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Flash Art Italia (1999 - 2001) Anno 34 Numero 226 Febbraio-Marzo 2000



Andreas Gursky

Gianni Romano

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Andreas Gursky, Hong Kong Shanghai Bank 1994

Andreas Gursky, Hong Kong Airport 1994

Andreas Gursky, Hong Kong Stock Exchange (Diptych) 1994

Gursky nasce nell'Est, a Lipsia, nel 1955, figlio di un fotoreporter. Prima di trasferirsi a Düsseldorf, studia alla Folkwang Schule di Essen, dove gli insegnamenti imperanti sono quelli di Otto Steinert, un maestro che nel dopoguerra ha formato il gruppo della Subjektive Fotografie. Klaus Honnef descrive questo periodo come anni nei quali i fotografi puntano l'apparecchio su "qualunque cosa si muova" e la divisione del paese genera attitudini diverse: "In Germania Ovest la fotografia diventa un mezzo più direttamente influenzato dall'arte, mentre a Est continua ad aderire alla tradizione della fotografia socialista. La DDR non sviluppa forme autonome se non molto tempo dopo." Alla luce delle prime esperienze del giovane Gursky, potrebbe non essere azzardato leggere le sue foto dei luoghi di produzione contemporanei come commento sociale, e le immagini delle roccaforti bancarie, delle Borse, del Bundestag, dei siti industriali hi-tech e degli hotel con tanto di design griffato, come strumenti di denuncia di un'oppressione tecnocratica e consumistica. Che l'artista decide di presentarci diabolicamente travestita da Industrial Sublime. Le grandi dimensioni dei suoi lavori - Gursky è stato uno dei primi a eccedere nel formato - sono determinate da precise ragioni compositive, per dar modo allo spettatore di entrare nell'immagine come fosse un ambiente e leggerne tutti i dettagli. Un altro grande protagonista della fotografia contemporanea, Jeff Wall, ci ha abituati a fare altrettanto, ma il confronto tra i due autori non può che evidenziarne le differenze: le composizioni minuziose di Wall3 sono basate su determinati dipinti, mentre le grandi panoramiche di Gursky ricostruiscono il discorso pittorico dall'interno; se il primo presenta l'immagine come frammento di un qualcosa di più grande, individuando nel frammento stesso la radice della propria ricerca, Gursky riporta in una sola immagine tutta la realtà possibile.
Gursky non crede alla realtà oggettiva, né si fida delle apparenze: per lui la fotografia, anche se manipolata secondo i propri fini, è l'unica ipotesi di realtà. La fotogenicità a cui punta è l'esatto contrario dell'autenticità o della pretesa di verità oggettiva della fotografia documentaria. La saturazione dei colori, l'eliminazione dell'anedottica e di ogni condizione atmosferica, la ricomposizione digitale di alcune scene, provocano un appiattimento dei piani, pur mantenendo un punto di vista singolo. È così che nasce l'effetto Gursky, un effetto di disturbo causato dal trovarsi inconsapevolmente sul margine di un cortocircuito focale, di uno spiazzamento. Pochi creatori d'immagini riescono a indurre una tensione così forte nello spettatore, in dubbio se ciò che pensa di vedere è ciò che sta effettivamente guardando. Con Andreas Gursky l'apparenza esterna del mondo e la sua riproduzione non coincidono. Inoltre, non si può ignorare che, al contrario dei suoi maestri, l'artista fotografa le strutture preposte a organizzare la vita contemporanea, ma anche chi opera al loro interno. L'intento non è narrativo: le persone non sono lì a raccontarci una storia. E neanche a comporre una folla senza volto. Anche quando l'artista ritrae gruppi di gente (come nella serie delle Borse o dei rave), non si ha mai l'impressione di un'estetizzazione delle masse pari a quella delle foto di Max Ehlert o dei film di Leni Riefenstahl. La dimensione delle fotografie e l'attenzione per i particolari consentono di leggere ogni figura individualmente. La foto realizzata allo Hyatt Regency Hotel di Atlanta mostra l'interno dell'edificio, i piani presentati nella loro geometria perfetta, il verde decorativo accentuato fino a diventare virus visivo e, tra un piano e l'altro, i carrelli delle femmes de chambre abbandonati all'esterno delle stanze. Non si vede gente che lavora ma, appunto, Gursky non è mai narrativo. Le sue foto sono allegorie, commento sul ruolo dell'uomo in una realtà dominata dalle sue creazioni. Non a caso questa foto è stata esposta accanto a Prada I, con i piani dell'hotel simbolicamente affiancati a quelli di un'esposizione di scarpe. A Parigi Gursky vede una vetrina di Prada e ne resta folgorato, et voilà, la foto è pronta o quasi; per renderla al meglio, l'artista decide di ricostruirla all'interno della galleria Matthew Marks di New York, dove lavora alla seconda versione, Prada II. "La vetrina è talmente 'architettonica', che in un secondo tentativo Gursky non ha potuto evitare di presentarla esattamente come tale: Prada II la mostra vuota, ancora illuminata e rialzata di un piano. Lo scrigno diventa un tempio"4. Il luogo dell'esposizione è sacralizzato, il feticismo delle merci trasfigurato in messinscena per le masse. Non sono le scarpe, gli oggetti, a essere in primo piano, ma il contenitore (scrigno, tempio, fabbrica...). Eppure, anche qui è possibile distinguere le caratteristiche di ogni singola scarpa. La relazione tra realtà e sua riproduzione non può che essere complessa. L'architettura riflette tutto questo, così come l'arte, occupate entrambe a sopravvivere a consumismo e intrattenimento, a un progresso che nei fatti diventa incomprensibile quanto più ci appare affascinante. Proprio come le foto di Gursky, bellissime, sublimi, e quindi capaci di agire come una trappola visiva che invita a perseverare nel dubbio.
Gianni Romano è critico d'arte. Vive e lavora a Milano.

NOTE
1) C'è una frase di Richter che Gursky ama citare: "Io vedo milioni di immagini, ne fotografo migliaia, ne scelgo cento, che poi dipingo...".
2) German Photography: Impact of a Medium, catalogo della mostra alla Kunst und Austellunghalle di Bonn, 1997.
3) "...in effetti c'è anche stato un periodo in cui mi aveva abbastanza influenzato, comunque lo considero il più interessante artista del nostro tempo nel campo della fotografia". Klaus Honnef, Intervista con Andreas Gursky, Eikon 21/22, 1997.
4) Annelie Lutgens, "Lo sguardo nella vetrina", in Fotografien: 1994-1998, Cantz Verlag, 1998.

Andreas Gursky è nato nel 1955 a Lipsia. Vive e lavora a Düsseldorf.
Principali mostre personali: 1994: Fondazione De Appel, Amsterdam; Le Case d'Arte, Milano; 1995: Tate Gallery, Liverpool; Portikus, Francoforte; 1996: Monika Sprüth, Colonia; 1997: Matthew Marks, New Yok; 1998: Columbus Museum of Art, Columbus; Kunstmuseum, Wolfsburg; Fotomuseum, Winterthur; Contemporary Art Museum, Houston; Kunsthalle Düsseldorf; 1999: Serpentine Gallery, Londra; Scottish National Gallery, Edinburgo; Castello di Rivoli, Torino; 2000: VanAbbe Museum, Eindhoven; 2001: MoMA, New York.

Principali mostre collettive: 1994: Sonje Museum of Contemporary Art, Kwangju, Korea; The Epic and the Everyday, Hayward Gallery, Londra; 1995: Fotografiska Museet, Stockholm; Biennale di Sydney; Fotografia nell'arte tedesca contemporanea, Claudia Gian Ferrari, Milano; 1997: Young German Artists 2, Saatchi Gallery, Londra; Landschaften/Landscapes, Kunstverein für die Rheinlande und Westfalen, Düsseldorf; 1998:Citibank Photography Prize, The Photographers Gallery, Londra; 1999: Photography. An Expanded View, Guggenheim Museum, New York; Große Illusionen, Kunstmuseum, Bonn; Le Temps, Vite, Centre Pompidou, Parigi; 2000: La Arquitecture sin sombra, CAAC Siviglia, CCCB Barcellona; Biennale di Sydney; How You Look At It, Sprengel Museum, Hannover.