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Extrart (2006-2009) Anno 6 Numero 28 novembre - dicembre 2006



Quattro domande a Jeppe Hein

Mario Savini



iniziative coordinate per l'arte contemporanea
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Jeppe Hein, "Fire Between Water", 2006. Courtesy Galleria Zero, Milano

Un'aura di incertezza e di titubanza aleggia sulle opere di Jeppe Hein come riverbero di un tempo privo di sequenze ovvie. Le installazioni del giovane artista danese (Copenhagen, 1974) cercano di sfaldare le caratteristiche di certi luoghi senza trasformarli radicalmente, invitando a riflettere sulla precarietà dei confini: "Desidero creare un nuovo spazio - dice Jeppe Hein - mantenendo al contempo inalterate le peculiarità che lo contraddistinguono". Evidente è il peso metaforico di ogni lavoro, dove la sorpresa e l'imprevisto stanno a significare il destino differente di ciascun individuo. Il fruitore non è solo il destinatario passivo dell'opera, ma è anche parte fondamentale di un'esperienza con il preciso compito di intervenire ad un processo, a volte "contro la propria volontà" - aggiunge Hein. I percorsi della vita, d'altronde, mettono spesso insieme facce di realtà differenti e spinte incompatibili, assemblando "materiali" eterogenei. Così, ad esempio, sovversione ed estasi riescono a convivere come l'acqua ed il fuoco. E per l'artista, lavorare con elementi in contraddizione è uno degli aspetti fondamentali
della sua ricerca: forme di una natura conflittuale sono in grado di combinarsi in armonia; sculture ed architetture possono realizzarsi grazie alla casualità di elementi immateriali. Le composizioni aperte di Jeppe Hein sembrano, dunque, contrapporsi al desiderio di ordine e controllo, preferendo lasciar scorrere lo sguardo su superfici in grado di testimoniare la condizione di transitorietà.




Puoi parlarmi, in generale, della tua ricerca artistica?
Dal momento che le mie opere sono prevalentemente site-specific, prima di tutto visito sempre gli spazi in cui avrà luogo l'esposizione o in cui è stato previsto il progetto - soprattutto nel caso di un progetto pubblico. Di conseguenza la città e i suoi abitanti, il luogo e l'ambiente circostante spesso ispirano il mio lavoro.
L'idea che ruota attorno alle mie opere è in generale quella di mettere in discussione il ruolo dell'arte in luoghi e contesti sociali differenti, tanto nel museo quanto in uno spazio pubblico. Il punto focale del mio lavoro perciò si basa sulla problematizzazione del rapporto tra spettatore, opera e spazio. Mentre nei musei il rapporto tra spettatore ed opera è già fortemente definito, i lavori realizzati in uno spazio pubblico fanno sì che l'osservatore si spogli di quella timidezza e di quel pudore che ha nei confronti dell'arte. La mia arte dovrebbe essere un mezzo di comunicazione ed interazione tra visitatore, opera e spazio in grado di cambiare l'idea delle persone riguardo le proprie aspettative sull'arte.
Più che una percezione passiva ed una riflessione teorica, sono importanti le esperienze dirette e fisiche del visitatore. Si tratta del cosiddetto aspetto "performativo" che ritengo essere un punto centrale del mio approccio artistico.

Spesso, i tuoi lavori "conservano" una forte componente ludica e portano ad un totale coinvolgimento dello spettatore. Considerando anche gli aspetti dell'Estetica relazionale di Nicolas Bourriaud, qual è, secondo te, il "ruolo" del fruitore nei confronti dell'opera d'arte?

Lo spettatore svolge un ruolo importante nel mio lavoro dal momento che una delle caratteristiche più straordinarie delle mie opere è la loro interattività. Le mie creazioni offrono all'osservatore la possibilità di entrare nel vivo dell'opera e,alle volte, anche più di questo in quanto spesso colgono di sorpresa il pubblico e lo pongono di fronte all'imprevisto. Alcune volte gli spettatori si trovano in una situazione di interazione anche contro la propria volontà. Ad esempio, quando il visitatore si siede su una delle Moving Benches e viene improvvisamente guidato attraverso lo spazio espositivo, è proprio qui che ha luogo l'interazione. Le mie opere spesso cercano di coinvolgere lo spettatore in un processo di comunicazione con lo spazio, l'opera e gli altri visitatori. Per ottenere questa consapevolezza dello spazio, la percezione fisica dell'opera è fondamentale. Un livello di percezione immediata e di sorpresa si può raggiungere solamente tramite un'opera con cui lo spettatore si confronta direttamente e fisicamente ed è difficilmente paragonabile alla semplice osservazione di foto o quadri. Ne deriva che lo spettatore riesce a superare il tipico atteggiamento di contemplazione passiva. In sintesi, io percepisco la scultura come un sistema di riferimento tra spazio e spettatore in grado di comunicare il processo di "movimento" attraverso cui cerco di rompere gli schemi tradizionali relativi ad atteggiamenti ed aspettative nei confronti dell'arte. Inoltre, per me è importante che la mia arte non venga soltanto inserita in contesti prettamente legati al "mondo dell'arte", ma che possa essere fruita e vissuta anche da persone che generalmente non visitano musei d'arte.
Perciò, ho realizzato una varietà di opere all'interno di spazi pubblici per offrire ai passanti la possibilità di interagire con le opere senza neppure sapere che si tratta di arte. Mi piace l'idea che ogni persona possa fruire dei miei lavori individualmente e che persone provenienti da contesti diversi, con origini e lingue differenti possa ritrovarsi in un luogo comune che idealmente offre loro un'occasione per interagire tra loro.

Bernard Tschumi, vent'anni fa, ha scritto che "non c'è architettura senza azione e non c'è architettura senza eventi". Come si sviluppa per te il rapporto tra opera d'arte e spazio circostante?

L'architettura e l'arte hanno alcuni aspetti in comune. Entrambe sono uno strumento di espressione all'interno di uno spazio; presentano aspetti comunicativi e funzionali ed hanno la capacità di intervenire nell'ambito dell'interazione sociale e di dare luogo a gruppi sociali. Quindi, considero l'arte nell'architettura come uno spazio sociale, un sistema di simboli in grado di suscitare e stimolare una comunicazione e una riflessione. La relazione tra il mio lavoro, l'architettura e lo spazio pubblico assume una grande importanza per me. Il movimento dello spettatore nello spazio e i diversi punti di vista che ne derivano sono necessari per la percezione delle varie dimensioni dell'opera. Di conseguenza, è necessario realizzare un sistema di riferimento tra architettura, spazio, oggetto e spettatore.
Il mio approccio ad un progetto e la rivisitazione di un'area pubblica servono a dare nuovi impulsi allo spazio urbano. Cerco di ridare nuova vita, ridefinire e caratterizzare il luogo da riorganizzare senza intaccarne l'autenticità con l'uso di forme eccessivamente dominanti. Desidero creare un nuovo spazio mantenendo al contempo inalterate le peculiarità che lo contraddistinguono. L'ampiezza degli spazi pubblici offre l'opportunità di lavorare in modo altamente concettuale; senza vincoli istituzionali, le condizioni della natura, lo spazio, la gente e l'ambiente circostante posso essere riflessi e tradotti in idea artistica. Perciò, le mie proposte possono essere considerate sistemi modulari che permettono a futuri progetti di condividere ed evidenziare il proprio carattere olistico, andando contro qualsiasi atteggiamento solipsistico.

Le tue opere possono essere "luoghi" immateriali e concreti allo stesso tempo: aspetti contraddittori convivono in armonia in un unico contenitore. Qual è la tua percezione nei confronti delle "cose"?

Lavorare con elementi di opposizione e contraddizione è uno degli aspetti principali della mia arte. Il contrasto tra pubblico e privato, formale ed estetico, aggressivo e delicato, immateriale e materiale, ad esempio, è tutto ciò che mi interessa.
Spesso, la riduzione formale di un lavoro o la sua immaterialità è la fonte del proprio impatto estetico e forza concettuale. Un esempio adatto è l' Invisible Labyrinth, esposto al Centro Pompidou nel 2005 e allo Statens Museum for Konst di Copenhagen nel 2006. Questo lavoro è caratterizzato dall'essere estremamente ridotto al mero livello visivo; si tratta di un labirinto invisibile in cui la percezione delle pareti si ha soltanto attraverso vibrazioni che le cuffie indossate dai visitatori trasmettono loro. Grazie al fatto che il labirinto può essere solo percepito e non visto, in quanto lo spazio è visivamente vuoto, l'opera assume paradossalmente una grande intensità. Suscita un forte senso di interazione tra i presenti ed una maggiore sensibilità nei confronti dello spazio e delle sue strutture. Quindi, l'immaterialità di un'opera non viene contrapposta all'immagine della propria posizione nello spazio e allo specifico luogo in cui si trova. Da un paio d'anni ho cominciato ad utilizzare elementi naturali quali acqua, luce e fuoco come materiali per realizzare strutture architettoniche e sculture. Tali elementi possono essere allo stesso tempo materiali e immateriali. L'aver realizzato sculture d'acqua in aree pubbliche - come ad esempio Space in Action/Action in Space alla Biennale di Venezia del 2003 e Appearing Rooms a Villa Manin nel 2004 – suggerisce il concetto di "architettura liquida" che al contempo sembra essere tangibile e intangibile. Questi effetti d'acqua sono apprezzati per l'esperienza fisica e la partecipazione attiva che offrono al pubblico. Accostare elementi contrastanti come acqua e fuoco è un altro aspetto della mia arte che richiede un lavoro di precisione tecnica ed estetica. Nella mia opera "Water Flame", ad esempio, due elementi fortemente in contrasto tra loro - fuoco ed acqua - vengono combinati in modo armonioso. Una bocchetta situata a terra dirige un getto d'acqua in aria e al di sopra del getto stesso brucia una fiammella. Quest'opera attira lo spettatore per il suo carattere paradossale, intimorendolo ed affascinandolo allo stesso tempo. Questo connubio stupisce lo spettatore e lo fa riflettere sull'opera e sul rapporto della stessa con lo spazio circostante. In sintesi, cerco di spronare lo spettatore ad essere attivo e a percepire il lavoro non soltanto a livello visivo ma anche nel suo aspetto fisico complessivo.