Arte contemporanea Anno 7 Numero 33 febbraio-marzo 2013
Acque di ritorno
Ritorna... quell'immersione nelle acque... scure, calde e dolci acque. Lo siamo stati tutti, il mio volto immerso nel godimento pieno di quel suono liquido di materia compatta e mobile, compatta e piena, piena di tutto, quando quel tutto ero solo io, prima che le cose apparissero con i loro nomi, prima che tutto fosse così distinto e... così lontano… ma non posso più ricordarlo perché ora ha un nome anche la mia Persona.
Eppure il mio corpo spinge continuamente a tornare là, ancora… ed è qua che sento il suono senza nomi, ma ora è solo un Vuoto, un vuoto così carico da ferirmi cercando di tagliare questa pelle troppo dura e definita, cercando di infilarmi nel flusso di materia indistinta senza buchi separanti da cui dover desiderare, sempre.
Cosa sono ora? Il tempo scorre portandosi via il volto di quello che sono stato, e mi obbliga a ricominciare, sempre da capo, nella ricostruzione di un Io che galleggia in un eterno ritorno. E quando le cellule di quello che sono stato riaffiorano, il mio nome è un laccio stretto: se mi cerco Io, è proprio allora che non mi trovo, perché non esiste nessun nome che possa dirmi chi sono.
Jacques Lacan in "Il seminario, Libro XX, Ancora (1972/73)": "Posso raccontarvi una storiella, quella di una cocorita innamorata di Picasso. Da che cosa lo si vedeva? Dal modo in cui gli mordicchiava il colletto della camicia e il bavero della giacca. Questa cocorita infatti era innamorata di quel che è essenziale all'uomo, cioè il suo bizzarro abbigliamento. Questa cocorita era come Cartesio, per il quale gli uomini erano degli abiti a passeggio – sì ma en... pro-ménade. Gli abiti promettono la ménade – quando si lasciano. Ma è solo un mito [...].
Godere di un corpo quando gli abiti non ci sono più, lascia intatta la questione di quel che fa l'Uno, cioè quella dell'identificazione. La cocorita si identificava a Picasso vestito".