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Viatico (2007-2010) Anno XIV Numero 56 marzo-aprile 2010



Terre di Confine

Davide Auricchio

Tre opere inedite di Mimmo di Dio



Bimestrale d'arte e cultura contemporanea a cura dell'Associazione Culturale


Continua Viaggio sulla terra ed Oltre alla ricerca del sé artistico individuale e collettivo. Bollettino di Viaggio n. 56 ricco di novità e altre amenità.

A cominciare da una Copertina impegnata di Isabella Pers, giovane artista italiana che ci parla con eleganza e grande sensibilità del suo lavoro.

Lo Speciale, doveroso omaggio a Lorena Pedemonte Tarodo, con una personale postuma allo Studio Vanna Casati di Bergamo.

Il Paginone ospita tre opere inedite di Mimmo Di Dio, artista casertano che ci propone l’ultimo ciclo pittorico dal titolo significativo “Terre di Confine”: un invito a contemplare la diversità e al dialogo interculturale.

Negli Approfondimenti l’ultima performance di Vanessa Beecroft al mercato Ittico di Napoli, con documenti in esclusiva del Backstage a corredare il testo, come sempre, puntuale e dettagliato a cura del vicedirettore Fabrizio Tramontano.

Infine in Quarta di Copertina una novità assoluta nel panorama della comunicazione artistica sul web, stiamo parlando dell’ultima trovata di Angelo de Falco ovvero Spirito Contemporaneo, inedito quanto originale portale del contemporaneo.
Un numero, questo, decisamente al femminile.
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Terre di Confine, 2010
Mimmo Di Dio
acrilico su tessuto

Terre di Confine, 2010
Mimmo Di Dio
acrilico su tessuto

Terre di Confine, 2010
Mimmo Di Dio
acrilico su tessuto

Terre di confine è un omaggio alla differenza ma anche un invito a riflettere sul principio di identità.
Se è vero, come è vero, che la contrapposizione Oriente-Occidente è una mera astrazione – la storia ci insegna che le grandi migrazioni sono sempre esistite e così gli scambi delle idee e delle merci tra popoli in continuo movimento, che le forme più evolute di sedentarietà e le grandi invenzioni agli albori della civiltà sono state il prodotto di straordinarie confluenze, voglio dire: non è un caso che la scrittura sia nata a Sumer o che le prime organizzazioni proto statali siano “spuntate” nel Vicino Oriente antico – allora urge il bisogno di ridefinire una mappa geografica e culturale spostando per un attimo la prospettiva.
In questo senso, l’invito di Mimmo di Dio si fa perentorio, e già il titolo del suo ultimo ciclo pittorico ce lo suggerisce.
L’artista casertano, attraverso un linguaggio sobrio e di grande sintesi formale , non privo di elementi di sperimentazione – voglio ricordare che tutti i suoi quadri sono dipinti su seta – organizza una narrazione tanto legata al quotidiano quanto fortemente intrisa di valenze sociali, politiche, direi antropologiche.

Un racconto che procede con una tensione costante offerta innanzitutto da questi fondi antracite, che dilatano all’infinito la cognizione spazio-temporale, e in secondo luogo dalla giustapposizione degli elementi che costituiscono la composizione: figure antropomorfe, zoomorfe, vegetali, mezzi di trasporto o semplici architetture.
Penso in primis alla donna con il burka, sorta di icona della differenza e presenza inquietante – ogni giorno le cronache ci restituiscono scampoli di un dibattito accesissimo senza soluzione di continuità – che diventa protagonista di un diario quotidiano fatto di microeventi: leggere, pregare, innaffiare una piantina, sostare davanti l’uscio domestico, tenere un bambino tra le braccia, affollare uno spazio sociale, piangere ad un funerale.
Sembra quasi che questa figura voglia riabilitare la sua immagine, che voglia mostrarci l’assoluta normalità della sua esistenza. Alle volte, tuttavia, la paura aleggia nuovamente: quando veste i panni della Madonna in una improbabile natività con talebano armato fino ai denti o quando citando un quadro di Pier della Francesca si dimena nella disperazione.

In verità, Mimmo di Dio, utilizza intenzionalmente questo simbolo ormai abusato della contemporaneità per svelare una complessità che è tutta insita nell’ambiguità stessa di una figura che cela la sua vera identità.
Se oggi la capacità dei media è stata proprio quella di dirottare il problema dell’ “altro” fuori dai confini della civiltà occidentale –sorta di nuovo modello di barbaro- lo sguardo dell’artista, viceversa, ci propone una visione rovesciata e dunque ci impone di percorrere Territori di confine dove poter rimettere in gioco le nostre conoscenze e i nostri pregiudizi, in una sola parola il nostro immaginario.
Qui, forse, risiede il merito più grande dell’artista: uno sguardo strabico il suo che proietta simultaneamente immagini di segno contrario che se apparentemente paiono annientarsi, di fatto mettono in corto circuito le nostre credenze. Qui, sta anche la capacità eversiva del suo linguaggio che sfugge in tal modo alle logiche di una rappresentazione ovvia e unilaterale ad opera delle società cosiddette “evolute”.

Chiaramente si tratta di una metafora che può adattarsi ad ogni evenienza di pregiudizio e di discriminazione. Voglio dire, le cose non stanno molto diversamente nelle grandi metropoli dell’Occidente, dove persistono ampie aree di degrado civile e culturale - le continue rivolte dei sobborghi parigini, di Los Angeles, senza parlare dei più recenti fatti di via Padova a Milano o di Soverato in Calabria che, non di meno, ne sono triste testimonianza -.
Il discorso, diventa ancora più interessante, se consideriamo gli aspetti formali di questa ricerca, se la guardiamo alla luce di una tradizione squisitamente pittorica. Dicevo, non a caso, di un ciclo pittorico proprio a voler sottolineare la peculiarità del mezzo che, nella fattispecie, pur trattando l’attualità e inserendo elementi tecnici innovativi, riattualizza la questione della “funzione pittorica” proprio nella prospettiva del racconto.
Un racconto questo che, si percepisce immediatamente, procede per piccole metafore visive capaci , comunque, di innescare la riflessione, di porre inequivocabilmente delle domande.

Una fila di interrogazioni intessute – è il caso di dire – nella trama fitta e preziosa della seta, quasi celate, come rimosse.