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Arte contemporanea Anno 3 Numero 14 settembre-ottobre 2008



Manifesta 7



bimestrale di informazione
e critica d'arte


César
Anthologie par Jean Nouvel


Per una Collezione di Fotografia
Acquisizioni per la GAM dal progetto Arte Moderna e Contemporanea CRT

Il doppio gioco dell’Arte:
Aldo Mondino e Francesco De Molfetta

La Collection Lambert
Le grand tour à la Villa Mèdicis

Lia Drei e Diana Bylon
Due signore dell’Arte Italiana

Franco Angeli
Una Retrospettiva

L’occhio di Meret Oppenheim

Roberto Mangù
“Permanenza”

Mario Schifano
a cura di Achille Bonito Oliva

Spazialismi a confronto
Vinicio Vianello - Saverio Rampin - Bruna Gasparini

Gianfranco Pardi
Architetture, 1970-1977
e opere recenti

Laura Stocco
4 tempi

Manifesta 7

Come Atena dalla testa di Zeus
Artisti giovani e emergenti alla Galleria Zamenhof

Scolpire il pensiero:
La Digital Art di Marco Agostinelli al collegio Armeno a Ca’Zenobio

Impatto ovvero...
Spingere contro

Giorgio de Chirico

Libri d’Arte

Eventi Flash

Risultati d’asta 2006/2007

Mostre in Italia

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Diego A. Collovini
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Maurizio Cesarini
Katiuscia Biondi Giacomelli
n. 33 febbraio-marzo 2013


Nina Canel
accumulus (8152 Volt)
2008

Candida tv
L’ombra delle frequenze (the shadow of frequencies)
2008

Nico Vascellari
Untitled
2008

E’ finalmente approdata in Italia Manifesta, unica biennale “nomade” di arte contemporanea in Europa. Nata a Rotterdam nel 1996, a ridosso della caduta della cortina di ferro e sull’onda di entusiasmo per il processo di integrazione europea, Manifesta è il luogo d’incontro fra artisti che affrontano problematiche riguardanti il Vecchio Continente.
La sua peculiarità è quella di scegliere come teatro ogni volta una città diversa, incluse zone considerate periferiche rispetto alle grandi metropoli diventate trampolini istituzionalizzati dell’ arte contemporanea. Dopo Rotterdam, Lussemburgo, Lubiana, Francoforte, San Sebastian e l’edizione cancellata di Nicosia, Manifesta viene ospitata per la prima volta da un’ intera area geografica, il Trentino-Alto Adige, e spazia nell’ arco di 130 km sull’asse del Brennero, con quattro grandi mostre a Rovereto (ex Peterlini e Manifattura Tabacchi), Trento (Palazzo delle Poste), Bolzano (ex Alumix) e Fortezza (presso il forte Asburgico). Inoltre, 110 manifestazioni collaterali sparse in tutto il territorio animeranno fino al 2 novembre spazi pubblici e privati con performance, proiezioni, fotografia ed installazioni. La scelta di questa regione per la settima edizione di Manifesta non è casuale: incastonato nel cuore della Mitteleuropa, zona di transito e di frontiera fra il nord e il sud del Vecchio Continente, il Trentino-Alto Adige intreccia ad un’identità rurale un volto industriale.

Multilingue ma spesso refrattario alla commistione etnica e culturale come ogni regione che abbia subito il trauma storico di un’integrazione forzata, è un laboratorio ideale per trattare le problematiche che costituiscono il filo conduttore di questa manifestazione. Tre teams curatoriali incarnano lo spirito multiculturale di Manifesta: oltre ad Adam Budak (Cracovia) e Anselm Francke (Anversa) con Hila Peleg (Tel Aviv), partecipano come curatori a questa Manifesta i Raqs Media Collective (Nuova Delhi) che stabiliscono una sinergia produttiva con la cultura Europea, regalandoci uno sguardo acuto dalla prospettiva della nuova realtà emersa in modo dirompente sulla scena del contemporaneo, l’India. Filo conduttore di Manifesta quest’anno è l’analisi delle dinamiche della ‘differenza’ che costituiscono l’anima tormentata dell’Europa oggi: le contraddizioni fra memoria storica e oblio, fra spazio pubblico e privato, fra ambiente naturale e sviluppo economico, fra io e l’altro.

Queste dinamiche sono al centro dei dialoghi, poesie e meditazioni che diciotto fra artisti, filosofi, scrittori e poeti hanno creato per la mostra Projected Scenarios a Fortezza, un progetto collettivo di tutti i curatori che per non creare antagonismi con lo straordinario ambiente hanno scelto l’immaterialità di installazioni sonore. Opera d’arte totale, la più coinvolgente di questa Manifesta, Projected Scenarios avvolge gli spettatori in un brusio (in quattro lingue) che parla all’immaginazione. Accoglie i visitatori l’installazione di Timo Kahlen Swarm, struttura metallica che emette il suono minaccioso di uno sciame d’api alterato e ricomposto in un ronzio sommesso, metafora acustica della potenziale aggressività della Fortezza ora trasformata in un mormorio della memoria. Fatto costruire da Francesco I nel 1830 per sbarrare la strada alle truppe Franco-Bavaresi, questo imprendibile forte incastonato fra le acque vorticose dell’Adige e la montagna, non sparò mai un solo colpo di cannone. Come recita il testo di Thomas Meineke, questa cattedrale militare disfunzionale che ricorda una versione alpina del forte del Deserto dei Tartari di Buzzati, è caduta senza combattere, segno tremendo di potere e allo stesso tempo emblema della sua fragilità e della futilità delle barriere erette contro la modernità: prima o poi le idee passano anche attraverso il granito.
Infinite voci raccontano di mille possibili scenari e del ruolo che questi giocano nel predeterminare l’esistenza dei singoli individui. Fanno da complemento alle installazioni sonore una sezione video e una rassegna di opere di cinema d’avanguardia. The Rest of Now, riflessione sui residui della storia curata dai Raqs Media Collective in una fabbrica di alluminio dismessa, l’Alumix di Bolzano, accoglie i visitatori con la monumentale Skylight Tower, di Zilvinas Kempinas. Formata da una cascata di nastri di video cassette che srotolate scendono da un lucernario per i dodici metri d’altezza dell’edificio, la Tower si presenta come blocco monolitico agli spettatori che accedono alla sala. Questo monolite sembra però dissolversi e ricomporsi ad ogni soffio d’aria, (a seconda del punto d’osservazione la larghezza dei nastri varia da uno spessore di 2 cm a quello di un filo) fragile come la memoria. Memoria che secondo i curatori è caratterizzata da un paradosso: l’impulso fra il dover ricordare e l’esigenza di andare avanti, che spesso implica la necessità di dimenticare. Il ‘residuo’ è il cardine attorno al quale si svolge la negoziazione fra memoria e dimenticanza, un antidoto alla retorica del progresso che molto spesso tenta di cancellare i debiti col passato. Nell’installazione di Jorge Otero-Pailos la memoria del passato industriale dell’Alumix è impressa sui pannelli in lattice con i quali l’artista ha assorbito, mediante un processo di recupero ‘archeologico’ i residui chimici raccolti in trent’anni su una parete dello stabilimento: archiviato, l’inquinamento racconterà la nostra civiltà.

Di sapore poetico è la serie di disegni che una giovane artista Ceca ha fatto eseguire alla nonna per preservarne la memoria che svanisce. Un ‘residuo’ progenitore dei moderni sistemi di telefonia, racconta una storia di sfruttamento economico che lega l’Europa all’Africa. Un vecchio commutatore telefonico rinvenuto all’Alumix e riportato in vita, è collegato ad una rete radiofonica usata come network di comunicazione dai rifugiati Congolesi a Londra. Memoriale in forma di telefono, vuole ricordare le “guerre del coltan”, minerale dal quale si ricava il componente base dei cellulari ora più prezioso dell’oro, per il quale si sono combattute guerrre in Congo che dal’98 hanno fatto 3 milioni di morti. Lugubremente spiritosa la deforme matrioska Chernobyl di Jaime Pitarch, che dissotterra fantasmi di una catastrofe presto rimossa. Indubbiamente questa bella esposizione beneficia dell’imponente estetica dell’Alumix, che permette l’installazione di opere di grande impatto visivo, ma è soprattutto per la tesi curatoriale interessante e leggibile che la mostra è un rinvigorente stimolo per l’intelletto. Al Palazzo delle Poste di Trento è di scena la mostra più intimista di Manifesta. Curata da Anselm Franke e Hila Peleg, “L’anima, o dei molti guai nel trasporto delle anime” propone un aggancio storico con il territorio reinterpretando in chiave Foucaultiana l’impatto del Concilio di Trento sull’io interiore.

La tesi è che in seno alla Chiesa post-Tridentina, il potenziamento della confessione diviene uno strumento per interiorizzare l’autorità. L’anima è interpretata come entità creata da pratiche e tecniche di potere. Fin qui tutto chiaro. Meno trasparente è il nesso fra questa ipotesi di lavoro e le opere (moltissimi i video), ma si sa: l’anima è una faccenda complicata. Le opere di più di 40 artsti affollano gli spazi claustrofobici del palazzo razionalista, nel quale sono stati recentemente restaurati lavori di Depero e Prampolini. Fra la pletora di opere in mostra, vetrine ‘didattiche’ esplorano la dimensione interiore dell’Europa moderna: come il ‘Museo di Basaglia’del fotografo Graziani, che illustra l’impatto della famigerata legge 180 con documentazione video e testi. Esilarante il video di Tami Ben Tor, che dissacra con allegra ferocia stereotipi culturali. Rovereto sceglie Adam Budak per il progetto Principle Hope, che analizza i punti di intersezione fra spazi pubblici e privati. L’interno della ex Manifattura Tabacchi diventa arena pubblica per performance, mentre alla Stazione sette artisti si confrontano con i meccanismi di inclusione ed esclusione generati dalla globalizzazione su coloro che ‘transitano’. Bella l’opera di Azra Aksamija che costruisce, completa di babbucce da preghiera, una moschea portatile che parla di diaspora. All’ex Peterlini, interessante il lavoro di Johannes Vogle, che riflette sulla trasformazione e valorizzazione degli spazi un tempo adibiti alla produzione beni di consumo, ora divenuti istituzioni pubbliche per il consumo culturale. L’artista inietta 30 gr. d’oro nelle mura, simbolo del ‘valore aggiunto’ dall’arte all’edificio, con un riferimento autoironico alle pratiche furfantesche dei proprietari di miniere che nel diciannovesimo secolo introducevano oro nelle miniere esaurite. Fa piacere che Manifesta sia rimasta fedele allo spirito con il quale è stata creata e si distingua dal numero crescente di mostre e biennali sempre più sensibili al mercato, dialogando realmente con il territorio. Fa soprattutto piacere che oltre a proporre in modo articolato temi attenti al sociale offra delle opportunità a molti artisti poco conosciuti, invertendo la tendenza, molto anglosassone, al sensazionalismo e alla ‘superstardom’ dell’artista ad ogni costo.