apprezzato in maniera unanime, proprio perché i suoi valori intrinseci sono meno marcati di altri co-
lori, come il rosso, il nero o il bianco. Nella simbologia occidentale dei colori il blu in effetti “non suscita entusiasmi, è pacifico, distante e tranquillo”.
Viene quindi da chiedersi se può essere considerata una coincidenza questa analogia tra la neutralità del blu e l’apatia che ultimamente ammorba gran parte della popolazione occidentale; se sarà lui a rivestire il ruolo di morfina del nuovo millennio. Il blu ha qualcosa di anestetizzante: “si dipingono di blu le pareti degli ospedali, tutti i farmaci calmanti sono di colore blu, si utilizza il blu nel codice della strada per esprimere ciò che è autorizzato e lo si richiama a livello politico quando si ha bisogno di un colore moderato e consensuale. Il blu non è aggressivo e non è trasgressivo, tranquillizza e unisce[...] È freddo come le nostre società contemporanee, di cui è allo stesso tempo l’emblema, il simbolo e il colore preferito”, osservò Pastoureau. Forse, invece, abbiamo proprio bisogno di riconoscere la forza introspettiva e l’essenza riscaldante dell’indaco, e con lui riscoprire le virtù della conoscenza interi ore e della ritualità. Reso infelice da un esilio impostogli per discutibili esigenze di nomenclatura o addirittura per un ingenuo timore provato nei confronti della spiritualità che incarna, perché, diciamolo, non c’è niente di occidentale nella meditazione e nella magia, possiamo chiederci se dietro siffatta omissione ci sia altresì la soggezione alla fede cristiana, che ad esso preferisce il viola per la personificazione di alcuni dei suoi valori più pregnanti.