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Viatico (2007-2010) Anno XIII Numero 53 estate 2009



Peppe Manigrasso a Napoli negli anni Settanta

Maria Savarese



Bimestrale d'arte e cultura contemporanea a cura dell'Associazione Culturale


Sommario n. 53
A parte la coincidenza cabalistica: numero 53° di Viatico alla 53ª Biennale di Venezia, l’ultima uscita della rivista (maggio/giugno 2009) offre spunti di riflessione interessanti sull’attualità dell’arte contemporanea con un respiro decisamente internazionale.

A partire dalla Copertina dedicata a Gian Marco Montesano, protagonista indiscusso del Padiglione Italia che, con totale disinvoltura marinettiana, mette in scena una paradossale Storia d’Italia e accosta con piglio provocatorio le ballerine delle Folies Bergère con cupi paesaggi di guerra, di qui il titolo Teatro di Guerra e Teatro di Varietà.

E come tralasciare il Paginone di questo numero che ospita un lavoro inedito e simbolicamente pregnante (Tunisian Triangle) del grande artista americano Philip Taaffe, presente in Italia con un’attesissima personale presso lo Studio d’Arte Raffaelli di Trento, a partire dal 9 giugno fino al 30 settembre.

Ancora, lo Speciale, curato da Maria Savarese, che documenta in maniera puntuale ed esaustiva la scena artistica napoletana degli anni Settanta prendendo le mosse da uno dei protagonisti di quegli anni ovvero Peppe Manigrasso.

Nelle Recensioni il racconto inedito “Miseno” di Erri de Luca, scritto per il catalogo di Vincenzo Aulitto, artista puteolano in mostra a Castel Nuovo -Sala Carlo V- a partire dall'11 giugno, ed altre segnalazioni e recensioni di eventi salienti.

Infine, lo spazio degli Approfondimenti interamente dedicato all'archeologia con un viaggio avventuroso nell'Asia Centrale, seguendo un itinerario nei siti più significativi di quello che fu il grande Impero Kushana, crogiuolo variopinto di identità etiniche e culturali differenti.

La Quarta di Copertina è l'ennesimo omaggio ad un grande artista italiano di recente scomparso, stiamo parlando naturalmente di Paolo Bresciani di cui è disponibile in rete un sito molto accattivante (www.paolobresciani.it).
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Lucio Amelio

...ero felice perché vedevo il mio progetto diventare realtà: riportare Napoli al centro dell’attenzione internazionale per le questioni della cultura moderna…
Lucio Amelio, 1971

Per raccontare il percorso artistico degli anni Settanta di Peppe Manigrasso è inevitabile ripercorrere un momento culturale di Napoli a dir poco straordinario; vuol dire ri – incontrare (come nel mio caso, nata nel 1971) personaggi che hanno creato quell’ ultima vera stagione d’avanguardia, fatta di tensioni, di sogni, di idee, animata da un concreto osare, da un coraggio di realizzare, grazie ai quali Napoli si è potuta porre attivamente e in modo propositivo in un confronto culturale internazionale.
Gli spazi destinati a tale sperimentazione creativa erano luoghi che, per caso oppure no, si trovavano fisicamente quasi tutti concentrati nella stessa zona della città, fra parco Margherita e via Martucci.
Sono Lucio Amelio e la sua Modern Art Agency, Gennaro Vitiello e il suo Teatro Esse, Michele Del Grosso e il Teatro Instabile, Arturo Morfino e il Play Studio, Raffaele Cascone, Vittorio Lucariello e Spazio Libero, Fabio Donato, Mario e Maria Luisa Santella con il loro Teatro Alfred Jarry, Mario Franco, Achille Bonito Oliva, Julian Beck e il Living Theatre, Gianni Pisani, Vincent D’Arista e la Galleria Inesistente, e ancora tanti artisti, musicisti, attori, animatori culturali, che hanno avuto il grande merito di creare, proporre, intessere reti internazionali di scambi, di confronti e d’incontri.

Questo era lo scenario, quando Manigrasso nel 1963 arrivò a Napoli dalla Puglia e s’iscrisse alla facoltà di Architettura con alle spalle alcune esperienze di arte sperimentale condotte anche all’estero e la collaborazione insieme a Franco Sossi nel Gruppo dei 5 di Taranto.
La sua passione e il suo entusiasmo per il fare arte, la sua curiosità intellettuale, fecero sì che entrò in contatto con tutti loro: in primis Amelio che due anni dopo aprirà nel suo appartamento la Modern Art; con Vitiello, con Bonito Oliva, con Mario Santella, con Lucariello, con Morfino lavorando insieme più volte in azioni teatrali, e con Fabio Donato, il quale documentava tutto, in un’accezione tutta personale di documentazione, un’accezione che era essa stessa atto creativo.
Per questo le opere e i documenti di e su Manigrasso esposti in quest’antologica si trasformano inevitabilmente in un capitolo di una storia più grande e, a mio avviso tutta da scrivere, su quella che fu la cultura a Napoli negli anni Settanta.
E non è un caso, quindi, che si è deciso di iniziare con una data, il 1968, anno della sua prima personale da Lucio Amelio, e di concludere con il suo rientro dal Perù, nel 1979, con l’esperienza di Armagheddon insieme a Vittorio Lucariello, che proprio nel suo Libero Teatro, negli anni Ottanta, aprirà una nuova stagione d’idee, di cultura, di fermenti.

L’impaginazione della mostra rende bene l’idea di quella situazione creativa in cui s’iscrive l’arte di Manigrasso nella sua individualità e nel suo rapporto con il contesto: accanto alle sue opere, figurano innanzitutto un nucleo di fotografie dell’Archivio di Fabio Donato, grazie alle quali si “vede” ciò che diversamente non si sarebbe potuto più conoscere.
Si tratta per alcune, di veri e propri documenti visivi, ritratti come come quello di Lucio Amelio o di Carlo Alfano che guardano con compiacimento le opere di Peppe; o di altri che le indossano, come Lina Wertmuller, elegantemente in posa al Festival dei Due Mondi di Spoleto, con addosso una bellissima collana; o ancora di Peppe e i suoi amici Ernesto Tatafiore, Lucio Amelio, Vincent D’Arista, Nino Longobardi, Antonio Dentale, Enzo Cannaviello, che improvvisano, giocano, creano performances e happenings sulle spiagge, o in Villa Comunale, in boschi, o per notturne strade cittadine tipo via Carducci; così come immagini di alcune opere, molte delle quali andate perdute irrimediabilmente, altre invece – come le sue bottiglie - esposte in mostra, grazie alla collaborazione di amici e collezionisti.
Altre foto sono, invece, sguardi del tutto personali di Fabio, sguardi “non obbiettivi”, ad esposizioni diversamente non più rintracciabili come Environment nature sulla spiaggia di Massa Lubrense in un agosto 1968, o Spazi veri alla Modern Art nel novembre dello stesso anno, o ancora quella allo Studio Oggetto di Caserta nel 1970, in cui il suo approccio documentario – come si vede in uno scatto esposto riferito a quella mostra - lascia andare ad una personale interpretazione artistica, laddove Peppe, colto mentre allestisce la sua scultura da terra, sembra quasi che danzando s’inchini alla sua opera, in una sorta di omaggioso tributo all’arte.
Ed è qui la grandezza e la bellezza dell’interazione fra l’arte di Peppe e quella di Fabio: in quel confine sottile, ravvisabile soprattutto nelle performances, dove comincia l’atto creativo dell’uno e quello dell’altro. Il primo “inventa” l’azione, ma Fabio documentando ne suggerisce la modalità di esecuzione, al fine di rendere per immagine il concetto che sottende a quell’idea.

E analogamente per le fotografie dedicate al teatro ed alle esperienze scenografiche: per il Play Studio di Morfino in Made in mater nel 1968, in Play o quasi una danza, l’anno seguente ed in Spazio messo a rumore nel 1970; e ancora per Mario Santella con Fiction poems, nello stesso anno, tutte su versi poetici di Achille Bonito Oliva; ed infine, quelle per Vittorio Lucariello, dove Donato è abile a cogliere in primo piano l’attenzione del pubblico di spalle mentre legge le poesie visive appese alle pareti nude.
E, accanto alle immagini fotografiche in bianco/nero, in una sorta di dialogo visuale, sono circa novanta i lavori di Peppe esposti, realizzati nel corso di quel decennio; quasi tutti pastelli e tempere su carta o cartone dai colori sfumati, tenui ed evocativi.
Opere delicate: pochi segni, o piccoli interventi materici applicati sul supporto, traduzione di un intelligente e ironico riflettere sulla condizione umana nello spazio e nel tempo.
Il suo io, nel suo spazio e nel suo tempo, analizzato a fondo e proiettato all’esterno con irriverenti ed ardite proposte artistiche, come il proprio volto urlante chiuso asfitticamente in piccole bottiglie di vetro, pubblicate nel 1972 su “Marcatre”, rivista bimestrale di cultura contemporanea diretta e coordinata da lui insieme a Nino Massari e Michele Perreira, ed esposta in mostra in uno specifico nucleo di documenti fatto di riviste, testi di poesia visiva, copioni teatrali, locandine, programmi, inviti, che rendono bene quanto intenso fu l’impegno di Peppe come artista e come promotore culturale.
Infine una sezione della mostra è dedicata ad un amico di Peppe: Arturo Morfino, al quale fu legato dalla stessa passione per un’arte innovativa, moderna ed internazionale.

L’Archivio Morfino relativo al Play Studio, centro di ricerche audio visive, è presentato per la prima volta al pubblico grazie al figlio Giorgio: ed è per merito suo che è stato possibile ascoltare, diffusa nelle sale, la musica scritta da Arturo negli anni Settanta, e vedere le straordinarie immagini de la Cantata dei pastori, organizzata dal Play in Galleria Umberto nel 1974, un evento che contò la presenza di migliaia di persone e con cui Morfino, “maestro di sogni”, vide attuato e pienamente realizzato il suo sogno, che era poi quello condiviso da Peppe, da Fabio, e da tutti loro.