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Extrart (2006-2009) Anno 6 Numero 27 Settembre-Ottobre 2006



Alberto Frigo

Carmen Lorenzetti

Tre domade



iniziative coordinate per l'arte contemporanea
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Alberto Frigo - Sobject, 2003 – ongoing.
Courtesy dell'artista

Nei panorami fotografici di Alberto Frigo si presenta lo sviluppo di un'opera continua dove al centro di tutto è la vita stessa dell'artista: sono tematiche legate al corpo, alla precarietà dell'esistenza e degli oggetti che la circondano.
Il riferimento esplicito alle cose familiari come il cellulare, lo spazzolino da denti, il cucchiaio, la lametta da barba o il telecomando forma la lunga striscia schematica di una gestualità discreta ed accattivante allo stesso tempo. Da alcuni anni, Alberto Frigo "registra", con una ricerca metodica e con un rigore quasi scientifico, tutti gli oggetti presi con la mano destra che poi pubblica in un vero e proprio diario interattivo, visibile anche online all'indirizzo www.albertofrigo.net: alla base di questo imponente lavoro, intitolato Sobject, non c'è la casualità, ma un sistema di regole ben coordinate. Le immagini hanno una forte componente intima e si limitano ad un formato piccolo, conferendo così un carattere maggiormente privato: i gesti, lontani da ogni eccesso e apparentemente privi di peso, trovano altro significato se presentati in una nuova sequenza. Ed è proprio caricando gli oggetti di significati esistenziali, sociali e culturali che l'artista consegna un'insolita tensione estetica definita dalla particolare dimensione formale. Mentre s'intuisce che ogni gesto non trova mai appagamento, la struttura sembra muoversi anche per la scomposizione di un mosaico di colori pieni.

Mario Savini


Da dove nasce la performance SOBJECT, con cui hai vinto quest'anno la Honorary Mention per l'Arte Interattiva al Festival Ars Electronica di Linz? Ossia, ci sono delle opere e delle tue attitudini, che in qualche modo hanno potuto costituire delle idee e basi di appoggio per la sua successiva costituzione?

Certo! Il mio percorso artistico è stato molto intuitivo ma ci sono state opere che lo hanno influenzato e direi che tutte o quasi rientrano nella categoria della Body Art dove l'artista pone se stesso al centro dell'opera. Con SOBJECT il mio intento è di estremizzare questo concetto e fare di tutta la mia vita un'opera continua, resistere nel mio intento artistico. Certo è più uno sforzo mentale che fisico (Mental Art?). In questi parametri il mio operare si avvicina a quello di due grandi "numeratori" dell'arte contemporanea: On Kawara e Roman Opalka che entrambi trascorrono da decenni il tempo ripetendosi. SOBJECT è anche un'espressione estremizzata della nostra ossessione alla rappresentazione che però nel mio caso vuole essere realista e oggettiva. Il tutto naturalmente è facilitato dalle dimensioni ridotte e dalla praticità d'uso della macchina fotografica digitale che adopero.

SOBJECTS è un sito, dove si può viaggiare attraverso gli oggetti che usi durante la giornata secondo un doppio registro, tematico (gli stessi tipi di oggetti) e temporale (percorrendo la sequenza di azioni, che incrociano gli oggetti). Ne viene fuori una struttura sequenziale, che fotografa gli elementi minimi delle azioni che compongono la tua vita. Ne scaturisce visivamente una disseminazione spaziale, che frammenta una visione unitaria dell'io, nella molteplicità del mondo. Qual è il sistema, le regole che hai utilizzato per arrivare a questo risultato?

Da anni mi sono interessato ad una documentazione del quotidiano. Nelle prime registrazioni video cercavo di identificare degli elementi di lettura in questo scorrere continuo di immagini. Con questa esperienza mi sono avvicinato agli oggetti come elementi che mi hanno permesso poi di codificare il video. Successivamente ho cercato di sviluppare un sistema che potesse nel contempo visualizzare l'andamento lineare di questo codice ma anche di associare quegli elementi che seppure distanti nel tempo rappresentano lo stesso tipo di oggetto. Quindi partendo dal presupposto che gli oggetti che utilizzo sono simboli più o meno diretti di quelle attività per cui sono designati, ho cominciato a fotografare e catalogare. Questo registro di attività è si dettagliato ma fino a un certo punto. Per evitare delle ridondanze e per chiarezza ho stabilito delle regole che definiscono esattamente quando è ora difotografare. Le riporto qui sotto in lingua inglese come riportate sul sito:

1_During a life-event every object * the dominant-hand uses is photographed once and while used.
2_If an object of the same type is the next to be used, this object is not photographed unless the life-event changes.
3_A life-event changes as soon as the dominant-hand uses a different object in a different space.
ALBERTO FRIGO, 2003/09.24
*Every artifact that is graspable, independent and consistent.

Il tuo procedere mi ricorda sia la registrazione della propria vita del diario di Pontormo, che aveva un valore di promemoria anche sanitario (trascriveva anche ogni componente del proprio pasto e le sue reazioni fisiche), sia la potente struttura dell'Atlante della Memoria di Warburg, che invece appaiava immagini visive lontane nello spazio e nel tempo, raccordandone i significati profondi di "pathos". Dove (se lo fa) il tuo personale diario elettronico interattivo, che peraltro pare diventare metafora generale del nostro quotidiano, incontra - a tuo parere - o inciampa nella profondità di un buco, che illumini improvvisamente la sequenza paratattica del nostro vivere?

In questo senso credo che non sia solo il mezzo tecnologico che improvvisamente permetta una rappresentazione così frammentaria e specifica della nostra vita ma sia la nostra vita stessa che si riduca a mansioni specifiche e cronologicamente
disconnesse. A questo aggiungo che generalmente il passaggio del tempo nel nostro essere inorganico e artificiale si fa quasi impercettibile e spesso confuso.
L'artificio che ci circonda si ripete identico o improvvisamente cambia e la nostra percezione scema. Nel mio atlante, seppure evidenzi queste disconnesse connessioni esistenziali, ho pur sempre dei punti fissi di riferimento, dei luoghi dove la memoria è riposta e so di ritrovare. Questi luoghi sono le varie categorie di
oggetti. Questa consapevolezza mi porta non soltanto ad un passivo e acquisito fotografare le mie azioni ma spesso ad un agire per fotografare. In conclusione posso affermare che il compimento stesso di questo progetto è diventata la mia missione, il mio scopo e fine, l'orizzonte e la luce che mi indica una direzione, un senso di orientamento che prima mancava.