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Con-fine (2007-2013) Anno 6 Numero 26 inverno 2012-2013



Un viaggio nei segni dell’uomo

Gino Fienga



Trimestrale di Arte&Cultura Contemporanea


SOMMARIO N. 26

con-

(in)comunicabilità #1. Codici.
(non)comunication #1. Codees
Gino Fienga pag. 18

pretext

Die Kleinen Kunstler
Riflessioni intorno a un’opera...
Consideration about a work
Alberto Zanchetta pag. 22

Drammaturgia quantistica.
Quantum drammaturgy.
Dialogo fra Dialogue between
Silvia Conta & Antonio César Morón pag. 28

p a s s e u r s

Arnaldo Pomodoro
Un viaggio nei segni dell’uomo
A journey into man’s signs.
Gino Fienga pag. 36

Irene Kung
Tracce dall’ombra.
Traces from the shadows.
Luciana Ricci Aliotta pag. 46

Anna Ramasco
Deep. Codici inversi.
Deep. Codes inverse.
Cristina Fiore + Andrea Penzo pag. 54

atelier

Mani di fata? ...ma anche no!.
Light touch? better not!
Veronika Aguglia pag. 64

exlibris

Il frontespizio.
The frontispiece..
Mauro Carrera pag. 70

quid

Alfio Giurato
Utopia e distopia tra nuovi codici dell’arte di oggi.
Utopia and dystopia between new codes...
Pippo Lombardo pag. 76

documenta(13)

Codici e stilemi del preambolo per una nuova epoca.
Codes and styles of the preamble to a new era.
Matteo Bergamini pag. 84

-fine

Voltando pagina.
Turning the page.
Gino Fienga pag. 100
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Continuum X, 2010
bronzo, 80 x 198 x 35 cm
(Foto Dario Tettamanzi)

Grande tavola della memoria, 1959-1965
piombo, bronzo, legno e stagno, 225 x 325 x 60 cm
(Foto Giorgio Boschetti)

Rotativa di Babilonia, 1991
bronzo, ø 150 x 40 cm
(Foto Carlo Orsi)

Il discorso sul significato dei segni che compongono il Codice Pomodoroè una lettura che si srotola lentamente oltre il confine della pura percezione.

Spesso si sono trovati i riferimenti arcaici della forma-scrittura di Arnaldo Pomodoro, cercando similitudini nella tradizione cuneiforme o, comunque, in quel lungo lavoro ‘a togliere’ di scalpellini che hanno lasciato alla storia narrazioni in pietra, racconti e storie di uomini e tempi lontani da noi.
Sicuramente c’è questa suggestione: una nostalgia che attraversa il lavoro dell’artista nella volontà di mettere in relazione il mondo arcaico con un contemporaneo e futuribile matrix. Un linguaggio misterioso e remoto di cui si è persa la capacità interpretativa, che può però diventare sistema comunicativo universale del mondo tecnologico che verrà. È proprio una prima lettura estetica che trasmette allo spettatore sensazioni che vanno a scavare nel profondo, risvegliando idiomi simbolici che ancora fanno eco nella nostra memoria, facendo scattare una volontà di scoperta e di interpretazione di quelle cifre che, allo stesso tempo, danno dimensione alla forma e creano narrazione: enormi scrigni della memoria collettiva.
Ma se andiamo oltre la superficie, l’originalità delle opere segniche di Arnaldo Pomodoro sta, piuttosto, nell’intenzione di andare oltre la ‘semplice’ trasmissione della sua concezione di materia e di forma - quindi della sua idea di arte - arrivando a configurare, soprattutto, una struttura dell’esperienza cognitiva, che ci consenta di decodificare l’alto valore espressivo della fusione che, quasi naturalmente, si compie tra forma e contenuto.

In questo modo l’opera viene resa assolutamente autonoma, responsabilizzando il ruolo del fruitore che può cercare di riscattarsi da quello passivo di semplice ‘spettatore’ per entrare in relazione con essa, in una lettura ‘attiva’ e interpretativa che può svolgere in completa sim-patia con l’autore.
Un inedito atteggiamento epistemologico, quindi, che porta a spostare l’attenzione dell’artista, nel momento stesso della creazione della sua struttura multidimensionale, dall’oggetto verso il soggetto che entrerà in relazione con esso e con la polisemia dei messaggi di cui si fa veicolo.
Nel suo continuo gioco di ripetizioni e variazioni Pomodoro ci lascia liberi di filtrare l’interpretazione attraverso il nostro background, la nostra storia, le nostre categorie, lasciandoci proiettare sulla sua opera la nostra esperienza. Riattiva, però, il nostro ascolto interiore, senza cercare di commisurare la complessità del linguaggio alle nostre spesso limitate possibilità percettive e cognitive; ci spinge anzi ad inseguire le evoluzioni della tecnica e l’incontrarsi dei materiali, per ritrovare in noi stessi la capacità di ricordare: primo gradino verso la comprensione.
Il linguaggio di Pomodoro contribuisce quindi ad educare quello che potremmo chiamare l’occhio contemporaneo - lo sguardo libero dalla visione romantica - indicandogli una via di fuga, una possibile soluzione a questa impasse culturale che tende a condurci all’asservimento del pensiero, all’assuefazione, al silenzio.
Non c’è celebrazione retorica nella monumentalità di queste opere, ma volontà di irrompere nella sordità del mondo attraverso il tempo e lo spazio con messaggi tangibili, solo apparentemente muti, ma che invece si sommano in un continuum semantico quasi ossessivo: una scenografia di sintassi apparentemente complessa, che sembra trascinarci in un labirinto interiore articolato tra essenza ed esistenza ma che, in fondo, ci conduce a districarci nel difficile cammino verso una continua relazione fra il dentro e il fuori di noi.

Arnaldo Pomodoro ha intrapreso questo viaggio nei segni dell’uomo fin dall’inizio del suo lavoro. Con il tempo, in qualche modo queste incisioni si sono complicate, intricate, fino a diventare superficie magmatica nelle fenditure intime della materia. Si è lentamente consumato un processo di destrutturazione di questo codice restituendo all’opera la facoltà di rimettere costantemente in discussione i fondamenti del proprio linguaggio, attraverso una complessità che per certi versi ha sacrificato la soggettività a vantaggio dell’oggettività del metodo.
Credo tuttavia che le tracce della scrittura non siano mai del tutto scomparse: probabilmente infilandoci nei crepacci delle opere a tutto tondo, toccando la materia esplosa al di là della superfice lucente, possiamo sempre ritrovare, e sentire, l’impronta parlante di questo linguaggio originario.
Ma ecco che in una sorta di catartico e ciclico ritorno, negli ultimi anni, la superficie si rilassa i segni ritrovano leggibilità, quasi fosse il momento di fermarsi a catalogare tutto quello che fino ad oggi è stato scritto, in una sorta di volontà di autorganizzazione della struttura linguistica che possa spiegare cosa è successo, da dove siamo partiti e dove siamo oggi.
Sembra il momento di ricominciare, una riga dopo l’altra, a raccontare quel viaggio all’interno della materia e dell’essenza dell’uomo cominciato secoli fa nella notte da cui tutti veniamo.