Pier Paolo Pasolini, Che cosa sono le nuvole, 1967
Godfrey Reggio, Evidence, 1995
tableau vivant del La Deposizione di Pontorno nel film La Ricotta di Pier Paolo Pasolini, 1963
tableau vivant del La Deposizione di Rosso Fiorentino nel film La Ricotta di Pier Paolo Pasolini, 1963
Andy Warhol, Empire, 1964
Franco Vaccari, Maschere, 1969
Godfrey Reggio, Visitors, 2013
Chiara Corica, New Born / New Porn, 2011
Cesare Lombroso, Tavola dei delinquenti napoletani, 1897
Ando Gilardi, Wanted! Storia, tecnica ed estetica della fotografia criminale, segnaletica e giudiziaria, 2003
Naomi Vona, Gli infedeli mediatici, 2009
Hans Peter Feldmann, Agony, 2010
Nam June Paik, TV Buddha, 1974
Guido Meschiari, Beautiful Agony, 2010
Luca Panaro (critico, curatore e docente di fotografia e arte contemporanea) e Fabrizio Bellomo (artista e curatore della rassegna) si confrontano in merito ai video presentati durante la seconda sessione SPECCHIO RIFLESSO della rassegna.
LUCA PANARO: L'uomo, colui che guarda, è improvvisamente guardato. Dalla macchina. Un occhio meccanico lo osserva e lo studia come lui, fino a quel momento, era abituato a fare con il restante mondo. Un cambiamento antropologico di vaste dimensioni, già preso in considerazione da vari pensatori, ma forse non ancora sufficientemente indagato. “Specchio riflesso” si muove tra queste pieghe di conoscenza mostrandoci video d'autore che osservano uomini e donne visti dal punto di vista della macchina.
FABRIZIO BELLOMO: A proposito di altri pensatori... trovo molto attinente alla tua partenza (e interessante di per se) un testo che, uno degli ideatori di BLOB, Marco Giusti (
http://bit.ly/K6K0In) ha scritto come introduzione a un lavoro della rassegna, Audience di Marco Calò. L'unico lavoro fotografico che ho inserito in programma.
LP: In questo testo è interessante come Giusti si sorprenda di non essersi mai immaginato gli spettatori dei suoi programmi, i loro volti, sopraffatto dal dovere morale di fornire loro immagini su immagini. Dopotutto è normale che sia così. A ognuno il proprio ruolo. All'artista, svincolato dal “dovere”, spetta il compito di fare emergere quello che la quotidianità tralascia.
Guardando alla rassegna ho trovato davvero pionieristico Ten Minutes Older (1978) di Herz Frank che, come disse lo stesso regista, risponde alla prima regola del documentarista: “avere la pazienza di osservare la vita”. È quello che lui fa in una sala cinematografica con un gruppo di bambini intenti a guardare uno spettacolo di marionette, fra questi uno particolarmente spaventato. L'abolizione di ogni forma di narrazione, e il far coincidere il tempo filmico con quello reale, sono aspetti già presenti negli anni Sessanta nella produzione di Andy Warhol.
FB: Non conosco altri esempi di analisi di spettatori durante la visione di spettacoli teatrali, uno spettacolo di marionette è uno spettacolo teatrale (Che Cosa Sono le Nuvole? Pier Paolo Pasolini 1967).
Vedendo Ten Minutes Older all'interno del nostro programma, si può credere che si tratti di una visione cinematografica, ma è teatro, è un equivoco naturale dato che in tutti gli altri video di questa parte della rassegna gli analizzati guardano degli schermi. Cosa alla fine cambia nella visione di una rappresentazione, teatrale o video che sia?
I Bambini di Frank non mi sembrano essere assolutamente lontani, nelle loro reazioni, dai bambini ritratti in un altro bel lavoro (purtroppo non presente in rassegna perché ci è stata negata la possibilità di proiettarlo da Fabrica-Benetton che ne detiene i diritti), Evidence di Godfrey Reggio, in cui una serie di bambini vengono ritratti, ripresi dalla telecamera su sfondo nero mentre guardano il cartone animato Dumbo; che differenza c'è fra palco e schermo e sopratutto c'è differenza?
LP: Credo sia una questione di feed back, è la differenza che sussiste fra l'arte classica e quella relazionale.
FB: In una ipotetica visione comparata dei due lavori (Evidence e Ten Minutes Older) nessuno riuscirebbe a capire chi vede cosa, il che è naturale, secondo me tutti i linguaggi della rappresentazione hanno commistioni per anagrafe, alcuni esempi: i tableaux vivants portano il teatrale a confrontarsi con il pittorico assumendone alcune specifiche, gli stessi tableaux vivants li ritroviamo nel cinema e nella video arte ad esempio in La ricotta di Pier Paolo Pasolini e di nuovo nei Voom Portraits di Bob Wilson; la cronofotografia è considerata il primo cinema, anche se si tratta a tutti gli effetti di immagini fotografiche immobili e così via si potrebbe continuare con altri tanti esempi di forti commistioni tra i linguaggi della rappresentazione.
LP: Ma se vogliamo trovare una differenza, quello che intendevo dire, è che mentre a teatro si può instaurare uno scambio, anche indiretto, tra colui che si trova sul palco e il pubblico, al cinema questo non è possibile. Lo spettacolo teatrale può risentire dell'umore della sala, quello cinematografico no. Però sono d'accordo con te che fra Evidence e Ten Minutes Older non ci sia differenza. Io infatti ad una prima visione non avevo capito che i bambini ripresi da Frank stessero guardando uno spettacolo di marionette, subito pensavo a un film.
FB: Continuando con le commistioni fra i linguaggi della rappresentazione, se pensiamo al discorso sulla scrittura di scena, sulla distruzione del testo a monte di cui tanto ha parlato e scritto Carmelo Bene, trovo delle forti analogie con l'inconscio tecnologico di Franco Vaccari, Bene (Lacan) diceva sempre “si è parlati non si parla”, si è parlati dal linguaggio, l'inconscio tecnologico di Vaccari non dice forse la stessa cosa di un altro linguaggio?
E ancora se pensiamo ad alcuni film che basano la propria, per così chiamarla sceneggiatura, sul montaggio, quindi non avendo nulla a monte ma costruendo la narrazione del film via via, non ci sono forse delle forti analogie con la distruzione del testo a monte di Bene?
Credo si che sia una questione di feed back, ma nel senso di colpire il pubblico con qualcosa che scosti il suo livello di conoscenza, che non sia rassicurante e che apra degli interrogativi nello spettatore, però non credo troppo nelle distinzioni, relazionale penso sia qualsiasi cosa riesca appunto a portare uno scostamento di conoscenza in un nucleo di realtà.
Se prendiamo gli esperimenti di Eadweard Muybridge, non sono relazionali le sue tavole? non portano l'individuo di fronte a esse a doversi confrontare con qualcosa di incognito, non hanno forse messo in moto qualcosa?
LP: Vaccari parla di inconscio tecnologico a proposito della fotografia, ma lo stesso vale per il cinema, il web e qualsiasi macchina produttrice di immagini. È questo che stai dicendo.
Sì, certo, la penso come te, ma quando uso il termine “relazionale” intendo una cosa ben precisa, cioè il tentativo esplicito di porsi in relazione all'altro e di modificare il corso degli eventi in base alle reazioni di un ipotetico interlocutore. Poi è ovvio che se utilizziamo il termine in un'accezione più vasta ci sta dentro tutto, anche Muybridge.
FB: Non lo so, continua a non convincermi l'accezione comune della parola relazionale quando questa viene utilizzata nel campo “artistico”; anche i video che fanno parte di questa sessione della rassegna sono relazionali, si pongono in relazione allo spettatore (prima e non durante), mettendolo di fronte a un altro se stesso spettatore, così da spiazzarlo prevedendo appunto quello che il pubblico si aspetta, queste opere si muovono su di una base molto semplice, parafrasando Marshall McLuhan in questi video il mezzo è il contesto e il contesto è il mezzo.
Questi video non possono sentire la sala (come accennavi tu prima per il teatro) quindi il tipo di bidirezionalità a cui accennavi non c'è ma il relazionale a mio parere comunque permane.
LP: Parlando di Frank prima citavo Warhol, lui pensava che la visione di film molto lenti come i suoi, potesse essere paragonata al guardare per lungo tempo fuori dalla finestra; un'attività solitaria, a volte interrotta da altri pensieri o immagini generate dalla mente dell'osservatore.
FB: Warhol, aveva capito tutto, molto! È una frase che mi ritrovo a dire spesso, ma c'è dell'incredibile nel come avesse già allora compreso (attraverso molteplici sfaccettature) i complessi aspetti del ciclo produttivo, della riproduzione in genere, poco importa se si trattasse dell'immagine stampata (serigrafie), della rappresentazione video (screen test), o della produzione alimentare industriale.
Warhol riproduce, nel senso di macchina produttiva. Alcuni suoi film sono vere e proprie finestre, riproduzioni di finestre, paesaggio compreso. Basti pensare ad Empire, cos'altro potrebbe mai essere se non una finestra, una vista da una finestra finita all'interno di un monitor, che altro non è che una finestra virtuale (Windows che qualche tempo più tardi diventerà il nome dei computer che fanno capo a Bill Gates).
LP: È paradossale. Il Novecento ha tentato in tutti i modi di allontanarsi dal concetto di finestra, abolendo in pittura la prospettiva rinascimentale, e questa “forma simbolica” ancora permane nell'arte tecnologica: fotografia, video, web continuano a rifarsi al concetto di finestra. Pensa a quanto è potente l'idea di vedere il mondo attraverso una porzione di spazio rettangolare (dal dagherrotipo al tablet).
Vorrei tornare però su Ten Minutes Older che mi ha molto colpito. In un certo senso mi ricorda Maschere (1969) di Franco Vaccari, visto che lo abbiamo citato. Anche se naturalmente sono due lavori molto diversi. Nell'opera di Vaccari il pubblico di una sala cinematografica si nascondeva il volto dietro una maschera fornita dallo stesso artista, sulla quale era impressa la fotografia di un uomo qualunque. Una sorta di protezione, come ha scritto lo stesso Vaccari, “dall'eccesso di individuazione che l'uso della fotografia può determinare”. Mi sembra molto interessante questa caratteristica della fotografia che l'artista rintraccia, come suo solito con grande lucidità.
FB: Durante una conferenza-incontro, svoltosi a Bari, Enrico Ghezzi: I lumiere dicevano che le videocamere servono principalmente a riconoscere meglio dei rivoltosi durante i moti di piazza; questa frase sarebbe potuta essere una bella didascalia al lavoro di Vaccari che citi e mi aiuta anche a chiederti delle cose sul parallelismo che fai tra il lavoro di Vaccari e quello di Frank: se ho capito bene Ten Minutes Older di Herz Frank ti ricorda Maschere di Franco Vaccari per contrapposizione, o meglio Frank grazie al mezzo video individua e osserva – analizzandole tutte le espressioni del viso del bambino preso di mira, se per assurdo, l'installazione/azione di Vaccari fosse coincisa per data e luogo con le riprese di Frank, l'analisi dello stesso Frank non sarebbe stata possibile. Dici una cosa del genere, quando dici mi ricorda Maschere di Vaccari, vero?
LP: Riscontro una somiglianza di luoghi; una sala buia dove i soggetti sono “osservati” da una tecnologia ottica. Con una differenza d'intenti; Frank osserva un pubblico che “subisce” o “accetta” la presenza indiscreta della camera, Vaccari invece invita il pubblico a difendersi dalla sovraesposizione che il mezzo provoca. Nel primo caso la macchina agisce indisturbata, nel secondo viene considerata una minaccia da cui difendersi. Sì, me lo ricorda per contrapposizione.
Della tua rassegna mi ha colpito anche altro. A proposito di contrapposizione: sono immobili i soggetti di fronte all'apparecchio televisivo ripresi da Bill Viola (Reverse Television, 1984), dinamici invece quelli di Robbie Cooper (Immersion e Immersion: Porn, 2009) che, guardando un videogioco o un film porno, reagiscono a queste visioni in modo soggettivo. La macchina osserva dall'esterno quello che l'uomo dall'interno non può vedere. Gli studiosi hanno da sempre evidenziato questa particolare caratteristica della tecnologia, Susan Sontag diceva che fotografare una persona significa vederla come essa non potrà mai vedersi, avendone una conoscenza che non potrà mai avere.
FB: Nel caso della rassegna, i video che fanno parte di questa seconda sessione, ci fanno vedere delle situazioni in cui non ci eravamo mai visti (dall'esterno come scrivi tu) o magari qualcuno di noi (attento osservatore) ha provato a girarsi e a guardare al cinema l'altro lato durante un film, ma mai con la stessa perizia tecnica dettata dagli strumenti che utilizzano questi autori, da questi video emergono analisi minuziose delle reazioni muscolari delle facce del pubblico rappresentato; è notizia recente dell'uscita dell'ultimo lungometraggio di Godfrey Reggio, Visitors, in cui il regista attraverso l'utilizzo della tecnologia ad altissima definizione 4k, analizza dei primi piani dei volti di alcuni spettatori.
Dico questo sia perché ho parlato di perizia tecnica nell'analisi dello spettatore di fronte alla rappresentazione e sia perché anche tu hai precedentemente fatto riferimento (citando la Sontag) a una caratteristica tecnologica, questo film di Reggio, avvitandosi un po' sul suo precedente Evidence, enfatizza ancora questo concetto grazie all'utilizzo dell'altissima definizione del 4k.
LP: Aprendo un po' il discorso, mi viene da pensare che questo interesse per l'altro, anche per particolari tutto sommato insignificanti, non può che essere frutto del nostro tempo. In nessuna altra epoca sarebbe stato possibile concepire quest'attenzione pornografica verso l'altro, salvo gli studi scientifici di fisiognomica. E quando dico “pornografica” non parlo solo di sesso.
Chiara Corica ha intitolato un suo lavoro New Born / New Porn (
http://www.chiaracorica.com/index.php/project/newbornnewporn/), una collezione di fotografie amatoriali di neonati con gli occhi chiusi pubblicate su vari siti internet o social network. L'artista ritiene che l’azione di ritrarre neonati ancora ciechi al mondo, sia un perturbante voyeurismo a senso unico. Il soggetto appena nato viene esposto a un mondo che lo osserva ancora prima dell’attivazione del suo stesso sguardo.
FB: La fisiognomica è per certi versi il predecessore della foto-antropometria di Alphonse Bertillon e Umberto Ellero, ovvero l’inizio della diffusione fotografica di massa attraverso le segnaletiche (vedi Ando Gilardi in Wanted), segnaletiche che abbiamo tutti sulla nostra carta d’identità. Mi piace molto quando nelle conversazioni emergono questo tipo di connessioni: in effetti se le foto segnaletiche e la foto-antropometria sono una minuziosa analisi dei volti e dei corpi degli individui, alcuni lavori di cui stiamo parlando (come lo stesso Visitors di Reggio) non sono altro che una minuziosa analisi delle reazioni dei volti degli individui a determinati impulsi.
LP: Non ti sembra però che il nostro povero spettatore, così osservato dagli artisti, non rischi di essere trattato come una cavia?
FB: Si, assolutamente, ma non credo sia un problema solo degli artisti o solo nel caso specifico dell'osservazione ravvicinata dello spettatore, ma di chiunque utilizzi questo mezzo, della natura colonialista della macchina fotografica e quindi della telecamera, quando dico natura mi riferisco a una sorta di coefficiente insito nel mezzo, coefficiente opposto a quello di indeterminazione di cui parlava Vaccari nel suo Inconscio Tecnologico; giusto per sottolineare ancora la natura colonialista del mezzo: molti degli schemi ottici, che utilizziamo oggi attraverso le ottiche foto e cinematografiche, erano considerati e trattati come segreti militari durante le guerre mondiali e se pensiamo anche ai droni che da qualche anno si stanno diffondendo molto anche nell'ambiente cinematografico indipendente vale la stessa dinamica, sono passati da essere uno strumento solo a destinazione militare a essere di uso quotidiano nella macchina spettacolare (passaggio obbligato per molti oggetti tecnologici).
LP: Prima parlavi di Evidence (1998) di Godfrey Reggio, lo trovo sublime, qui l'incanto nei volti dei bambini mentre guardano un cartone animato alla TV, restituisce il senso di una visione quasi mistica. Anche se il soggetto e l'impostazione non cambiano rispetto ad altri video sul genere, trovo che questo lavoro abbia una marcia in più. Forse perché meno gridato?
FB: Oppure perché è girato da un regista cinematografico con mezzi/soldi (esperienza e meccanica) tutto cinematografico?
LP: No, non si tratta di tecnica e possibilità materiali, ma di calore, di riuscire ad arrivare dritto allo spettatore che rimane incantato (in questo caso noi). I mezzi non c'entrano. Oggi su internet non c'è nemmeno più bisogno che un artista collochi una macchina più o meno tecnologica per riprendere le reazioni degli spettatori, lo stesso utente accende la webcam per auto-riprendersi nell'atto di guardare. Un esempio interessante è il video Gli infedeli mediatici di Naomi Vona (
http://vimeo.com/61812312).
FB: Si, un lavoro vicino per certi versi a Immersion Porn di Robbie Cooper (parte della nostra rassegna), entrambi in una ipotetica esposizione, potrebbero essere posizionati di fronte a un opera video di Fernando Sanchez Me and my girlfriend video blob dalla rete in cui vi è un montaggio di una serie di giovani coppie che giocano a riprendersi durante l'atto sessuale, nel video ogni volta che uno dei due (di ogni coppia) guarda-ammicca in camera, si passa col montaggio alla coppia successiva e così via.
Su Internet e sull'auto-riprendersi automaticamente nell'atto di guardare mi viene immediatamente in mente chatroulette e in genere il meccanismo della video-chat che prevede appunto questo tipo di dinamica.
LP: Il fatto di guardare in camera è importante, significa partecipazione, pensa soltanto al dilagante fenomeno del Selfie (autoscatto col telefonino). Alla gente piace essere guardata più che guardare. Non si spiegherebbe altrimenti il pluridecennale fenomeno dei reality show o l'esplosione dei social network.
A proposito di persone che si fanno guardare in momenti intimi mi viene in mente il lavoro fotografico di Hans-Peter Feldman Agony, preso dal sito internet erotico Beautiful Agony da cui l'artista tedesco ha prelevato il materiale. Qui, a differenza di Sanchez, ma come nel lavoro di Cooper, sono le espressioni dei volti a far intendere quello che accade.
FB: Certo, Cooper e Sanchez però li metterei di fronte perché sono uno lo specchio dell’altro. In un video (Sanchez) una serie di coppie si riprende mentre scopa e guarda la telecamera, nell’altro (Cooper) singoli individui si masturbano guardando video porno (ipoteticamente il video porno potrebbe proprio essere quello di Sanchez) – in questo modo si creerebbe un gioco di specchi simile a quello proposto in varie opere storiche di Nam June Paik.
Sempre ipoteticamente, messi uno di fronte all'altro, il video di Cooper e quello di Sanchez potrebbero sembrare avere un dialogo in diretta tanto da far sentire un estraneo lo spettatore umano che si dovesse trovare a passarci nel mezzo, ecco quello a cui volevo arrivare citando un'ipotetica esposizione in cui mettere questi due video uno di fronte all'altro: l'estraneità dell'uomo rispetto all'autonomia della rappresentazione; in un'esposizione del genere questo concetto verrebbe messo assolutamente in evidenza. A proposito di Beautiful Agony avevi mai visto questo video
http://vimeo.com/beautifulagony.
LP: Certo, conosco bene il progetto. Me ne sono interessato qualche hanno fa proprio all'uscita del lavoro di Feldman e di altri artisti, anche italiani, che hanno "rubato" dal sito web alcuni still per farne lavori fotografici.
FB: Conoscere i video realizzati dai creatori del portale (e il portale stesso), fa riconsiderare completamente quest'opera di Feldman (senza togliere nulla alla sua ricerca in generale). L'opera di Feldman risulta così un surrogato di un progetto molto più interessante e articolato anche se non parte del “circuito artistico”.
LP: Sì però trasformati in immagini statiche quei video diventano altro. Parallelamente al lavoro di Feldman, ne è stato realizzato uno analogo da Guido Meschiari (
http://www.premioceleste.it/opera/ido:50926/). Isolando particolari di video scaricati dal portale, l'artista ha sottolineato come una smorfia di piacere nel video può essere scambiata per un grido di dolore una volta trasformata in fotografia.
LP: Quest'idea è entrata talmente nella cultura attuale da essere utilizzata dall'industria cinematografica. Per lanciare il nuovo e controverso film di Lars Von Trier, Nymphomaniac, sono state pubblicate 14 locandine che mostrano le star protagoniste della pellicola mentre simulano il culmine dell'eccitazione sessuale; da Uma Thurman a Shia LaBeouf, da Willem Dafoe a Charlotte Gainsboug a Stellan Skarsgard (
http://www.corriere.it/foto-gallery/13_ottobre_11/lars-von-trier-locandine-dell-orgasmo-67be687a-328a-11e3-b846-b6f7405b68a1.shtml#1).
FB: Quello che volevo fare, curando questa rassegna, era proprio mischiare le carte, non avere cioè un settore in cui delimitarmi, partire da alcuni argomenti per approfondirli attraverso le conoscenze che fanno parte della mia ricerca e attraverso il confronto con persone che stimo come te, il caso del sito Beautiful Agony e del film di Von Trier sono alcune delle occasioni in cui le cose si mischiano, non mi interessa più distinguere cosa è arte da cosa è altro, l'importante è l'attinenza all'argomento; così in rassegna troviamo anche uno spot televisivo, lo spot dell'uscita del film King Kong 3d, in questo spot una serie di spettatori vengono ripresi durante la visione del film, le reazioni di questi spettatori 3d sono molto esasperate in confronto a quelle di cui parlavamo in relazione ai precedenti lavori e così forse questo spot diviene un approfondimento in più nel nostro discorso.
LP: Il 3d è sempre affascinante ma non credo aggiunga molto al dibattito. Almeno in questo caso. Giusto invece quello che dici a proposito del “mischiare le carte”, di andare oltre gli steccati di una disciplina. Anche se credo che dopo questa apertura sia anche necessario capire le differenze che ancora sussistono fra i linguaggi. La felice convivenza fra discipline, assecondata dalle piattaforme informatiche, non deve appiattire i singoli linguaggi, anzi, dovrebbe essere utile proprio a definirne le peculiarità.
FB: Sicuramente le peculiarità ci sono e nel confronto tra linguaggi le differenze emergono evidenti. Però nei due casi di cui parlavamo King Kong 3d e Beautiful Agony la differenza che c'è con gli altri video della rassegna è di settore più che di linguaggio, ed è proprio nelle differenze di settore che l'aspetto formale diventa spesso, pur nella comunanza di contenuti, motivo discriminante.
LP: Prima, mentre facevi riferimento a chatroulette, pensavo che ormai lo spettatore è diventato più importante dell'autore. Parafrasando Marco Giusti, è come se l'attore sulla scena si fermasse a guardare il proprio pubblico senza più recitare. Parlando di arti tecnologiche però, questo ribaltamento autore-spettatore non è voluto, diciamo che è “imposto” dalla macchina. Su chatroulette, in maniera casuale, puoi metterti in contatto con sconosciuti di tutto il mondo attraverso videochat. Non puoi fare altrimenti, la macchina ti costringe a farlo.
In un mio recente saggio (
http://www.postmediabooks.it/2014/112panaro/panaro.htm) evidenzio aspetti tipici delle arti mediali; l'accettazione dell'imprevisto, quel qualcosa che sfugge all'uomo ma non alla macchina... Se l'autore perde il controllo sulla propria opera, con la complicità della tecnologia, significa che lo spettatore di questo accadimento diviene il vero protagonista (o vittima). Per questo mi piace osservare come nella tua rassegna colui che guarda sia al centro del gesto artistico.
FB: Sembrerebbe che tutti, in sempre più situazioni, ci stiano/stiamo abituando a essere guardati, come lucidamente dici è la macchina che ti costringe a farlo nel caso del meccanismo di chatroulette, prima hai posto anche la questione sulla possibilità di far divenire cavie gli spettatori analizzati dagli artisti e anche io in quel caso ho risposto che quello probabilmente è un dato innato della macchina.
Pochi giorni fa ho letto un articolo, il titolo era grossomodo questo “Lo spionaggio via webcam? L'FBI lo fa da anni”.
dicembre 2013 - gennaio 2014