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Impackt (2006-2009) Anno 2006 Numero 2



Il Visionario Virtuoso

Marco Senaldi

Intervista a Leonardo Pivi, artista visionario che ha fatto dell’antica e ardua tecnica del mosaico lo strumento per incursioni nel mondo del quotidiano.



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Leonardo Pivi
Palle di Mozart, 2006
micromosaico su confezione

Leonardo Pivi
Double face, 2006
marmo inciso su confezione

Leonardo Pivi
Baby lusso, 2006
micromosaico su confezione

Il lavoro di Leonardo Pivi (Riccione 1965) è difficile da catalogare. Emerso nei primi anni Novanta, ha attraversato varie stagioni creative, prima di raggiungere una sorta di equilibrio dimostrato dalla produzione dell’ultimo periodo. Questo equilibrio è il frutto di una difficile sintesi tra orientamenti diversi: il ritorno alla pittura, sfociato nel cosiddetto “realismo nevrotico”, da un lato, e il revival del classicismo più desueto, tipico di un certo citazionismo, dall’altro.
L’arte di Pivi è passata attraverso un lungo cammino, reso accidentato da queste trappole, ma è riuscito a salvare gli elementi più elevati e insieme la capacità di scendere nel cuore della realtà odierna e di estrarne una verità genuina. L’opera di Pivi non è definibile in modo univoco – si spazia da galline teratomorfe in marmo bianco, a stravaganti totem di dimensioni lillipuziane incisi su sassolini o su pietre dure, da microsculture-gioiello in oro e pietre preziose, a pannelli a mosaico di enormi dimensioni raffiguranti schermate del web (come per l’opera pubblica collocata alla fermata Bovisa della metropolitana milanese), a micromosaici realizzati con l’antichissima tecnica dell’opus vermiculatum di ascendenza romana, le cui tessere non superano i pochi millimetri di grandezza – micromosaici che poi l’artista si diverte a incastonare nelle copertine di rotocalchi o in confezioni di merci. Si tratta dunque di un’opera caratterizzata da un bagaglio tecnico notevolissimo, acquisito in anni d’esperienza, che però non scade mai nel virtuosismo fine a se stesso – il che fa di Pivi, viceversa, un artista virtuoso, che non si trincera nell’abilità manuale ma non teme di confrontarsi con i temi più scottanti dell’attualità.
E’ proprio tramite questa intersezione di realtà tanto diverse – un’opera di raffinatissima ed esclusiva fattura, che rifà le icone di merci prodotte in serie o le immagini stampate in milioni di esemplari sulle pagine dei quotidiani – che Pivi ci regala una dimensione inedita, tante volte inseguita dall’arte dei giorni nostri, quanto raramente conseguita. Questa dimensione esiste, Pivi ce ne consegna le prove materiali, e non dovremmo avere timore di definirla una nuova classicità antitradizionale.


Micromosaico, pittura, marmo, persino gioielli e oro, la tua creatività non conosce limiti, e spesso ti sei cimentato con tecniche “difficili”. Qual è la tua formazione, sia tecnica che artistica?
In giovane età, seppur per brevi periodi, ho fatto esperienze lavorative pesanti come il facchino, il metronotte, l´operaio di pulizie industriali. Dopo numerose vicissitudini sono approdato ad un’importante opportunità lavorativa, collaborare con una ditta di restauro di beni culturali. Per alcuni anni a Ravenna ho avuto il privilegio di salire sulle impalcature dei cantieri di alcuni monumenti importantissimi e di poter osservare e intervenire su manufatti antichi di svariata origine, quali affreschi, dipinti a olio, stucchi, lapidario, pitture lignee. Oggi posso dire che quel periodo, seppur breve, ha contribuito in maniera decisiva alla mia formazione tecnica. Nei primi anni Novanta, grazie a quell’esperienza, ho sviluppato una particolare avidità nell’analizzare e controllare attentamente il materiale su cui intervenire.
Come artista ho cominciato alla fine degli anni Ottanta a fare le mie prime mostre a Bologna, città in cui studiavo presso l´Accademia di Belle Arti e dove ho avuto il piacere di esporre presso la galleria Neon, vivendo, tra l’altro, molti eventi rilevanti insieme ad artisti amici della mia generazione, che oggi sono molto affermati.


Nelle tue opere si riscontra la voglia di mescolare tecniche e materiali assolutamente eterogenei (penso alle “copertine” con interventi a mosaico) – come arrivi alla definizione di un’opera, qual è il processo mentale che segui?
Sono un visionario, di continuo sogno ad occhi aperti, appena ho un’idea interessante da sviluppare comincia a galleggiare sulle altre in maniera ossessiva, nasce così un periodo di riflessione dove le mie idee rimangono nel limbo, come ibernate, a volte anche per anni.. Il lavoro delle copertine è nato in maniera molto articolata. L’idea iniziale prevedeva di realizzare piccoli interventi tautologici con tecniche svariate, quali micromosaici sagomati, sculturine, piccoli quadri ad olio, sbalzo ecc. Poi ho pensato al supporto in cui ambientare questi microinterventi preziosi – e la carta “usa e getta” dei quotidiani mi sembrava prestarsi bene al cortocircuito. Solo all’indomani della prima rivista fatta, ho appurato con sorpresa che il cartaceo, rinnovandosi continuamente, suggerisce interessanti tematiche da sviluppare, così ho cominciato a costruire micromosaici calibrati su misura, partendo appunto dalla ricerca dell’immagine ad hoc. Nel lavoro delle copertine ricerco ovunque mi trovi immagini per affinità di tematica, penso a quelle con personaggi mascherati, ai miti del cinema, dello sport, della politica, ecc. Non ti nascondo il mio entusiasmo quando dal giornalaio scopro un´immagine che ha i requisiti per poter essere sviluppata. I processi mentali a volte sono difficili da decifrare, perché quando cambio tecnica cambia anche il mio approccio mentale, comunque cerco di sottomettere le mie idee alle tecniche, mai il contrario. Da tanti anni evito di costruire il lavoro attraverso la seduzione e bellezza dei molti materiali che conosco, anzi a volte cerco di sforzarmi e di considerare quelli che per mia natura sento meno, che però possono rivelarsi ottimi per i miei scopi.


Qual è l’elemento scatenante che mette in moto le idee e ti permette di raggiungere il risultato voluto?
Tempo fa avrei risposto “il mio stile di vita”; sono un´amante di situazioni forti e suggestive che possono stimolare la mia fantasia: battute di caccia e pesca, o passeggiate romantiche, andar nei boschi a raccogliere funghi, tartufi, erbe e bacche selvatiche. Oggi purtroppo non ho più tempo per vivere la natura come vorrei quindi anche il mio lavoro ha dovuto trovare altri stimoli.
Penso che il risultato di un’opera riuscita bene è un dato certo che si affina negli anni. L´esperienza non basta mai, ma avere grande esperienza significa avere certezza di risultati.
Il fascino dei capolavori in arte è celato dietro l’immagine, parlo di pratiche delicatissime ed empiriche, spesso alchemiche e dei rischi annessi. Durante le complicate fasi di lavoro l’imprevisto è sempre in agguato, a volte mi sento come un pilota di Formula Uno che parte e non sa se arriva; può accadere di tutto, prima la pioggia, poi il sole, allora devi cambiare gomme, stile di guida ecc, poi ritorna la pioggia e di nuovo devi adattare il lavoro a nuovi imprevisti, ai cambiamenti, perché il rischio è enorme, sbagliare o andare fuori strada, un lavoro sempre col fiato sospeso.


Che rapporto hai con il mondo contemporaneo, che cosa ti colpisce in un’immagine al punto da trasformarla in un’icona bizantina?
Anche se può sembrare assurdo, il mosaico ha valenze contemporanee e antiche al tempo stesso. Il fattore tempo è molto importante nell’opera musiva, mentre al confronto la tecnica della pittura, nei secoli, si è accelerata spaventosamente. Per rendere l’idea pensa alla frustrazione di Tiziano nel constatare che il suo allievo Tintoretto eseguiva diversi ritratti al mese e a lui non bastava un anno per realizzarne uno... Cambiando sistema operativo si modifica la struttura della forma, la consistenza degli impasti di colore, la velocità della pennellata.
Altro fattore determinante che aumenta il divario tra tempo pittorico e tempo musivo è l’analisi formale; il colore a olio fu un’invenzione studiata appositamente per indagare il microcosmo in
maniera ancor più analitica dell’affresco, invece la tessera musiva è un’entità geometrica astratta che obbliga l’artista a considerare l´immagine in termini di sintesi formale. Aggiungo anche che l’artista che dipinge oggi fatica a costruirsi un suo ben definito immaginario, le botteghe non esistono più, molto si è perso e questo ha complicato il mestiere, il pittore di oggi, solitamente non riesce a sganciarsi dall’immaginario fotografico o cinematografico. Nel mosaico quindi l’effetto finale è più trasformante e permette di trasfigurare l’identità di figure e cose, la tecnica è in grado
di iconizzare tutto.


Che rapporto hai con le merci? Che genere di consumatore sei?
Sono un consumatore molto distratto e incosciente, per esempio scambio lo sciroppo per la tosse per un digestivo o il detersivo dei piatti per lo shampoo.
Solitamente le pubblicità non fanno presa su di me come consumatore – come artista sì, infatti sono sempre molto attento nell’osservare i megacartelloni che invadono le città, a volte mi fermo a guardarli con attenzione. Amo più il contenitore del contenuto, però non è una regola, sicuramente con le merci ho un rapporto conflittuale.


Cosa significa per te la “delizia”?
Credo che la delizia sia uno stato di benessere in cui si può trovare la nostra mente, un valore emozionale puramente soggettivo. Siamo tutti più ricettivi verso i sapori forti, gli odori penetranti, le musiche a tutto volume, le sgasate dei motori, l’odore del tartufo, la cioccolata, ma per me la più autentica delizia è una sensazione che scaturisce da delicatezze quasi impercettibili, ad esempio trovo piacevole respirare a pieni polmoni la prima aria del mattino appena entro in un bosco per assorbire umori d’ogni tipo, mi piace in particolare l’odore di mandorla amara di alcuni funghi non commestibili, oppure il profumo delicato dei fiori d’acacia. Sensazioni che in città non puoi respirare. O ancora poter osservare l’altissima qualità pittorica nei quadri di alcuni grandi maestri, come ad esempio La fanciulla con l’orecchino di perladi Vermeer, la delizia in questo caso è data dal tocco magico, sapiente e soprattutto delicato del grande pittore.


Che rapporto hai col packaging, con l’involucro delle merci e degli oggetti in genere?
Sono per me materia costante di studio, mi è successo anche di recuperare negli scantinati merci prive di valore commerciale, in realtà però difficilmente riesco a lavorare su quello che raccatto, forse è una sorta di collezione che utilizzo per stimolare la fantasia, un desiderio di possesso utilissimo. Da ragazzo in campeggio durante un’escursione, in Trentino, ricordo di aver trovato una scatola di fagioli della prima guerra mondiale ancora intatta, lo stesso giorno trovammo anche diversi ordigni inesplosi, così i nostri istruttori purtroppo non ci fecero portare nulla a casa – però quella scatola di fagioli mi è rimasta in testa, non so cosa darei per avere ora quel cimelio da mettere in una teca e contemplare.


Marco Senaldi è critico e curatore; insegna Cinema e Arti Visive all’Università Statale di Milano Bicocca, recentemente ha pubblicato (con F. Carmagnola) Synopsis. Introduzione all’educazione estetica, Guerini, 2005.