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Zoom Magazine (2006-2008) Anno 29 Numero 215 luglio-agosto 2008



IKO NAKAMURA

Satomi Itai





Zoom 215
luglio-agosto 2008

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E'dall’acqua che è nata la prima forma di vita, si pensa 3.8 bilioni di anni fa.
Ed è nell’acqua che ebbe inizio l’evoluzione della specie.
Iku Nakamura è sempre stato affascinato dal mondo sottomarino e dalle forme di vita che vi dimorano. Per oltre quarant’anni si è immerso negli oceani di tutto il mondo documentando le incredibili bellezze degli abissi, ai più sconosciute.
Per il suo vasto lavoro, la sua grande attenzione per la natura e il suo approccio giornalistico alle questioni ambientali, lo scorso anno ha ricevuto sia il 26° Ken Domon Prize che il Premio 2007 della Photographic Society of Japan Nakamura ha trascorso sott’acqua tanto tempo da meritarsi l’appellativo di “metà-uomo, metà-pesce”.
Oggi, a 61 anni, lavora ancora molto e non ha mai smesso di fare immersioni.
Gli abitanti del mondo sottomarino sono creature straordinarie dalle forme e dai colori stupefacenti. Guardando le sue foto, viene la tentazione di immaginare che tipo di conversazioni si stanno facendo in fondo al mare…
Mi stupisco sempre quando faccio immersioni. Mi ritrovo in un mondo di una bellezza abbagliante e mi dimentico tutto quello che succede sulla terra ferma. E’ veramente un universo meraviglioso. Alcuni pesci sfoggiano decorazioni sfolgoranti, a tal punto che mi chiedo se possano esserne imbarazzati. Ognuna di esse ha uno scopo. In un ambiente in cui mangi o sei mangiato, continuamente accerchiato dal pericolo, alcuni fingono di essere sassi, dato che non sono in grado di nuotare velocemente, altri si mostrano forti, anche se sono in realtà molto deboli. Una volta sono andato in Nuova Guinea a fotografare i pesci scorpioni, una razza veramente incredibile di pesci che sbadigliano, si dice, ogni dieci minuti. Non è però facile scovarli a causa del loro mimetismo. Ne vidi uno che sbadigliò immediatamente.
Ho pensato: “Bene!” Ma, non appena mi sono avvicinato con la macchina pronta per scattare lo sbadiglio successivo, mi accorsi che non era un’impresa facile. Sembrava che il pesce mi dicesse: “Tu sei di Tokyo e sei venuto qui per fotografare il mio brutto sbadiglio. Io non farò quello che vorrai.” Aspettai un’ora. Decisi di dare un ultimo sguardo all’indietro prima di rinunciare, anche perché non avevo quasi più aria. Allora, vidi che il pesce stava sbadigliando, finalmente. Che intelligenza! Penso che capiscano tutto. Misi a fuoco velocemente e lo fotografai. Che cosa succederebbe se facessi vedere quest’immagine ad un pesce scorpione? Questo pesce è stato veramente paziente, ha aspettato per un’ora. Per un pesce, sbadigliare deve essere imbarazzante. Per ciò penso solo a superare in astuzia il mio nemico. Faccio finta di non essere interessato e poi fotografo immediatamente senza perdere un attimo. Da principio mi guardano facendo trapelare un rifiuto. Dopo di che si rilassano quando capiscono che non gli voglio fare del male.

Perché fotografa l’Oceano da quarant’anni?
Il mare ti insegna varie cose: non solo la debolezza del genere umano, ma anche la forza, la bellezza e la meraviglia della vita selvaggia. Le onde cambiano di momento in momento, la superficie dell’acqua risplende al sole e c’è un senso di energia che non accenna a diminuire… Oltre alla bellezza dell’oceano, voglio anche mostrarne l’energia e la vastità.
Fotografare sott’acqua non è come fotografare sulla terra. Una volta immersi,
non si possono cambiare né pellicola né obiettivi e, non potendo scattare più di 36 immagini in circa un’ora, non posso permettermi sprechi. Occorre quindi una notevole capacità di anticipazione, di previsione del momento giusto in cui scattare. Il mio ruolo è quello di mostrare la realtà per come essa è. Perciò non uso nessun filtro. Una volta che so quello che voglio esprimere, la composizione avviene naturalmente.

Perché ha deciso di fotografare anche la Baia di Tokyo,che viene anche chiamata mare morto o “sea of sludge”, mare di melma?
Ad un certo punto mi chiesi con rabbia perché una baia così bella fosse stata ridotta in quello stato. Dopo tutto quello che vi era stato gettato, nessuno immaginava che ci fossero delle creature in grado di viverci. Invece, quando mi sono immerso, vi ho trovato tanta vitalità. Perciò decisi di lavorare proprio sulla baia di Tokyo, da una parte per documentare la grande capacità di sopravvivenza di alcune forme di vita e, dall’altra, per denunciare i gravi errori commessi dagli uomini. Il risultato di questa ricerca, durata dieci anni,è stato pubblicato in un servizio, “The complete Tokyo Bay”, che suscitò molto interesse.