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Nero Anno 6 Numero 20 primavera-estate 2009



Facing Women

Donald Urquhart



free magazine


No. 20 - Primavera/Estate 2009
Copertina di Giasco Bertoli

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Beautiful Bend 2000
Donald and Sheila

Donald
London 1991
courtesy the artist

Donald
september 1983
courtesy the artist

NEW YORK 2008

Dirigendomi verso Bloomingdales, per le strade numerate di New York, mi sono trovato a seguire un’affascinante donna, con una pochette di coccodrillo e delle scarpe ben abbinate. Indossava calze vecchio stile, con le cuciture, e aveva una piccola smagliatura su una delle gambe. Cos’era? La parrucca? La camminata? L’insieme? Forse era un travestito o un transgender (a vederla da dietro), ma non era quello il punto, né il motivo della sensazione. Aveva un look glamour alla Adrian della Hollywood anni ’40. Era come se fossimo nella Manhattan di Damon Runyon e lei, una bambola piena di stile, camminava lungo il marciapiede che porta al The Hot Box. Ero elettrizzato, mi trovavo all’improvviso nell’”autentica” New York della mia immaginazione, la New York dei film e delle canzoni.

THE WOMEN 1940

The Women (1940), l’insuperabile e graffiante commedia, tutta al femminile, della MGM, è stata rifatta recentemente. Spero di non vedere mai la nuova versione. L’originale, girato tutto in bianco e nero, è notevole soprattutto per l’inserimento a metà del film di un fashion show realizzato nel pieno del glorioso technicolor. Era tempo di guerra, e Hollywood aveva intuito perfettamente che le donne europee avrebbero voluto vedere i vestiti di Adrian nei loro colori reali. Quei vestiti, con le loro decorazioni esagerate, erano un ottimo esempio delle creazioni surrealiste della Schiaparelli; e le modelle si muovevano sinuose in varie ambientazioni: un campo da tennis, uno zoo, un picnic, un laboratorio...

PARIGI 1991

Era il 1991? Non sembra passato così tanto tempo – forse non sto dando abbastanza attenzione al tempo? Andai a Parigi per vedere le collezioni. Non lavoravo nell’”industria”; ero lì con Dean Bright e Rachel Auburn (stilisti) ed eravamo andati a vedere le sfilate di Mugler, Chloè e Gualtier, grazie a Mr. Pearl che aveva creato la maggior parte dei corsetti show-stopping di Thierry Mugler.
La sfilata di Mugler fu una vera “extravaganza”, con la partecipazione di Ivana Trump, Diane Brill (nei panni di Mae West), l’attore porno Jeff Stryker, Lady Miss Kier dei Deee-Lite, e le “draghistocratiche” newyorchesi Joey Arias, Connie Girl e Lypsinka. Lo spettacolo era un omaggio a The Woman, e tutte le supermodelle erano ovviamente presenti.
Ho particolarmente apprezzato la parte “Plage Noir”: un pic-nic in un sofisticato costume da bagno nero, interpretato in maniera elegantissima da Linda Evangelista e dalle altre ragazze. Ho incrociato Ivana dopo lo spettacolo, mi ha detto che ero bellissimo. Ero completamente travestito, con una mantella di lana e una gonna rossa, scarpe vintage Vernon Humpage, ed un enorme “cappello-scarpa” ispirato alla Schiaparelli. Durante il tragitto di andata per arrivare alla sfilata, nella metro, un bambino di cinque o sei anni seduto con la madre ha detto:
“Maman, c’etait un chapeau ou une chaussure?”
“Non. C’etait un Schiaparelli!”
Pensa! Un bambino che non mi giudica in quanto uomo travestito, e sua madre che capisce perfettamente da dove viene la mia ispirazione stilistica. Non sarebbe mai successo in un posto meno sofisticato di Parigi.

OSAKA 1987

Il nostro mantra era: “Ad Osaka il divertimento te lo devi creare da solo”. Lavoravo lì come modello e vivevo in un palazzo con molti appartamenti, insieme ad un paio di dozzine di altri modelli occidentali. Ad eccezione di tre o quattro discoteche in cui avevamo i free-drink, dal punto di vista del divertimento non c’era molta scelta e quindi facevamo del nostro meglio. Vestire elegante ci fu utile – un modello adolescente degli States ci aveva lasciato un baule pieno di abiti camp da ballo. Abbiamo fatto una punk-night ed una serata cowboy, ma la più significativa è stata la toga-night, quando siamo andati in massa a vedere Blue Velvet di David Lynch, armati di coltelli e coperti da un pesante make-up teatrale bianco e nero. Immediatamente diventai Dorothy, il personaggio interpretato da Isabella Rossellini. Mi dovevo comportare in modo estremamente drammatico: come un cantante sentimentale addolorato, volevo il Mistero. Mi ero travestito, avevo indossato cose bizzarre, ma solo in quel momento sentii di aver aperto la porta su un mondo segreto. Ricordo di essermi svegliato e di aver capito che la realtà non è una cosa che dovevi accettare per forza, la puoi trasformare.

LONDRA 2008

L’estate scorsa stavo camminando per le strade di Londra ed ho incontrato Steven Borgan. Steven è un vecchio amico, dai tempi del periodo drag dei primi anni ’90; era conosciuto come Stella Stein. Faceva parte del gruppo Raw Sewage di Leigh Bowery, insieme a Sheila Tequila (aka Sam, con il quale organizzavo The Beautiful Bend).
“Sei andato da qualche parte ultimamente?” mi ha chiesto.
Ho 45 anni e li sento. Raramente ho voglia di andare a ballare, figurati mettermi in drag.
“Non c’è nessun posto dove vale la pena di andare. E’ sempre tutto così vecchio, così vecchio. E ovunque vai ci sono questi ragazzini, terribilmente arroganti, in drag banali stile clown.”
“Ho sentito che hai cancellato un po’ di persone dal tuo myspace per il loro stile drag-clown!”
“Sì. Natch! Beh NOI non avremmo fatto cose così neanche per scherzo. Clown, infermieri, suore con le barbe, detto in chiare parole è tutto COSÌ NOIOSO.”
“Odio tutte queste barbe tagliate a metà, e quelle schifose sopracciglia da pantomima. E dicono tutti che è un ‘riferimento alle Cockettes’.”
“E’ tutto così scadente e fatto senza immaginazione. Sono tutti così SERI.”
“Credono di essere dei performance-artist e vogliono esibirsi all’Edinburgh Fringe.”
“Era l’ULTIMO posto dove avrei mai voluto esibirmi – o peggio conformarmi!”
Steven mi ha poi chiesto di un tale che si atteggia come Leigh.
“Deprimente. Anche Sheila non lo sopporta.”
“Leigh non gli avrebbe permesso di fare queste cose nei suoi club. Lo avrebbe mandato via.”
“E’ solo noioso.”
“Nessuno cerca di spingersi oltre.”
“Noi eravamo viziati. Si può fare molto di più di questi tempi. Diavolo, si può FUMARE!”

LONDRA 1989

Alla fine degli anni ‘80, la scena clubbing londinese era una palude di rave-club fradici e di insipide serate R&B, o Garage, zeppe di droga. C’erano gli acidi, l’ecstasy, la cocaina e l’erba. Non era più la capitale mondiale dello stile, il mondo dei club gay era stato invaso da vestiti sportivi in stile baggy, tipi che smascellavano, sudati, a torso nudo, e un gruppo di irriducibili del travestimento, come Tasty Tim, Leigh Bowery e Jayane County. Tutti sembravano, o pensavano di essere, sul punto di morire di AIDS. Era veramente deprimente. Non so cosa sia successo, se fosse la disperazione a portare al desiderio d’azione, forse avevamo solo bisogno di SPERANZA, ma in qualche modo – come in quel magico momento, in The Women di Cukor, quando si aprono le tende e appare la sfilata in technicolor – tutto d’un tratto tutti si conciavano sopra le righe. Con locali come il Kinky Gerlinky e il Beyond di Tasty Tim, le opportunità per travestirsi erano davvero tante – anche se non ti eri mai messo in drag nella tua vita. Uscivo in drag ogni notte della settimana, a volte lasciavo il trucco delle serate precedenti, mi facevo la barba e rimettevo il fondo tinta e la cipria sulla parte inferiore del viso. Ricordo di essere andato al Boy Bar ad Hampstead – un bar di drag/tranny che non ha mai preso troppo piede perché si trovava in un posto difficile da raggiungere. Mi misi a discutere dello stile di vita drag con Dareena (una door-whore glamour, nonché sosia di Madonna); della follia e del caos che porta nella tua vita; della casa disordinata, dei lividi, dei piedi gonfi, degli uomini molesti...
“Mal di parrucca, cancro di corsetto, aree paralizzate per non so COSA!”
Dareena: “E lo facevamo ogni notte della settimana, ragazza mia. Senti la mia voce com’è gracida! E stasera, dopo il mio show, farò la porta al West End. Perchè lo facciamo, ragazza mia? Perchè lo facciamo? PERCHE’?”
“Per il GLAMOUR”.

Ovviamente lo facevamo anche per semplice divertimento, per provare una sensazione di libertà – per divertirci e divertire gli altri. Ma non si trattava di sentirsi splendidi o di entrare in contatto con una parte femminile interiore. C’era anche qualcosa di teatrale.
Regina Fong è stata una drag queen fin dagli anni sessanta, era quasi di culto, aveva un gran seguito. Era quel tipo di drag che si potrebbe definire “tradizionale”, con parrucche elaborate, tanti fan, e abiti lussuosi – una specie di Danny La Rue sotto acido. Eravamo nel backstage del The Black Cap a Camden, ci stava squadrando dall’alto in basso, aspirando una canna. “C’è qualcosa... non so. C’è qualcosa di diverso in voi. Non siete come eravamo noi. State facendo qualcosa di diverso, ma non sono sicuro di cosa si tratti”, girò gli occhi e si volse verso lo specchio.? Questa era un po’ la risposta della ‘vecchia guardia’: perplessità unita alla sensazione che non la stavamo facendo giusta, o in maniera corretta. Non eravamo dei travestiti o dei tipici cross-dressers. I trannies matriarcali che governavano il Tudor Lodge di Ron Storme ci guardavano con sospetto – dato che avremmo potuto tranquillamente ridicolizzare la loro scena. Il Tudor Lodge era situato sotto il Bow, il cavalcavia di Mile End. Era un club per travestiti e per i loro ammiratori; per me e Sheila Tequila era il posto più estremo del mondo. Da nessuna parte c’era un assortimento così comico e sbalorditivo di ‘ladies’ – molte delle quali assomigliavano ai tipi della serie Carry On. C’era un’ampia varietà di cross-dressers, da quelli che lo facevano per la prima volta a quelli che lo facevano da prima della guerra. Era una situazione molto amichevole, era come stare ad un matrimonio di famiglia, solamente con meno uomini. La cosa più importante era sempre la “Parata”, durante la quale i concorrenti, entrando in un rettangolo sul dancefloor, venivano giudicati. Mi pare che si vincesse una bottiglia di spumante. Leigh Bowery era fuori di sé per le storie che giravano sul Lodge. Non c’era mai voluto andare, quindi prosciugava me e Sheila per avere più informazioni possibili. Cosa indossavano? Chi era il più freak? Com’erano i cacciatori di trans? Si consumava del sesso? Arrivò al punto di non resistere più, doveva assolutamente andarci. Leigh ci faceva pesare molto il fatto che non era una drag-queen, o un cross-dresser; non accettava certe etichette. Comunque non sarebbe andata in “man drag” (il suo strano modo di vestirsi durante il giorno) a vedere il resto di noi che si divertiva, si prese così il rischio. Arrivò insieme a Mr. Pearl (anche lui “en femme”) con una maglia e una gonna stile militare, sembrava Benny Hill ridotto come una delle Andrews Sisters. Comunque si divertì molto. Alla fine della serata era Leigh che guidava il trenino, e la cosa più divertente è che tornò a casa con un caccia-trans.

LONDRA 1993

L’infinito numero di serate a tema faceva sì che il livello fosse molto alto. Non potevi riproporre lo stesso look all’infinito, e l’atmosfera si era fatta molto competitiva. Persone in travestimenti scontati ricevevano molta meno attenzione degli altri, e l’ultima cosa che i fashionistas come me e Sheila volevano, era annoiarsi o annoiare. Affrontavamo ogni uscita con l’accuratezza di Anna Piaggi e Diana Vreeland, e definivamo così lo Zeitgeist. Il Kinky Gerlinky era sempre una sfida, dato che il tuo “look” sarebbe stato discusso, vivisezionato, analizzato, criticato, masticato e poi risputato da tutto il popolo della notte, grazie alle videocassette che uscivano la settimana seguente. I temi, comunque, non erano molto specifici (“Carnevale”, “Compleanno”, “Halloween”, “Modelle da ballo”) e per “La serata dei Leopardi” (soprannominata poi la “Serata dei Lebbrosi”) mi presentai con la cosa più banale a cui potevo pensare: Bonnie Langford di Cats, e Sam sorprese perfino me presentandosi come Il Grande Omi. Per questo motivo io e Sam cominciammo ad inventarci i nostri temi. Abbiamo fatto tra gli altri: un abbinamento tra Joan e Christina Crawford, due grasse turiste di mezz’età, delle flappers anni ’20 con vestiti originali, le giocatrici di tennis, le esploratrici dell’età edoardiana; le cose presero ancora di più il volo dopo che Sam, di ritorno da una svendita di costumi della BBC, portò una montagna di imbottiture e protesi da gravidanza oltre a qualche costume da animale. Dj Harvey era stato mio vicino di casa e aveva fatto il dj in un piccolo pub prima di diventare gay. Mi chiese se mi sarebbe piaciuto fare una serata drag, così coinvolsi Sheila e nacque The Beautiful Bend. Volevamo cambiare ogni mese, con temi complessi, ma fortemente specifici. “Tales of the Potting Shed”, “My Hoop Is Thine: Victoriana, Atticana, Prince Albert & The Gladstone Bag”, “My Daughter’s Wedding Left A Lot To Be Desired”, “The Dalek of Lourdes”, “Up The Hague”... Scrivevo una breve storia, o uno spettacolo, che illustrava il tema e che veniva mandato come invito, poi decoravamo il club (una squallida cantina con un pavimento irregolare) con qualsiasi cosa coerente con il tema che ci capitasse tra le mani (carote e foglie di verza, pane francese, foglie, immondizia domestica, scarpe sospese dal soffitto dentro dei collants), dipingevamo sui muri e mettevamo a disposizione anche un assortimento di abiti e parrucche per vestire le persone. Ci spingevamo così oltre che anche le serate più tranquille erano veramente speciali. Fu durante una di queste serate che capimmo davvero perché stavamo facendo tutto questo. Era un party intitolato Scandal in riferimento al film su Christine Keeler e Mandy Rice-Davies. Mettemmo in piedi un cabaret (in cui Sam mi tirava addosso delle uova), andammo in centro per il cibo e le decorazioni, lavorammo ventiquattro ore al giorno per settimane, ma per qualche motivo quella sera il locale rimase piuttosto vuoto, ad eccezione di qualche ragazza fatta di ketamina che cadeva per le scale scoppiando in lacrime alla vista di un cucciolo di King Charles portato da qualche idiota. La cosa mi esaurì. Io andavo in giro con una tuta da mucca. Sam aveva il culo a terra, con in mano una pinta di vodka e coca-cola. Harvey disse “Sai, oggi è San Valentino” e io lo squadrai subito. “Sembra più l’affondamento del Titanic”, aggiunse Sam. Le ragazze cadevano ancora dalle scale, in una valanga di stupidità auto-inflitta, e noi scoppiavamo a ridere. Era un disastro, ma non ci importava, lo stavamo facendo solo per noi. Sam: “Non me ne frega nulla se ci siamo solo io e te a saltellare, travestiti, di fronte alla cabina del dj. Fanculo a loro. Noi lo facciamo per noi. Non è per intrattenere altre persone o avere la foto su Time Out. Se le persone non vengono, peggio per loro”.

LONDRA 2008

Ieri sono stato al telefono con Sam per oltre tre ore. Ci succede spesso; possiamo andare avanti settimane senza sentirci, ma poi stiamo a parlare minimo un’ora. E poi ci sono periodi di silenzio senza alcun tipo di contatto.
The Beautiful Bend era proprio il risultato di queste frequenti, lunghe, dettagliate conversazioni durante le quali ci rimbalzavamo idee l’uno con l’altro, cercando di trasformare delle questioni bizzarre in qualcosa che potesse eccitare le altre persone. Tutti i temi e le storie venivano da questo procedimento: discutevamo gli elementi che avremmo voluto incorporare (es. la stregoneria, Sylvia Plath, il giardinaggio) e buttavamo giù le cose più eccitanti o intriganti in cui ci imbattevamo, poi io scrivevo una bozza della storia, la rileggevo a Sam, e la modificavo in base ai suoi suggerimenti. Avevamo la stessa cura anche quando si trattava di mettere insieme i nostri costumi e il nostro trucco. Beh… a parte qualche improvvisato diversivo.

Sam: Quello che era davvero notevole, durante il periodo drag dei primi anni ‘90, era che nel nostro gruppo le idee venivano fitte e veloci, ed eravamo molto più pronti ai cambiamenti della maggior parte delle altre persone.
Donald: Il nostro motto era “Abbracciamo le differenze”.
S: E tu mettevi così tanto di te stesso in tutto ciò che facevi. Non ne hai mai parlato davvero.
D: Non è modestia – è semplicemente qualcosa a cui non penso.
S: Beh, guarda oggi questi ragazzi da club – sono tutti così pigri.
D: Non si può paragonare nemmeno alla lontana…
S: Assolutamente, non sembrano informati, acculturati o almeno attenti, e... non lo capisco. Sono stupidi?
D: Credo stiano provando ad esprimere qualcosa di interiore, mentre noi avevamo a che fare di più con la parte superficiale.
S: E’ proprio così.

D: Sono passato davanti a Tesco e ho visto una delle ragazze del Lodge con una gonna leopardata svolazzante.
S: Era carina?
D: Fantastica. Non so se era davvero “passabile”, ma era veramente disinvolta.
S: Beh, è ciò che emani che conta. Non è quello che indossi, è lo spirito.
D: Come quella volta che odoravi di mare.
S: Il mare! Oh sì, indossavo una gonna a rete nera e delle scarpe nere scamosciate ed ero andato a pisciare a Leicester Square. Se non sbaglio successe che mi pisciai sulla gonna o che la pipì mi colò lungo la gamba dentro la scarpa e fece reazione con lo scamosciato o la tintura della scarpa.
D: Esatto, e aveva un odore fortissimo che ricordava il posto al mare dove eravamo andati in taxi.
S: E tu appena tornati a casa mi hai copiato e ti sei pisciato nella scarpa.
D: Fu quando mettemmo quel biscottino sul tacco delle scarpe dorate?
S: Sì. (ride)

S: Beh, è così. C’era sempre qualcosa di più del semplice travestirsi, qualunque cosa fosse. Tutto si giocava sull’esperienza del momento. Come quando ci mettemmo delle pance da grassoni e ci infilammo al The Strand, o quando ci siamo arrampicati su una gru di cinquanta piedi indossando una tuta acetata. E la scialba drag. Era difficile che qualcun altro facesse cose del genere. Era una vera rivelazione, la cosa si poteva interpretare in modo totalmente opposto.
D: E trovare ancora uomini che ti si volevano fare.
S: Era anche un buon lasciapassare.
D: E più comodo.
S: C’è qualcosa di particolare quando ti travesti per ridere, tende a far ridere anche gli altri ed è molto meno probabile che ti gridino addosso o ti aggrediscano.
D: Non abbiamo mai avuto problemi reali.
S: Beh in realtà sì, come quella volta che un ragazzo ti tirò addosso un blocco di ghiaccio mentre indossavi quel vestito strappato anni ’20.
D: Penso che a non piacergli fosse il forte odore proveniente dal manto di cane che portavo sulle spalle.

THE CRYING GAME 1992 (?)

Io e Sam abbiamo fatto le comparse nel film The Crying Game. Avremmo dovuto essere dei travestiti “indecifrabili”, confusi sullo sfondo. Mi ero messo un blazer blu scuro con una polo bianca a collo alto, gonna nera a tubo, e i capelli tirati indietro a coda di cavallo. Per il mio debutto in celluloide, non era il vestito che avevo in mente. Era la cosa più lontana ci potesse essere da The Woman e dal glamour hollywoodiano. Ci siamo divertiti durante le riprese. Jayne County fuori dal set ci cantava le canzoni, ed insieme a una dozzina di compagni drag spettegolavamo e sbevazzavamo. Ero elettrizzato, potevo vedere da vicino Miranda Richardson che girava le sue scene. Tutti “imbacuccati” fummo chiamati per una foto di gruppo. Indossai un cappello scarpa e misi su molto trucco. Il regista Neil Jordan (che per tutto il tempo mi aveva guardato in maniera acida, come se mi trovasse repellente) venne da me e mi disse: “Perché hai una scarpa in testa?”
“E tu perché ce le hai ai PIEDI?” gli ho risposto.
Miranda Richardson sapeva cosa stavo facendo. E il fatto è che o lo sai, o non lo sai.