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Flash Art Italia (1999 - 2001) Anno 33 Numero 223 Estate 2000



Giuseppe Gabellone

Alessandro Rabottini

Il Mondo in un Hangar



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"Un Aleph È uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti. Si trova sotto la stanza da pranzo È il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli". Con queste parole, il protagonista del racconto L?Aleph di J. L. Borges descrive il mistero e la meraviglia nascosti sotto un gradino della propria cantina: visioni, geografie e lontananze magnifiche e simultanee proliferano e si accalcano allo schiudersi di questo punto, davanti agli occhi del narratore. Al solito, lo scrittore argentino evoca la partitura architettonica dello spazio fisico (la biblioteca, il labirinto) per poi frantumarlo in un caleidoscopio di immagini, emblemi e racconti in cui i luoghi reali sconfinano nel fantastico, e il tempo, si ripiega su se stesso come un origami: lo spazio viene soppresso per poter essere reinventato come successione di figure, schiacciato in un frattale letterario che procede per immagini. Un?analoga pratica dello spazio, simulato e negato allo stesso tempo, è l?aspetto centrale nel lavoro di Giuseppe Gabellone: lavoro fondato su un?estetica del frammento e dell?immateriale, della negazione e del minimo aggiunto.
Attraverso fotografie, video e sculture, Gabellone sembra voler procedere a un?analisi del tempo e dello spazio, prendendo le mosse dallo scandaglio di un reale quanto mai tangibile, povero e sordo come i materiali che l?artista mette in scena prima di fotografarli. Gabellone, infatti, si immerge nei luoghi e nei materiali per poi negarli, dirottando lo sguardo in un altrove in cui l?esperienza del reale si trasforma in immagine, instabile e leggera. In spazi la cui anonimia ci è familiare, l?artista ambienta le sue sculture che resistono solo nella frontalità di un unico scatto fotografico: nell?attimo successivo al clic che ne documenta l?esistenza, le sculture vengono letteralmente distrutte e soppiantate da una testimonianza su pellicola.
Un improbabile paesaggio di cactus di creta sorto in modo inspiegabile in un parcheggio sotterraneo (Senza titolo, 1996); una scala a chiocciola sospesa nell?impossibilità di condurre in alcun luogo (Periodo, 1997) o una delirante costruzione in legno che invade gli spazi di un magazzino industriale con l?estraneità e l?impassibile simmetria di un oggetto da luna park siderale (Senza titolo, 1999): sculture negate nello spazio bidimensionale della fotografia, immagini sature di una tensione formale che produce una percezione sovraeccitata dei materiali e delle loro qualità tattili. La densità del legno e della creta viene tutta trasferita sulla retina, in una traduzione visiva della dimensione scultorea: gli elementi strutturali, privi di qualsiasi funzione statica, diventano immagini ossessive, desolati reperti minimal le cui doti formali sono consegnate alla perfezione di stampe fotografiche nitide, impeccabili, maniacali. In altre parole, Giuseppe Gabellone fonda il suo rapporto con lo spazio (e con il tempo, dilatato e compresso, accelerato e sospeso) sull?ambivalenza con cui prima avvicina la vischiosità del reale, la lavora e la provoca, mentre, in un secondo momento, ne rifiuta la prossimità e la respinge lontano, nelle distanze di un simulacro mediale, una sorta di piedistallo a due dimensioni.
I lavori che l?artista chiama 'sculture doppie' invece intrattengono un rapporto più disteso e pacato con lo spazio fisico, cui aderiscono in tutta la sua pienezza, senza negarne l?estensione e la fluidità nell?attimo di un clic. Il cubo di rafia (Senza titolo, 1996) o il passaggio in alluminio e acrilico (Senza titolo, 1997) sono strutture tridimensionali che, di volta in volta, vanno incontro a un duplice destino espositivo e vengono mostrate ora aperte ora chiuse. In questo modo è possibile rinvenire nell?idea stessa di forma un principio di sviluppo potenziale che attraversa i materiali (caldi e organici oppure sintetici, industriali) e che insinua nell?immagine un moto latente.
Le sculture doppie derivano dal Minimalismo la tendenza a presentarsi come 'provocazioni' percettive ma vi aggiungono un livello di poesia lieve e sommesso perché indicano nello sguardo il luogo aperto alla possibilità e all?immaginazione: queste strutture attivano una serie di condizioni imposte all?esperienza, come nei corridoi di Bruce Nauman, ma rinunciano alla loro natura di prove e verifiche fenomenologiche. Piuttosto le sculture di Gabellone fanno pensare a Hans Magnus Enzensberger, quando scarta l?immagine del tempo come successione lineare perché è 'la più banale delle concezioni' e vi sostituisce un modello complesso e dinamico che lo scrittore chiama 'la pasta sfoglia del tempo': un magma di progresso, anacronismo, avanzamenti e scarti della storia all?insegna della 'non-contemporaneità' del presente. Senza titolo del 1997, il passaggio-scultura percorribile a doppia estensione, dilata e contrae lo spazio che occupa e, al contempo, disegna un tempo plissettato, che si apre e si chiude a organetto. È la stessa sintassi che regge Senza titolo, la riproduzione in resina plastica e in scala reale di una cassa in legno sigillata, di cui è riconoscibile pressoché solo il principio costruttivo: un processo di montaggio invertito che, attraverso la pressione dall?esterno, conduce a una forma chiusa e impenetrabile. Con questa suo recente lavoro esposto a Over the Edges, la mostra curata da Jan Hoet e Giacinto Di Pietrantonio a Gent, Giuseppe Gabellone realizza una sorta di antimonumento alla storia dell?arte più recente, Minimal Art, Arte Povera, Pop e Nouveau Réalisme che sia: la negazione di un materiale simulato e, insieme, la celebrazione del fatto che, sì, quella è davvero plastica, lucida, innaturale, sovraesposta in tutta la sua evidenza' Quasi la declinazione sommessa dell?incongruenza delle immagini di Magritte, aggiornate alle nostre atmosfere glaciali, da cool design: iperrealismo e finzione, ovvietà e allucinazione sono infatti il rumore di fondo di un lavoro strutturato sulla sottrazione e sull?adesione incondizionata alle cose, nel quale, però, l?aspetto autoreferenziale si trasforma in una strategia per sabotare generi e convenzioni. Ma non si tratta solo di un sabotaggio della percezione, perché Gabellone, come molti artisti della sua generazione, nutre una specie d?amore disincantato e indolente verso gli oggetti, siano essi d?uso comune o opere d?arte, nel tentativo di comprendere una realtà a metà strada fra il museo e lo shopping center.

Alessandro Rabottini è critico d?arte. Vive e lavora a Chieti.

Giuseppe Gabellone è nato a Brindisi nel 1973. Vive e lavora a Milano.
Principali mostre personali: 1996: Studio Guenzani, Milano; 1997: Laure Genillard, Londra; 1998: Studio Guenzani, Milano; 1999: Studio Guenzani, Milano; Frac Limousin, Limoges; 2000: Greengrassi, Londra.
Principali mostre collettive: 1994: We are moving, Viafarini, Milano; VHS, Palazzina Liberty, Milano; 1995: Anni ?90. Arte a Milano, Palazzo delle Stelline, Milano; Out of Order, Galleria Comunale d?Arte Moderna, Bologna; Aperto/Italia ?95, Trevi Flash Art Museum, Trevi; Transatlantico, Viafarini, Milano; 1996: Campo 6, Galleria Civica d?Arte Moderna, Torino; 1997: Biennale di Venezia; Truce, Site, Santa Fe; Che cosa sono le nuvole?, Palazzo Re Rebaudengo, Guarene; Delta, Musée d?Art Moderne de la Ville, Parigi; Vertical Time, Barbara Gladstone, New York; 1998: Mostrato. Fuori Uso, Mercati Ortofrutticoli, Pescara; Biennale di Sydney; 2000: Quotidiana, Castello di Rivoli, Rivoli; Over the Edges, Gent; Future Identities, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Sala del Canal de Isabel II, Madrid.