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cura.magazine Anno 3 Numero 8 primavera-estate 2011



Parlare con i muri

Marianne Zamecznik

Momentum - 6th Nordic Biennial



Free press trimestrale dedicato ai temi dell'arte e della cultura contemporanea


SOMMARIO cura #08
spring/summer 2011

AROUND THE WORLD

Ritratti nello spazio espositivo – Willem Sandberg
lorenzo Benedetti

Parlare con i muri. Momentum
6th Nordic Biennial, June – October 2011

marianne zamecznik

Free Speech
raimar stange

London’s East End: migrazione economica e culturale
In conversazione con Paul Sakoilsky
mike watson

PSJM. Quando il marchio fa l’opera
josé luis corazón ardura

TALKING ABOUT
Estetiche del clima
elena giulia rossi

NOW
Rileggere il classico
francesca cavallo

FOCUS
Gregor Schneider
Dieci anni dopo
ulrich loock

ANDROID®
Berlin – Paris
riccardo previdi

LAB
FEDERICO PEPE
I Am Wasting My Time
andrea lissoni

SPOTLIGHT
Intervista con Per-Oskar Leu
peter j. amdam

LAB
SALVATORE ARANCIO
Fargo, North Dakota
caterina riva

ALESSANDRO PIANGIAMORE
Landscape Piece #6
salvatore bellavia

STORYTELLING
Macchine celibi
benedetta di loreto

FASHION CURATING
Intervista con Barbara Franchin
dobrila denegri

FOOD
Lucy + Jorge Orta. “Nobody Can Change the World With
a Meal, but Each Meal Changes the World”
costanza paissan

BOOKS
The Encyclopedia of Fictional Artists
orsola mileti
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Model of Monika Sosnowska’s exhibition design for The Promises of the Past, 1950–2010: A Discontinuous History of Art in Former Eastern Europe
, Centre Pompidou, Paris, 2010

Concept model of exhibition architecture for Momentum Kunsthall by Øystein Aasan

Exhibition design by Stanislaw Zamecznik for the exhibition of Polish posters at Central Art Exhibition Bureau Zach´ta, Warszawa, 1961

“Abbiamo allestito una sequenza di eventi fatti per essere percepiti nel tempo, lungo un percorso predefinito. Il percorso guida gli spettatori attraverso un costante confronto di forme e colori; quelli già immagazzinati nella memoria e quelli che si presentano via via”. (Wojciech Fangor e Stanislaw Zamecznik)(1)

Mi sembra giusto sottolineare che nel momento in cui scrivo il progetto è ancora in progress. Inoltre sono parte di un team di cinque curatori e il mio ruolo, oltre alla mansione propriamente curatoriale, consiste nello sviluppo della cornice concettuale dell’exhibition design insieme all’artista, ora di base a Berlino, Øystein Aasan. All’insieme del gruppo spettano le decisioni finali sull’allestimento e le sue implicazioni concettuali, ma qui, le idee condivise si fondono con personali riflessioni sui principali aspetti del concept per l’exhibition design di Momentum 2011. Essendo in cinque, l’idea di un allestimento totalizzante offre un senso di coerenza, altrimenti difficile da ottenere, lavorando in gruppo. Ulteriore sfida è individuare un concept comune alle due sedi coinvolte. La sede più grande è una ex fabbrica, con tre grandi spazi industriali e una zona reception. La seconda, la F15, è una villa splendidamente collocata nel paesaggio, circondata da un giardino barocco e da foreste e campi protetti. La F15 è stata lasciata com’era, eliminando gli elementi estranei installati nel corso degli anni a scopi espositivi, per esempio pannelli dipinti, in modo da esaltare l’architettura originale. Qui intendo concentrarmi sul concept ideato per l’altro spazio, la Momentum Kunsthall.

UN’ESPERIENZA SINGOLARE
Per gli spazi espositivi della Momentum Kunsthall è stata immaginata una cornice concettuale che coinvolga direttamente l’esperienza dello spettatore. L’idea di fondo è movimentare l’attimo presente, “analizzare, forzare e animare l’esperienza del tempo sospeso, in movimento e a ritroso, ripudiando ogni idea di collocazione al di là del continuum temporale, al fine di evocare concetti di luogo, immaginazione e memoria”(2). Theodor Adorno descrive il momento del concepimento dell’opera d’arte come un istante vitale per la sua comprensione. Il particolare momento in cui il lavoro emerge alla vita determina la sua presenza fisica. Questo ‘momento pregnante’ crea una situazione in cui lo spettatore e il lavoro vengono ‘condensati’ e messi in risalto.

“Ogni testo è una macchina pigra che chiede al lettore di fare parte del proprio lavoro”. (Umberto Eco)(3)

La struttura espositiva della Momentum Kunsthall è stata concepita composta di moduli con pareti a forma di X che formano circa venticinque camere quadrangolari comunicanti. Ogni stanza espone il lavoro di un singolo artista e lo spettatore deve muoversi da una all’altra per osservare tutti i lavori in mostra. Potendo vedere solo un lavoro alla volta, la produzione di senso è generata per gradi. La sequenza di stanze forma un percorso o una serie di percorsi possibili che lo spettatore è libero di seguire. Gli allestimenti nei tre spazi della Kunsthall sono pensati per essere il più possibile uniformi, il sistema quanto più rigido possibile, le luci dello stesso tipo in tutto l’edificio; la quantità, la disposizione o l’angolazione possono variare, ma la temperatura della luce è ovunque la stessa. L’uniformità della Kunsthall è tesa a creare un’esperienza disorientante dove lo spettatore non sa mai di preciso dove si trova in un dato momento.

“Sembra che ormai sia impossibile sperimentare una cosa senza prima esserne alienati. Anzi, l’alienazione sembrerebbe ormai rappresentare un necessario preludio all’esperienza”. (Brian O’Doherty)(4)

Lo spettatore è incoraggiato a dimenticare per un istante il mondo esterno, a fluttuare attraverso gli spazi seguendo la sua arbitraria traiettoria personale. La successione di stanze e di opere, la disposizione dei lavori nello spazio è determinata dal progetto curatoriale. La mostra presenta alcuni lavori che producono senso anche se isolati e collocati a distanza gli uni dagli altri, e altri che hanno bisogno di confrontarsi e sovrapporsi, e vengono quindi sistemati in stanze adiacenti. La sequenza in ogni caso non dovrebbe semplicemente scomporsi in una progressione narrativa di immagini. La singolarità dell’esperienza di ogni lavoro è esaltata dall’aggiunta di una pianta per ogni spazio, destinata a rappresentare il lavoro in mostra. La pianta raffigura lo specifico modello strutturale del lavoro cui si riferisce. La rappresentazione è tradotta in un numero limitato di categorie, visualizzate attraverso una varietà altrettanto limitata di piante selezionate in modo da imitare al meglio la struttura intrinseca di ogni lavoro, a partire dalla struttura semantica e topologica, dai nessi teorici e così via. La traduzione della categoria in una pianta è operata da un biologo, sulla base di una conoscenza approfondita di ogni lavoro. Le piante possono essere usate come uno strumento per mettere a fuoco la correlazione e interconnessione tra i lavori in termini del loro linguaggio, o, per così dire, del loro spirito, oppure semplicemente costituire una decorazione senza significati, o un elemento ritmico che percorre gli spazi.

APPROCCIO SCULTOREO VS. ARCHITETTONICO
Si vuole azzerare l’idea di funzione allo scopo di evocare uno stato di sospensione temporale nell’architettura della Momentum Kunsthall. Per definire una possibile via di fuga dalla funzione e dall’utilitarismo dei parametri architettonici, ci siamo ispirati all’allestimento di Monika Sosnowska per il Centre Pompidou, un lavoro che richiama l’esperienza fisica della scultura più che la funzionalità dell’architettura(5). Il progetto prevedeva una serie di pareti libere che percorrevano a zigzag l’architettura del Pompidou. I lavori, a parte qualche installazione video, erano disposti dentro vetrine o a parete lungo questi pannelli, che andavano a creare un unico lungo muro. Questa impostazione consentiva una visione seriale perfettamente coreografata dei lavori, creando spazi, angoli e punti di vista inattesi. Il fatto che Sosnowska sia un’artista apprezzata per le sue installazioni architettoniche probabilmente incoraggia questa interpretazione, ma l’effetto, in realtà, è che la sua architettura si trasforma in qualcosa di diverso, e cioè in scultura. E questo slittamento da una all’altra, secondo l’artista Richard Serra, sta cambiando tutti i parametri: “Come posso definire e dividere lo spazio? Come si organizza uno spazio in termini di volumi? Come si articola uno spazio? Come si trasforma uno spazio in un problema scultoreo invece che architettonico? L’approccio scultoreo ha a cuore l’inventiva della forma in sé e per sé. L’approccio architettonico tiene conto delle esigenze in termini di funzionalità. [...] L’arte è inutile, e tale vuole essere. Non che sia priva di una funzione in termini di motivazione o lettura esperienziale, ma di certo non possiede una funzione utilitaristica. Da questo punto di vista è inutile. Possiede una funzione in termini espressivi, emozionali ed esperienziali, ma niente a che vedere con la funzione premeditata dell’architettura”(6). Anche se l’allestimento architettonico della Momentum Kunsthall non mira a porsi su un piano scultoreo, lo schema del labirinto di cubi bianchi ha sollevato alcune riflessioni sull’esperienza dello spazio da parte dello spettatore.

SPAZI DENSI
Per descrivere gli spazi del labirinto dei white cube della Momentum Kunsthall potremmo usare la parola “tattile”. Il termine indica la possibilità di prolungarsi psicologicamente nello spazio o prolungare nello spazio la sensazione del tatto, in modo che lo spazio vuoto diventi palpabile quanto una materia o una forma. Lo spazio negativo diventa psicologicamente carico, denso, tanto che si potrebbe davvero sentirne la presenza al tatto. È un’esperienza che si può vivere davanti a un certo tipo di architettura, per esempio la cappella di Notre Dame du Haut di Le Corbusier a Ronchamp, e ad alcuni lavori artistici, come How It Is di Miroslaw Balka, realizzato per la Unilever Series alla Tate Modern nel 2009. Semplificando, è la differenza tra come ci si sente in una cabina telefonica e in uno stadio. C’è un modo di controllare questa differenza in termini di reazione psicologica, che comporta il bisogno di allungare la mano, toccare e sperimentare quello spazio. I cubi bianchi, che si attraversano in diagonale, variano in dimensioni da tre metri per tre a sei per sei. È una dimensione abbastanza piccola da avvolgerti, dandoti una chiara sensazione delle pareti che ti circondano. Quando entri, ti trovi in uno spazio determinato; non puoi evitarne la superficie. La parola “tattile” emerge non solo in rapporto al white cube, ma anche al modo in cui le pareti bianche mediano la palpabilità, l’aspetto tattile dello spazio. Lo spazio è percepito come se fosse denso, come se si potesse toccare e influenza fisicamente lo spettatore: lo coinvolge e diventa sostanza. Ci sono pochissime mostre in cui lo spazio diventa un elemento caratterizzante, in cui lo spazio non è soltanto un volume ritagliato dalle pareti, ma un volume che connota il contenuto, l’esperienza del contenuto come spazio.

L’ESPERIENZA SOGGETTIVA
Dal momento che l’allestimento della Momentum Kunsthall è orientato così esplicitamente verso l’esperienza dello spettatore, la domanda è: “Chi è questo spettatore, altrimenti detto fruitore, a volte chiamato osservatore?”(7) Nel suo ironico saggio The Eye and the Spectator, Brian O’Doherty distingue due tipi diversi di fruitori. “Lo spettatore sembra sempre un po’ tonto; non ha nulla a che fare con me e con voi. In perenne stato di allarme, va brancolando a piazzarsi davanti a ogni nuovo lavoro che richieda la sua presenza. Questo compiacente figurante è pronto a mettere in pratica le nostre speculazioni più fantasiose. Le esamina con pazienza e non si irrita se gli imponiamo istruzioni o reazioni. [...] Non solo si alza e si siede a comando; arriva a sdraiarsi e persino a strisciare sotto le estreme vessazioni del modernismo. Immerso nel buio, privato di indizi sensoriali, abbagliato da luci stroboscopiche, spesso vede la sua stessa immagine sminuzzata e riciclata da una varietà di media”(8). L’occhio sembra avere un ruolo più privilegiato nel copione di O’Doherty: “È un organo molto sensibile, addirittura nobile, superiore allo spettatore dal punto di vista sia estetico sia sociale. […] L’occhio è un conoscente permaloso con cui bisogna mantenere buoni rapporti. Viene spesso interrogato con un certo nervosismo, e le sue reazioni sono accolte con rispetto. Bisogna pazientare mentre lui osserva – essendo l’osservazione la sua funzione specializzata”. Anche l’occhio, però, ha i suoi limiti. “Non sempre prevedibile, ha una certa tendenza a mentire. Ha qualche difficoltà con il contenuto, l’ultima cosa che gli importa di vedere. È una frana quando si tratta di vedere taxi, sanitari, ragazze, risultati sportivi. Eppure, è talmente specializzato che può finire per guardare sé stesso. E di certo non ha rivali nel guardare un certo tipo di arte”(9). In realtà, l’occhio e lo spettatore collaborano all’esperienza della visione; per la raccolta di informazioni, l’occhio è in tutto e per tutto dipendente dal corpo dello spettatore, e nel processo acquisisce qualche informazione fisica supplementare, come la suddetta sensazione di spazio, distanza, gravità e via dicendo. “C’è un denso traffico in entrambe le direzioni su questa autostrada sensoriale – tra la sensazione concettualizzata e il concetto attualizzato”(10). Nel labirinto della Kunsthall, l’osservatore diventa il soggetto della propria esperienza. Una volta entrato nella stanza, è lui a diventare l’oggetto, con la sua esperienza: dove va, dove vuole andare. Può pensare che il lavoro lo stia attirando o coinvolgendo nella sua esperienza o nel suo spazio, ma l’ultima parola spetta a lui. È libero di avvicinarsi, di uscire, di passare a un altro lavoro. Una volta nella stanza, è dentro al volume di questi lavori. I lavori possono spingerlo a saltare da uno all’altro o suggerire un movimento continuo – in ogni caso, l’oggetto dell’esperienza è lui.

Gli altri curatori di Momentum 2011 – 6th Nordic Biennial sono Markus Thor Andresson, Christian Skovbjerg Jensen, Theodor Ringborg, Aura Seikkula. La biennale si svolge a Moss, in Norvegia, dal 18 giugno al 2 ottobre 2011.


NOTE
1. Estratto dalla presentazione di Wojciech Fangor e Stanislaw Zamecznik della mostra The Color of Space allo Stedeljik Museum, Amsterdam 1959.
2. Estratto dallo statement curatoriale per Momentum 2011 – 6th Nordic Biennial.
3. Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Bompiani, Milano 1994.
4. Brian O’Doherty, Inside the White Cube, University of California Press, 1986.
5. Monika Sosnowska ha curato l’allestimento per The Promises of the Past, 1950–2010: A Discontinuous History of Art in Former Eastern Europe al Centre Pompidou di Parigi nel 2010.
6. Charlie Rose, A Conversation with Artist Richard Serra, trasmessa il 5 giugno 2007.
7. Brian O’Doherty, Inside the White Cube, op. cit.
8. Ibid.
9. Ibid.
10. Ibid.