Viatico (2007-2010) Anno XIII Numero 54 ottobre-novembre 2009
Un serrato quanto puntuale resoconto del Padiglione Italia all’ultima edizione della Biennale di Venezia
A parte le polemiche tendenziose o le provocazioni a mezzo stampa di Luca Beatrice, curatore della mostra insieme a Beatrice Buscaroli, intelligenti e a quanto pare perfettamente riuscite – ad oggi il numero di visitatori è da record - il Padiglione Italia quest’anno offre una panoramica piuttosto ampia e variegata sull’attualità dell’arte italiana.
Basti pensare che, a differenza dell’ultima edizione dove figuravano soltanto Penone e Vezzoli - per carità nessuno vuole mettere in discussione la qualità dell’opera di un Giuseppe Penone - questa volta abbiamo una più nutrita compagine di artisti italiani – sono venti – con un’ età media che oscilla dai quaranta a quarantacinque anni, a dimostrazione del fatto che l’arte italiana non gode di cattiva salute e che la pittura italiana mantiene una qualità elevata e peculiarità perfettamente riconoscibili in un contesto internazionale fortemente globalizzato.
In più, c’è un filo rosso che lega i lavori di questi artisti italiani, come vedremo meglio più avanti, ossia il centenario del Manifesto Futurista di cui non si celebrano nostalgicamente i fasti trascorsi ma l’assoluta attualità di questo movimento il cui impatto sulle teorie e le pratiche dell’arte è ancora lontano dall’esaurirsi.
In ultimo, prima di entrare nel vivo di questo itinerario nell’attualità dell’arte italiana, fa piacere constatare che molti degli artisti invitati – come Matteo Basilé, Valerio Berruti, Sandro Chia, Marco Cingolani, Gian Marco Montesano, Davide Nido, Silvio Wol - sono stati in questi anni presenze fisse su Viatico art magazine e direi infaticabili quanto preziosi compagni di viaggio.
Location e Concept
Il Ministero per i beni e le attività culturali con la PARC - Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanea - guidata da Francesco Prosperetti, e la Fondazione La Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta, hanno realizzato, nell’ambito della 53ª Esposizione Internazionale d’Arte (Venezia, 7 giugno - 22 novembre 2009) diretta da Daniel Birnbaum, il nuovo Padiglione Italia alle Tese delle Vergini dell’Arsenale, in cui è allestita la mostra Collaudi. Omaggio a F.T. Martinetti a cura di Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice.
Il nuovo Padiglione Italia all’Arsenale costituisce una delle principali innovazioni della 53ª Esposizione della Biennale di Venezia. Ingrandito inglobando agli spazi dell’ex Padiglione Italiano un secondo edificio, l’ambiente destinato alla partecipazione italiana passa da 800 mq. a 1.800 mq. di superficie e si affaccia ora anche sull’adiacente Giardino delle Vergini.
Diversi gli elementi alla base della scelta dei curatori Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice. Innanzitutto la logica da cui la scelta stessa è derivata: “Non una semplice selezione di artisti ma una vera e propria mostra, che risponde a un tema specifico, a un concept. Punto di partenza è l'omaggio a Filippo Tommaso Marinetti, che di Collaudi è il nume tutelare. È la vitalità nel presente che ci interessa del Futurismo, prima e unica avanguardia italiana del '900. Un movimento aperto alla coesistenza di tutti i linguaggi, da quelli storici come la pittura e la scultura, alle sperimentazioni del cinema d'artista, della fotografia, della performance, dei materiali anomali. Il nostro sguardo - concludono Beatrice e Buscaroli - si è concentrato soprattutto sulla generazione dei quaranta-quarantacinquenni, arricchendolo con alcune proposte più giovani e con maestri che rappresentano punti di riferimento visivo e culturale”.
“Collaudi”, titolo di un testo letterario fondamentale all’interno della meditazione estetica di Filippo Tommaso Marinetti, è la suggestione con cui, a cento anni dalla nascita del Movimento, si propone un gruppo di artisti italiani, prevalentemente tra i trenta e i cinquant’anni.
L’idea di fondo è quella di restituire al Futurismo il ruolo centrale nella storia dell’arte contemporanea italiana, e rendere omaggio sia al fondatore che ai suoi maggiori protagonisti. Tutti i linguaggi dell’arte contemporanea - pittura, scultura, nuove tecnologie, video, installazioni, performance - hanno avuto origine nel Futurismo: un’origine sia teorica che pratica. Gli artisti sono invitati a meditarne e sviluppare le suggestioni che ancora promanano da un movimento le cui potenzialità, vitalità, possibilità, non possono considerarsi esaurite nel secolo scorso.
Gli artisti e le opere
Il 2009 non è soltanto l’anno del centenario del Futurismo giacché trent’anni or sono nasceva un movimento artistico destinato a lasciare un segno forte nella cultura italiana e non solo, naturalmente stiamo parlando della Transavanguardia, gruppo di cinque pittori e un critico-teorico in cabina di regia, che irrompeva nel panorama dell’arte italiana proclamando il “ritorno alla pittura”.
Pur caratterizzandosi per la produzione di quadri e sculture di impianto decisamente figurativo, questo fenomeno artistico rispondeva ad una ben più ampia e diffusa necessità della società e della cultura italiana di superare la difficile crisi economica e istituzionale degli anni post 1968, i cosiddetti “Anni di Piombo”.
Già nel 1978, Sandro Chia, poi esponente della Transavanguardia e tra i principali fautori del ritorno alla pittura pubblicava un libretto di immagini e poesie significativamente intitolato “Intorno a sé” in cui l’artista fiorentino esponeva i punti fondamentali della sua poetica: recuperare l’uso della pittura, delle tecniche e dei materiali tradizionali, delle immagini, della narratività, della comunicazione diretta dell’arte. Oggi, alla sua quarta Biennale, dopo avervi partecipato nel 1980, 1986 e nel 1988, Sandro Chia pur rimanendo fedele agli intenti programmatici degli inizi, alle figure imponenti dalle masse corpulenti che ricordano le anatomie michelangiolesche, le adatta per l’occasione al registro pittorico futurista creando delle composizioni di vibrante forza cromatica.
Rimanendo nell’ambito della trasversalità dei linguaggi – a quello che lo stesso Achille Bonito Oliva in un saggio del 1979 chiamava nomadismo – è utile ricordare l’esperienza del Nuovo Futurismo, anch’essa prodotto della temperie postmoderna, di cui Marco Lodola è stato protagonista fin dai primi anni ottanta inventando un “segno” inconfondibile basato sull’utilizzo di neon, light box e perspex, realizzando sculture luminose, installazioni all’aperto, maquillage urbani in una visione dell’artista a 360 gradi, sempre in contatto con musicisti, gente dello spettacolo, televisione, industria e design.
In linea con le esperienze degli Ottanta, incontriamo la nuova figurazione degli anni ’90 di cui è capostipite Gian Marco Montesano, impegnato da sempre in una pittura totalmente immersa nel XX secolo, sia sul versante della grande storia che del vissuto quotidiano, in una ricognizione costante delle origini culturali del nostro paese. Apparentemente semplice per le immagini ritratte, la narrazione si rivela molto complessa soprattutto nei temi che vuole sollecitare. La sua pittura è talmente asciutta da uniformarsi allo stile dell’illustrazione popolare e del fumetto o, come in questo caso, al genere della “Pittura di guerra”.
Ulteriori testimonianze di pittura contaminata con altri linguaggi e discipline - a conferma che gli steccati sono ancora oggi difficili da smantellare - sono rappresentate da diverse novità messe in campo da una giovanissima generazione che, soppiantato il concetto di autorialità, fa della serialità e dell’utilizzo tecnologico un punto di forza, così del mix musica-letteratura.
Su questa linea che attraversa tutta la ricerca pittorica dei Novanta si situa il lavoro di Daniele Galliano, interprete di una figurazione metropolitana, molto radicata nella sua città, Torino, di cui predilige le scene notturne. Oggi la sua attenzione si è spostata alla pittura di paesaggio riflettendo sugli spazi incontaminati e la solitudine dell’uomo nella natura.
Stesso discorso vale per Matteo Basilé, già affermato a metà degli anni ‘90 come esponente della “Pittura Digitale”, l’allora ventenne artista romano rivoluziona il concetto di pittura come pezzo unico ottenuto attraverso una manipolazione tecnologica di immagini attinte dalla rete. Di recente la sua ricerca si esprime nell’ambito fotografico, con uno stile spurio e contaminato. Visionario e decadente, da circa un anno alterna lunghi soggiorni a Bali, dove è nato tema nuovo della sua poetica: Oriente e Occidente.
Diversamente, Giacomo Costa compie il percorso inverso: il suo concetto di fotografia risulta avulso da qualsiasi intento realistico piuttosto si caratterizza per un forte pittoricismo, sia nel caso di architetture utopistiche sia nelle serie più recenti dove domina una natura ribelle e minacciosa. Nelle sue fotografie immortala e reinventa la città realizzando architetture apocalittiche, dalla dimensione urbana si sposta al paesaggio, proiettandosi nel futuro, schiudendo scenari inediti e visionari.
Circa l’opera di Luca Pignatelli artista di movimento appartenente a un piccolo gruppo inizialmente definito Officina Milanese le cui fonti iconografiche e teoriche vanno rintracciate nelle Periferie di Sironi, nella letteratura oscura che va da Testori al romanzo di genere di Scerbanenco, nel modernismo architettonico dei BBPR e di Giò Ponti – scrive significativamente Luca Beatrice nel catalogo: “Se la pittura digitale di Matteo Basilé cresce nel contesto romano permeato di neograffitismo, hip hop, Street Art, culture alternative, se la pittura di Daniele Galliano forma un tutt’uno con la Torino degli anni novanta, fondendo il proprio linguaggio con chi in quel tempo sperimentava nella scrittura e nel cinema, inverso è il rapporto tra la poetica di Luca Pignatelli e la sua città, Milano”. Pignatelli in perfetta linea di continuità con le ricerche di Burri, Fontana e Manzoni unisce una pittura emotiva e personalissima con l’utilizzo di materiali anomali, in particolare sacchi di juta al posto delle tele.
Rimanendo in ambito meneghino non possiamo tralasciare una figura ricca di personalità e di storia come quella di Marco Cingolani, appartenente alla microgenerazione di artisti che lavoravano a Milano nella seconda metà degli anni ottanta, conosciuti con la mostra “Una scena emergente” al Museo Pecci di Prato (1991). Cingolani, anche in questa occasione ci mostra le sue doti di cantastorie moderno che prende spunto dalla cronaca nera o dalla Bibbia, frequente è infatti il richiamo al tema sacro in queste grandi tele di vibrante forza cromatica.
Discorso differente per i Bertozzi&Casoni, ideatori di un nuovo modo di fare ceramica in cui immagini e icone della cultura pop e mediatica si mescolano alla tecnica antica. Inventando la “fotoceramica”, lavorano sul filo del kitsch, della tradizione e della tecnologia; un mondo grottesco, arcimboldesco, fatto di favole con animali e oggetti della società contemporanea.
In controtendenza con il proliferare del cosiddetto “International Style”, e forse conseguente al fallimento del miraggio globalizzazione tout court, l’arte degli anni Zero riscopre, anche in Italia, il rapporto con la preziosità dei materiali, il fascino delle tecniche artigiane, tra recupero di una tradizione popolare e la futuribilità utopistica del design di punta. Analogamente, la scultura lignea, risalente all’epoca pre-rinascimentale e oggi persistente nella tradizione artigiana di alcune valli altoatesine, ad esempio la Val Gardena, ritorna in auge con la sua ricchissima tradizione.
Può sembrare, dunque, una scommessa quella di Aron Demetz il farsi carico di questo peso storico che non può esulare dal localismo e dalla tipicità. Eppure sta proprio qui la scommessa: infondere alla scultura figurativa una profondità spirituale che non può essere relegata al puro impatto visivo.
Nel fondersi e confondersi degli stili, come abbiamo visto tipici dell’arte degli anni 2000, sempre più la pittura invade lo spazio talora aspirando all’installazione. È questo il metodo prescelto da Manfredi Bennati, fine pittore dalla sviluppata attitudine alla relazione con l’ambiente. Riacquistano, dunque, diritto di cittadinanza quelle soluzioni formali in buona parte abbandonate dalla Transavanguardia in poi, si fa riferimento all’Iperrealismo, tornato in voga negli Stati Uniti e all’Astrazione, da tempo sacrificata a beneficio dell’immagine.
Ma, se concepire un Iperrealismo attuale non è semplice, soprattutto in un paese che ha visto negli anni Ottanta un certo interesse per il neo-Manierismo e la citazione dall’antico,Nicola Verlato non si fa scrupoli nell’unire la pittura accademica al virtuosismo dei cartoonist, la deformazione del reale ai rendering animati del 3D, sino ad avvolgere lo spazio in una progettualità complessa e articolata, dove sovvertire i concetti di tempo, illudere lo spettatore per poi disarcionarlo e metterne in crisi, una volta di più, la sua capacità percettiva.
Pittore astratto, scrittore, saggista, Roberto Floreali ha un forte legame con la realtà anche se non la rappresenta direttamente. Espressione di un’idea modernista che affonda le radici nel Futurismo, i suoi lavori dimostrano come sia possibile ancor oggi fare una “rivoluzione culturale” attraverso il linguaggio pittorico. Quanto all’Astrattismo contemporaneo, esso conserva ben pochi rapporti con la nozione teorica dell’avanguardia storica, e risente invece della fluidità e della liquidità delle visioni del terzo millennio. Per Roberto Floreali il quadro non è che uno tra i possibili elementi atti a innescare un dibattito culturale a più ampio raggio.
Il giovane pittore astratto Davide Nido, invece, si distingue per il suo marchio stilistico basato sull’utilizzo di materiali anomali come la colla termofusibile che applica alla tela attraverso minuziose colature cromatiche. È un processo di non-pittura in cui la materia è regolata per intensità e contrasti cromatici, nuova Process Painting che annovera tra i suoi riferimenti, più che gli inglesi anni Ottanta tipo Davenport o Innes, gli italianissimi Turcato, Festa e Boetti, ovvero quella linea italiana di riflessione sulla pittura dopo la crisi. Nido è, per così dire, pittore senza dipingere giacché le sue composizioni originano dalla ripetizione meccanica, da una gestualità minima, spogliata da qualsiasi enfasi soggettiva.
Silvio Wolf, artista multimediale attivo fin dai primi anni ‘80, lavora con vari linguaggi, da installazioni site specific molto complesse alla fotografia rielaborata. In particolare riflette sul rapporto tra la luce e il suono, che indaga e ricerca creando impianti di grande suggestione. Dopotutto, anche nel video gli anni 2000 hanno indicato il superamento di quell’estetica del quotidiano che da una parte “rivoluzionò” la grammatica del mezzo negli anni Novanta offrendo di fatto la possibilità a chiunque di misurarsi con un linguaggio privo di regole, dall’altra forzò i limiti giustificando eccessi di dilettantismo e soluzioni noiose. Anche in questa occasione Silvio Wolf mostra tutto il suo talento visionario e misuratissimo, sicuramente tra gli autori più significativi tra quelli che si misurano con un’idea, seppur ibrida, di cinema.
Torna, dunque, una certa esigenza di opere spettacolari, seducenti e narrative. Per “inchiodare” lo spettatore dentro una stanza buia è necessario gli si racconti qualcosa, una storia, che vengano trasmesse emozioni, che si tratti di un breve frammento, concepito come il trailer di un film ipotetico – è il caso ad esempio della poetica emotiva di Elisa Sighicelli. D'altronde già dai suoi primi lightbox retroilluminati l'artista metteva in risalto attraverso una luce intima e soffocata angoli nascosti e privati. Negli ultimi lavori ha sviluppato una maggiore attenzione al rapporto tra l’uomo e l’architettura, recentemente è passata alla realizzazione di videoproiezioni.
MASBEDO, duo milanese formato da Jacopo Bedogni e Nicolò Masazza, interpreta in chiave spettacolare il concetto stesso di video art. D’impianto sofisticato e narrativo, altamente tecnologico, il loro lavoro trae ispirazione da fonti letterarie, cinematografiche – frequente la presenza di attori professionisti – e da temi della vita reale. Celebri le loro collaborazioni con lo scrittore francese Michel Houellebecq, con i gruppi italiani Bluvertigo e Marlene Kuntz. Particolarissima è la scrittura, assai curato l’editing, il taglio delle riprese, il montaggio. Li avvolge un’atmosfera romantica, esaltazione di quel sentimento di deriva ormai connaturato alla società occidentale.
Se già nel lontano ‘79 Achille Bonito Oliva, definendo i caratteri della Transavanguardia, indicò la figura dell’artista sospesa tra tragico e comico, ancora oggi nell’oscillazione tra questi due opposti continua a giocarsi il destino del creativo italiano. Così, Nicola Bolla indaga in chiave contemporanea il tema della vanitas, dove al lusso e alla preziosità della materia si oppone la caducità delle cose. Le sue sculture - oggetti e installazioni – sono composte interamente di cristalli Swarowski e suggeriscono un’atmosfera romantica. Tutto il lavoro di Nicola Bolla è una puntuale quanto ossessiva celebrazione dell' “inutile”, della vanità e del fatuo.
Ma, anche la scultura-performance di Sissi ha qualcosa di residuale: non c’è più enfasi, ogni gesto parte dalla misura del proprio corpo che si espande nello spazio, attaccandosi alle cose, rinvigorendosi nel contatto. Restiamo a teatro, ipnotizzati dalla bellezza, provando nostalgia, qualcuno ha annunciato la fine, non si sa se e quando accadrà. Fondato sull’interazione tra installazione e performance, il lavoro di Sissi utilizza materiali grezzi, come corde, lana, plastiche e ferro, che annoda e intreccia come a voler concretizzare la scia di un corpo in movimento; è spesso lei stessa a essere parte delle sue realizzazioni plasmate sul suo corpo.
Ed infine, eccoci arrivati a Valerio Berruti, il più giovane artista invitato a Collaudi che inscena un delizioso disegno animato ispirato alla parabola di Isacco, protagonista una bimba che sale e scende da una sedia. E forse è proprio questa l’immagine più rappresentativa del Padiglione Italia 2009. Come ha scritto qualcuno “Un’immagine che sa di domani, che sa di futuro. Il pianoforte di Paolo Conte, intanto, regala il surplus di emozioni ricordandoci quante storie ancora abbiamo da raccontare”.
PADIGLIONE ITALIA
Collaudi. Omaggio a F. T. Marinetti
a cura di Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli
Tese delle Vergini all’Arsenale
Venezia 7 giugno – 22 novembre 2009