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Multiverso Anno 2006 Numero 2



Artista/opera/pubblico: un processo osmotico

Roberta Valtorta





PARTE A

3
Fritjof Capra
Le reti della vita
Fritjof Capra, fisico ed esperto di teoria dei sistemi, è fondatore e direttore del ‘Center of Ecoliteracy’ di Berkeley. È autore di numerose opere, tra cui Il Tao della fisica (Adelphi, Milano 1989), La rete della vita (Rizzoli, Milano 1996) e La scienza della vita (Rizzoli, Milano 2002).

6
Telmo Pievani
Plasticità biologica ed evoluzione
Telmo Pievani è filosofo della scienza e docente di Epistemologia presso l’Università di Milano. È autore di numerose opere tra cui Homo sapiens e altre catastrofi (Meltemi, Roma 2002), Sotto il velo della normalità (Meltemi, Roma 2004, con P. Barbetta e M. Capararo) e Introduzione alla filosofia della biologia (Laterza, Roma-Bari 2005).

10
Marcello Buiatti
Le reti metaboliche e la flessibilità cellulare
Marcello Buiatti è docente di Genetica presso l’Università di Firenze. Ha pubblicato Lo stato vivente della materia (Utet, Torino 2000) e Il benevolo disordine della vita (Utet, Torino 2004).

13
Bruno D’Udine
Flessibilità e plasticità nello sviluppo degli organismi
Bruno D’Udine, etologo ed ecologo, è docente di Etologia e Comunicazione della scienza presso l’Università di Udine. È giornalista scientifico del quotidiano «La Stampa» di Torino.

18
Sandro Azaele e Amos Maritan
Biodiversità e stabilità
Sandro Azaele è dottorando in Fisica presso l’Università di Padova e si occupa di processi stocastici applicati all’evoluzione degli ecosistemi. Amos Maritan è docente di Fisica statistica e biologica presso l’Università di Padova. I suoi interessi vanno dalla fisica dei biopolimeri all’ecologia e alla biogeografia. In quest’ultimo ambito ha recentemente pubblicato Density dependance explains tree species abundance and diversity in tropical forests («Nature», 2005).

21
Roberto Marchesini
Logiche del vivente e flessibilità evolutiva
Roberto Marchesini è docente di Bioetica e Zooantropologia presso le Università di Milano, Bologna e Udine. È autore di numerose pubblicazioni tra cui Oltre il muro: la vera storia di mucca pazza (Muzzio, Bologna 1996), Il concetto di soglia (Theoria, Roma 1997), e Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza (Bollati Boringhieri, Torino 2002).

26
Sabrina Tonutti
Rigidità vs flessibilità: la precisione è un’approssimazione
Sabrina Tonutti è dottoranda in Culture e strutture delle aree di frontiera presso l’Università di Udine; si occupa di zooantropologia e di nuovi movimenti sociali.

30
Franco Fabbro
Sviluppo e plasticità cerebrale nell’apprendimento delle lingue
Franco Fabbro è docente di Fondamenti anatomo-fisiologici dell’attività psichica presso l’Università di Udine. È autore di numerose opere tra cui Destra e sinistra nella Bibbia (Guaraldi, Rimini 2002), Il cjâf dai furlans (Kappa Vu, Udine 2000) e Neuropedagogia delle lingue (Astrolabio, Roma 2004).

34
Della flessibilità linguistica
Conversazione tra Tullio De Mauro e Andrea Csillaghy
Tullio De Mauro è uno dei maggiori studiosi di linguistica italiani. Docente di Linguistica generale presso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma, ha diretto e curato importanti opere lessicografiche tra cui il Grande dizionario italiano dell’uso (Utet, Torino 1999) e il Dizionario della lingua italiana per il terzo millennio (Paravia, Torino 2000).

43
Péter Esterházy
L’insostenibile flessibilità dello scrittore e della letteratura
Péter Esterházy è uno dei maggiori scrittori ungheresi contemporanei. Premio per la pace dei librai tedeschi 2004, con il romanzo Harmonia Cælestis (Feltrinelli, Milano 2003) ha vinto il Premio ungherese per la Letteratura, il Sándor Márai e il Grinzane Cavour per la narrativa straniera.

49
Pierluigi Cappello
Bosco di Courton, 1918
Pierluigi Cappello, poeta, ha diretto la collana ‘La barca di Babele’; con Dittico (Liboà editore, Dogliani 2004) ha vinto il Premio Montale Europa di poesia. La sua ultima pubblicazione è Assetto di volo (Crocetti, Milano 2006).

54
Sergio Polano
Dall’aurale al digitale. Flessibilità e flessi del comunicare
Sergio Polano è docente di Storia dell’arte contemporanea presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia.

59
Giuseppe Granieri
Quell’uomo al centro della Rete
Giuseppe Granieri è esperto di culture digitali. Ha pubblicato Blog Generation (Laterza, Roma-Bari 2005) e Società digitale (Laterza, Roma-Bari 2006).


PARTE B


3
Claudio Naranjo
Sulla flessibilità e sull’identità del sé
Claudio Naranjo ha insegnato religioni comparate, psicologia dell’arte, psichiatria sociale e psicologia umanistica in molte università americane. È autore di numerose opere tra cui Carattere e nevrosi (Astrolabio, Roma 1996) e La via del silenzio e la via delle parole (Astrolabio, Roma 1999).

8
Roberto Albarea
‘Concordia discors’: le ‘voci’ dell’educazione
Roberto Albarea è docente di Pedagogia generale presso l’Università di Udine e membro del Network on Comparative and International Education. Ha pubblicato numerosi saggi e volumi sul pensiero di Jacques Maritain, la pedagogia musicale, l’educazione permanente e degli adulti.

13
Davide Zoletto
Giocare per disimparare
Davide Zoletto è ricercatore di Pedagogia presso l’Università di Udine e redattore della rivista «Aut-Aut». La sua ultima pubblicazione è La scuola dei giochi (Bompiani, Milano 2005, con P.A. Rovatti).

17
Eleonora Fiorani
La flessibilità del corpo
Eleonora Fiorani, epistemologa e saggista delle nuove scienze, è docente di Antropologia al Politecnico di Milano. È autrice di numerose opere tra cui Il mondo senza qualità (Lupetti, Milano 1995), La comunicazione a rete globale (Lupetti, Milano 1998), I panorami del contemporaneo (Lupetti, Milano 2005).

22
Pietro Carlo Pellegrini
Città flessibile
Pietro Carlo Pellegrini è docente di Progettazione presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Genova. La sua ultima pubblicazione è Piazze e spazi pubblici. Architetture 1990-2005 (Federico Motta, Milano 2005).

26
Flessibilità forzata: i polli siamo noi
a cura di Cecilia Batta

31
Erri De Luca
Riassunto di un’epoca inflessibile
Erri De Luca, operaio, alpinista e scrittore, è opinionista del quotidiano «Il Manifesto». È autore di numerose opere tra cui Non ora, non qui (Feltrinelli, Milano 1992), Aceto, arcobaleno (Feltrinelli, Milano 1995) e Morso di luna nuova (Mondadori, Milano 2005).

33
Enzo Rullani
Economia del rischio
Enzo Rullani è docente di Strategie d'impresa presso l’Università ‘Cà Foscari’ di Venezia e presso l’Università ‘San Raffaele’ di Milano. Le sue ultime pubblicazioni sono Intelligenza terziaria motore dell’economia (Franco Angeli, Milano 2005, con P. Barbieri, M. Paiola e R. Sebastiani) e Il capitalismo personale. Vite al lavoro (Einaudi, Milano 2005, con A. Bonomi).

44
Marina Brollo
La flessibilità del lavoro e del diritto
Marina Brollo è docente di Diritto del lavoro presso l’Università di Udine e si occupa di diritto del mercato del lavoro, diritto delle relazioni industriali, pari opportunità.

46
Alessio Fornasin
Flessibilità e ricerca
Alessio Fornasin è ricercatore in Demografia presso l’Università di Udine e si occupa di storia della popolazione in area friulana.

48
Stefania Sebastianis
Logiche flessibili, riflessioni plastiche
Stefania Sebastianis ha conseguito il dottorato in Anthropologie Sociale et Ethnologie presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi; si occupa di antropologia dell’arte. Ha scritto Erranze plastiche. Antropologia e storia del retablo andino (CISU, Roma 2002).

52
Roberta Valtorta
Artista/opera/pubblico: un processo osmotico

Roberta Valtorta, critica e storica della fotografia, è direttrice scientifica del Museo di Fotografia Contemporanea (Villa Ghirlanda, Cinisello Balsamo). Il suo ultimo libro è Volti della fotografia (Skira, Milano 2005).
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Jochen Gerz
Monumento contro il fascismo
Hamburg-Harburg, 1986-1993

Jochen Gerz
Pietre.Monumento contro il razzismo
Saarbrucken, 1993

Nel mutevole panorama delle esperienze artistiche contemporanee emerge un dato che accomuna molte scelte: nel loro percorso di ricerca, numerosi artisti attribuiscono importanza particolare al rapporto che si instaura fra il loro agire e la realtà, fra il loro agire e il pubblico. Più specificamente, gli artisti mettono in atto operazioni che interagiscono con la realtà; interventi o performance vengono spesso calati all’interno di contesti sociali che costituiscono la piattaforma dalla quale l’opera scaturisce: l’artista coinvolge altre persone e costruisce narrazioni in dialogo. L’opera dunque, oltre che essere una azione che mira a mettere in discussione la realtà, contiene anche un desiderio di relazione con gli altri e soprattutto diventa mezzo di condivisione di esperienze con il fruitore, che diviene così anche autore.
Si tratta di produzioni che vengono realizzate all’interno di una comunità, insieme a persone che non necessariamente hanno particolari competenze o conoscenze di tipo culturale né necessariamente sono abituali fruitori dell’arte. L’esito dell’operazione non è necessariamente un oggetto estetico, ma, più facilmente, una azione, un processo, che si crea, cresce, svanisce.
Significa che le definizioni un tempo inflessibili di artista, opera, pubblico hanno perso significato. L’origine di questo importante processo di decostruzione risale senza dubbio all’idea di ready made di Marcel Duchamp: una scelta radicale con la quale egli afferma l’annullamento di ogni valore assoluto dell’opera, l’indifferenza totale per la qualità formale ed espressiva dell’oggetto artistico, l’inutilità per l’artista di produrre l’oggetto, che altro non è ormai che un oggetto già esistente ‘semplicemente’ prelevato dalla realtà quotidiana, che acquista valore di opera mediante una ironica operazione di decontestualizzazione. Se vi è sparizione (non necessità) dell’oggetto artistico, anche il ruolo dell’artista si fa interrogativo: l’arte diventa non più un costruire oggetti, ma un ‘puntare il dito’ a indicare, poiché l’oggetto è ready made, mentre cresce il potere del luogo di fruizione e del pubblico, poiché il ready made acquista significato solo nel momento in cui di esso avviene una fruizione diversa, data dal nuovo contesto che lo ospita. Duchamp ha agito vigorosamente anche su altri aspetti dell’operazione artistica, attribuendo valore al comportamento e non più alla produzione, al pensiero e non più all’azione, fino ad annullare ogni sua presenza ufficiale nel mondo dell’arte ritirandosi nel gioco degli scacchi. Ha inoltre messo in evidenza la possibilità di scelte e comportamenti possibili a tutti, facendo coincidere, come Dada voleva, l’arte con la vita dell’artista come di qualunque persona. Per Duchamp insomma, l’arte non va costruita né inventata: l’arte esiste già.
Una operazione che anche ha precorso la tendenza a ‘costruire situazioni’ o ‘ambienti’ indefinibili ed elastici è la Merzbau di Kurt Schwitters, straordinario work in progress realizzato a partire dal 1923 che l’artista tedesco fa crescere all’interno della sua casa-studio attraverso la accumulazione e la sedimentazione di elementi presi dalla realtà quotidiana: vi è in questa con-fusione fra luogo di lavoro, luogo di vita, opera d’arte, fra architettura, pittura, scultura, l’annullamento di ogni desiderio di porre conclusione all’opera, e vi è un interrogativo su chi ne si il fruitore. L’opera è ‘aperta’ (per usare una fortunata definizione di Umberto Eco) e dunque tende a divenire non-opera oppure opera infinita e indeterminata.
Con gli anni ’60 e ’70 tutte le posizioni artistiche – dalla pop art al concettuale, dalla land art all’arte ambientale in generale, al nouveau réalisme, dalla body art alle pratiche performative, all’utilizzo del video e della fotografia, dalla narrative art al minimalismo – registrano le stesse questioni di fondo: rapporto con la realtà e con la vita sempre più libero da mediazioni, messa in discussione del concetto stesso di opera d’arte come prodotto generato unicamente all’artista, disinteresse per il risultato finito, forte accento posto sul processo, sulla interazione, sulla continua modificabilità.
Questo è il percorso molto importante che la flessibile arte contemporanea ha continuato a seguire fino ai giorni nostri, in un arcipelago di procedure, azioni, situazioni, recuperi, luoghi nei quali l’artista risulta figura sempre meno definita, l’opera diventa sempre più mutevole, il pubblico sempre più protagonista e soggetto decisivo – fino alle installazioni interattive di tipo tecnologico, spesso di segno ludico, e alle recenti pratiche artistiche nel web: in questo ambito nascono opere dai margini molto labili, liberamente riproducibili, opere ‘collaborative’, distribuite, aperte alla partecipazione attiva degli utenti, i quali stimolano processi creativi che determinano una nuova ‘sparizione dell’arte’, che ora si dissolve anche in una dimensione virtuale.


I progetti di Jochen Gerz

Il XX secolo ha visto progressivamente maturare l’idea che ogni individuo sia padrone di se stesso, valga di per sé e possa, con la sua scelta, mutare uno scenario dato. Il profondo scontro e il forte, anche contraddittorio scambio fra dittature e democrazie, la sfida della democrazia stessa come eventualità possibile e migliore per la storia e l’esistenza degli uomini, la difficoltà, per converso, della sua attuazione, il crescere del peso della comunicazione e della cultura di massa, hanno creato un terreno complesso, pieno di intrecci di significati, sul quale si è andato sviluppando un concetto di arte totalmente elastico. L’arte è diventata una ‘proposta’, che può essere formulata attraverso codici non speciali, non esclusivi, ma praticabili da tutti, leggibile e modificabile da ciascuno. Ne nasce una intricata babele di formulazioni e di letture, e tutto diventa possibile.
In questo contesto l’opera di Jochen Gerz assume particolare rilievo e autorità. L’artista tedesco dagli anni ’60 lavora intensamente a mutare di significato all’arte, dissolvendola in progetti che recuperano la radice greca della parola ‘poesia’: ‘poiéo’, fare.
Chi fa, nei progetti di Gerz, non è certo solo l’‘artista’ (che diventa coordinatore di un progetto), ma sono potenzialmente tutti i soggetti della comunità coinvolta nell’operazione: cioè tutti coloro che secondo un’idea di arte ormai superata sarebbero stati ‘pubblico’. L’operazione artistica consiste inoltre nel fare stesso, e non nel risultato del fare: a volte l’opera finale esisterà, a volte sarà pura azione, a volte invece continuerà a mutare conquistando nel tempo il suo significato, a volte addirittura sparirà, secondo alcuni concetti che Gerz ha elaborato nel tempo, come quelli di ‘monumento invisibile’ o ‘anti-monumento’.
Gerz alimenta questo vigoroso e metodico processo di smontaggio conducendo operazioni di arte pubblica poeticamente fondati su temi importanti che toccano la storia, la società civile, la memoria, il senso dell’esistenza, l’appartenenza a una collettività.
Fin dal 1968 l’artista tedesco realizza un’operazione di arte pubblica applicando un adesivo con le parole ‘Attenzione l’arte corrompe’ al David di Michelangelo a Firenze, dichiarando, attraverso una azione minima, di sottrarsi ad ogni tipo di arte, con un gesto di rottura totale. Il dubbio sull’arte annunciato con questo primo intervento si realizza poi con coerenza nelle innumerevoli operazioni successive attraverso le quali Gerz lavora a vanificare i linguaggi, trovando di volta in volta vie di comunicazione diverse, mai ratificate, tutte associate all’azione.
Una delle operazioni più note di Gerz è il Monumento contro il fascismo, realizzato a Hamburg-Harburg dal 1986 al 1993, consistente in una colonna alta 12 metri sulla quale gli abitanti della città vengono invitati a porre una firma contro il fascismo. Man mano che la parte accessibile della colonna viene firmata, questa viene fatta sprofondare nel terreno, fino a scomparire. Nel corso del progetto sono 70 mila le persone che firmano, mentre in città si sviluppano il dialogo, la critica, la discussione. Il monumento dopo sette anni sparisce e non resta che una targa ad indicare che, scrive Gerz, alla fine soltanto noi stessi restiamo in piedi contro l’ingiustizia.
Analogo meccanismo di nascondimento che lascia sopravvivere il solo significato dell’agire della collettività troviamo in Pietre. Monumento contro il razzismo, operazione realizzata a Saarbrücken nel 1993. Gerz chiede a 61 comunità ebraiche tedesche di compilare una lista dei cimiteri esistenti in Germania prima della seconda guerra mondiale: sono 2.146. Insieme a studenti della città rimuove segretamente, di notte, le pietre della pavimentazione della piazza del Castello, dove ha sede il parlamento provinciale, e su ciascuna pietra viene scritto l’indirizzo di ciascun cimitero. Le pietre vengono poi ricollocate, con la scritta nascosta, rivolta verso il basso. Il lavoro viene commissionato a posteriori dal parlamento provinciale e la piazza del Castello viene rinominata ‘Piazza del Monumento Invisibile’: solo la comunicazione, l’informazione, il passa parola, il pensiero umano renderanno possibile nel tempo la comprensione del nome della piazza.
Tutto dedicato al potenziale della parola stessa è La mia parola-My Word, che Gerz realizza nel 1999-2000 a Bolzano, a Kiel (Germania) e a Windsor (Canada), tutte città di confine fra culture e lingue diverse. Attraverso l’organizzazione di un museo e di un giornale locale i cittadini sono invitati a comunicare ciascuno una propria parola; chi risponde alla richiesta riceve in cambio una T-shirt con la propria parola stampata: essa costituisce un’opera d’arte più visibile se indossata che se conservata nelle collezioni del museo, che in questo modo viene a sua volta messo in discussione pur essendo il committente del progetto.
Nel 2001-2002 Gerz realizza un’operazione nel web dal titolo L’antologia dell’arte, per la quale invita artisti e teorici a partecipare ad un dibattito ed alla produzione di lavori e testi a catena, con una sorta di passaggio di testimone. Alla fine del progetto si compone nel web una interrogazione sul senso dell’arte (cosa sulla quale nessuno più si interroga, dice l’artista) creata dai contributi sia visivi che verbali di 312 autori.
Fra le realizzazione più recenti vi sono il Monumento al Futuro, realizzato a Coventry (Inghilterra) nel 2004, la Piazza dei Diritti Fondamentali, a Karlsruhe dal 2002 al 2005, e Amaptocare, a Ballymun (Dublino) dal 2002 al 2006, ancora in corso.
Il Monumento al Futuro è un obelisco di vetro realizzato nel centro storico della città, distrutto dalle bombe tedesche e poi ricostruito; accanto ad esso sono poste otto targhe di vetro sulle quali sono indicati i popoli che la cittadinanza, interrogata, ha dichiarato con maggiore frequenza essere i più grandi nemici: ma questi popoli sono qui indicati come amici ai quali il monumento è dedicato. A questo progetto di ‘riconversione’ del nemico in amico partecipano 6.000 persone.
Il progetto di Karlsruhe è dedicato al tema della giustizia. La città prima della riunificazione delle due Germanie era la capitale del sistema legale tedesco, ruolo poi passato a Berlino. Per riflettere su questa importante funzione della città che ormai fa parte del passato vengono interrogati specialisti della giustizia da un lato e persone che hanno subito l’azione della giustizia dall’altro. Ne derivano insegne che sui due lati portano scritti i due opposti punti di vista e che vengono poste su pali collocati nella antica piazza, che prende il nuovo nome di ‘Piazza dei Diritti Fondamentali’. Ancora una volta l’operazione coordinata da Gerz e costruita dalla collettività lascia un segno nel tessuto urbano e, al tempo stesso, nella storia.
Amaptocare è un’operazione sul rapporto fra cittadini e città in un momento in cui flussi migratori e nuove inurbazioni sono di grande attualità. Gerz invita i cittadini della nuova Ballymun (Dublino) a comperare e a donare alla città un albero. Gli alberi vengono collocati nella nuova piazza: accanto a ciascun albero viene posta una targa con una frase che il donatore vorrebbe che l’albero, se potesse parlare, dicesse a nome suo; al centro della piazza vengono scolpiti nel granito i nomi dei donatori. L’intervento costituisce una sfida alla storia e alle consuetudini e fa in modo che non i cittadini, specie se immigrati, si adeguino alla forma della città, ma la città prenda forma dalle scelte dei cittadini.
L’opera d’arte, per Gerz, si dissolve nella collettività, che ne diviene autrice e fruitrice attraverso la scelta e l’azione degli individui che la compongono.
Attualmente Gerz sta lavorando anche in Italia al progetto Salviamo la luna, commissionato dal Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo (Milano). I cittadini saranno coinvolti in un progetto che li porterà a riflettere su se stessi, sulla propria immagine fotografica, sulla parte umana e irrazionale che resta dentro di loro (dentro di noi) nonostante vivano in un mondo che li vede divorati, dispersi nel grande hinterland, dalla produzione e dalla presenza dei mass media: una parte irrazionale e sognante rappresentata dalla lontana, silenziosa luna. Anche il lavoro di Gerz è, sempre, silenzioso.



Letture
AA.VV., The Duchamp Effect, The MIT Press, Cambridge (Mass.), London 1994.
J. Baudrillard, La sparizione dell’arte, Politi, Milano 1988.
J. Gerz, Res Publica. L’opera pubblica 1968-1999, Museion, Bolzano 1999.
F. Poli (a cura di), Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a oggi, Electa, Milano 2006.
G. Romano, Artscape. Panorama dell’arte in rete, Costa e Nolan, Genova 2000.
A. Vettese, A cosa serve l’arte contemporanea, Allemandi, Torino 2001.


www.gerz.fr
www.marcelduchamp.net