Work.Art in progress (2006-2008) Anno 7 Numero 23 estate 2008
Gillian Wearing
Eccolo finalmente il monumento alla Famiglia Trentina Tipo del 2007, approdo del progetto speciale di Gillian Wearing Family Monument. Nel corso di più di un anno dal suo inizio, nel marzo del 2007, il progetto si è insinuato in programmi televisivi e in articoli di giornale, ha attraversato dibattiti e polemiche, ha ondeggiato tra consensi e critiche, per giungere alla bronzea eternità. È passato dalla presentazione dei dati statistici sulla famiglia trentina in Galleria Civica agli annunci sulla stampa, dalle lettere di partecipazione delle famiglie ai talk show sull’argomento, fino alla serata al Teatro Sociale con le finaliste, dove una giuria rappresentativa di diversi settori della società locale, dal parroco allo studente, dalla psicologa alla giornalista, sceglie infine i Giuliani: Antonio, Olimpia, Maria Eleni e Leonardo. I quattro salgono sul podio, decidono la posa, vengono fotografati, misurati, e parte la realizzazione del monumento, in bronzo perenne. Il dato statistico, base di indagine e metro di paragone della selezione, scivola infine in secondo piano, alla famiglia reale si sovrappone la famiglia ideale. E non solo perché la giuria ha voluto ribadire di avere scelto i Giuliani “per il senso di armonia che li contraddistingue, sia dal punto di vista plastico che psicologico”, svelando un approccio estetico piuttosto che sociologico, ma perché il bronzo, con la sua potenza eternizzante, non può che trasferire la realtà sul piano ideale. Tuttavia in questo gap, nell’inevitabile slittamento che la riproduzione monumentale comporta rispetto alla famiglia reale, sta proprio la dimensione artistica del progetto.
L’utilizzo dei mezzi di comunicazione e di indagine dei nostri giorni, è un metodo non nuovo, né all’arte contemporanea (basti pensare a The Average Citizen di Måns Wrange, in cui è stata selezionata una donna di nome Marianna come cittadino medio svedese), né alle procedure della stessa Wearing, che in Confess all in video,Family Monument i mezzi di comunicazione contemporanei sono messi in rapporto con uno del tutto tradizionale, il monumento, che ora diventa la summa del progetto, raccogliendo in una breve iscrizione il percorso che ha portato alla sua realizzazione. E qui si apre un cortocircuito di senso, perché quella scultura da una parte si ricollega alla millenaria storia della statuaria monumentale come modello, monito per il futuro, e dall’altra, nell’epoca della dissoluzione dei valori, è un gioco ironico, o malinconico, rispetto al suo soggetto. Ormai le società democratiche hanno abbandonato l’elaborazione della mitizzazione attraverso i monumenti – un tempo mezzo di identificazione di una comunità e strumento di conservazione del potere – passando a forme più effimere e mediatiche di propaganda. C’è un lungo percorso di antimonumentalità nella storia dell’arte contemporanea, che spesso è passata attraverso la monumentalità del quotidiano, l’elevazione della normalità a valore esemplare, di cui questo lavoro in fondo è parte. Solo per citare un caso singolarmente vicino all’operazione di Gillian Wearing, anche se solo dal punto di vista esteriore, basta tornare a quella Familia obrera dell’artista argentino Oscar Bony, che nel 1968 mise una vera famiglia in mostra su un piedistallo pagandola per la prestazione lavorativa.
Se è vero però che il progetto di Gillian Wearing sfrutta la monumentalità per combatterla, è anche vero che in fondo se ne lascia affascinare, cogliendo un’atmosfera di recupero dei mezzi tradizionali, che tocca oggi anche altri artisti e opere, come i marmi scolpiti che riproducono una serie di defunti velati presentati da Maurizio Cattelan nella sua recente mostra della Kunsthaus Bregenz. Come dire: un ritorno alla classicità. In fondo c’è anche questo, bisogna ammetterlo, nel monumento di Gillian Wearing.
Family Monument è un lavoro complesso, che può offrire spazio a molteplici letture, di carattere sociopolitico prima ancora che artistico, su un tema caldo come quello della famiglia. Bandiera da difendere nella sua forma tradizionale per alcuni, da riconoscere nella mutabilità della sua composizione per altri. Un progetto che per questo, come era prevedibile, è stato bersaglio di critiche da destra e da sinistra: considerato provocatorio, in quanto sembra minare la sacralità dell’istituto familiare, oppure reazionario, perché premiando infine una famiglia classica pare avvallare, se non addirittura omaggiare, la sua composizione tradizionale senza dare spazio alle “nuove” formulazioni familiari.
In realtà, niente di tutto questo nell’intento iniziale di Gillian Wearing, la cui unica aspirazione era quella di far sì che una comunità nel suo complesso autodefinisse il proprio concetto di tipicità rispetto all’idea di famiglia, e che questo concetto venisse concretizzato nella realtà. Solo che poi si scopre che ciascuno, anche in una comunità tutto sommato coesa come quella trentina, nell’epoca delle filosofie di vita fai-da-te, ha un concetto diverso di famiglia.
In fondo, Family Monument, è la concretizzazione di un desiderio impossibile, un anelito che rientra nella dimensione dell’immaginario. In quella parte della sensibilità umana che sfugge ad ogni statistica e ad ogni realtà.