AI MAGAZINE Anno 6 Numero 59 ottobre-dicembre 2012
Improvvisamente una finestra si rompe. La deflagrazione ci perviene in modo ovattato eppure siamo colpiti dal suono cristallino delle mille schegge di vetro che sbattono l’una sull’altra veicolate dall’onda d’urto. Questo a volte è sufficiente per farci tornare alla realtà, sono momenti simili quelli in cui di solito si passa dalla sospensione della dimensione onirica a quella più grigia, pesante di gravità e spesso anche più inospitale che ci accompagna durante le ore di veglia. E lo spostamento d’aria innescato dall’esplosione lo sentiamo ancora tutto sulla nostra pelle, come un vento distruttivo, è qualcosa che ci portiamo dietro dal mondo ineffabile che abbiamo appena abbandonato, similmente al momento in cui, dopo essere usciti dal mare, portiamo ancora su di noi il suo sale. Questa è una delle sensazioni che ci invadono e ci imprigionano alla vista delle opere di Jamie Baldridge.
L’artista ricrea un universo intimo e personale, assolutamente criptico e codificato, un mondo che appartiene e affonda interamente le radici nel sogno e nell’inconscio. Ogni legge razionale è bandita se non la logica dell’anima che segue percorsi e ragioni a lei solo conosciuti e dove nessun tipo di criterio ha motivo d’essere. I desideri, le rabbie, le speranze si condensano in oggetti-simbolo che racchiudono in loro ricordi dell’infanzia e fotografie mentali di quell’età che costruisce la nostra ossatura, la nostra vera colonna vertebrale. Ogni particolare che Baldridge mette in scena è essenziale alla sua sibillina funzionalità, niente è là per caso, tutto viene studiato, quasi vivisezionato. Personaggi che sono la scena di se stessi, con la mente incorniciata nella tela dei propri pensieri, sono concentrati ad osservare con attento interesse l’oggetto-arcano che poggia su di un tavolo, uno spugnoso sasso che àncorano ad una realtà tanto lontana dal luogo che occupano da essere solo un remoto passato studiato come un reperto archeologico, con tanto di cartellino esplicativo, quasi fosse un indizio, una prova di un laboratorio di criminologia. E tutto intorno scheletrici disegni di insetti sono appesi alle pareti come foto segnaletiche. È forse l’indagine la chiave di lettura più plausibile che possiamo ritrovare nei suoi lavori, come se gli attori delle sue visioni volessero investigare dall’interno la loro stessa essenza. Un uomo seduto a un tavolino ascolta e immagazzina, archiviandoli su di un impensabile strumento-telegrafico, i cinguettii silenziosi di volatili in gabbiette, quasi che quelle melodie possano condurlo alla risposta universale, alla conoscenza in se per sé. È bene però che troppa tracotanza sia punita, come l’uomo chino ad osservare il movimento di un planetario. Le frecce lo colpiscono alla schiena eppure egli sembra non accorgersene e continua, come un ligio impiegato, ad eseguire la procedura, probabilmente appuntata sul foglietto stretto fra le mani dietro la schiena. E poi l’uomo che, con invidiabile determinazione, inchioda la sua mano con chiodi da nove centimetri seguendo la guida di una strana enciclopedia di medicina orientale, forse ipotizzando che la mano, collegata alla mente, sia in grado di far luce su quelle che sembrano camere dei ricordi in cui spera di ritrovare un amore perduto o una vacanza dispersa, affondata nel mare di una vita terrena.
Decriptare tali immagini è non solo un’appagante avventura estetica, ma anche un viaggio nelle strutture intime di tutti noi, in quei luoghi in cui si innesca il grande marchingegno che è l’anima, regina in trono servita dall’emozione e il sentimento. Il carburante/nutrimento è l’esperienza che verniciata e truccata di ricordo sedimenta se stessa nell’humus del nostro ignoto. I nostri sogni, una volta aperti gli occhi, si nascondano alla nostra mente, si rifugiano nella loro ombra e tengono gelosamente stretto a se il proprio segreto.
Baldridge compone, scompone e poi ricompone, destruttura in immagini ciò che germoglia nei nostri cassetti interiori. Prendendo a piene mani dagli archivi onirici resuscita figure e stanze meravigliosamente cariche di simboli, cristallizzate come su di un vetrino da laboratorio. A differenza dei nostri sogni opachi, nebulosi e sfuggenti dalla nostra comprensione, le sue immagini sono nitide, luminose, precise fin nei minimi particolari. L’artista nasce nel 1975 in un piccolo paesino del profondo sud degli Stati Uniti, ha un’infanzia coltivata stancamente all’ombra del cattolicesimo e dopo aver studiato teologia e scrittura creativa alla Louisiana State University, si diploma in Fotografia e per un po’ fa i più svariati lavori nell’ambito fotografico; ora insegna alla University of Louisiana a Lafayette. Le sue opere e gli scritti sono reperibili presso diverse gallerie e collezioni sia pubbliche che private. Il suo primo libro intitolato The Everywhere Chronicles è stato pubblicato nel 2008.