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AI MAGAZINE Anno 7 Numero 60 inverno 2013



Il paradiso perduto dell'arte

Gian Ruggero Manzoni



a photography and CONTEMPORARY cultures’ mag.


SOMMARIO N.60 /Winter 2013

PART 1

8 Arancio Ruggine e Forma. Sull’astrologia color arancio di Marco Pesatori
9 L’Editoriale. Forme di percezione di Alessandra Morini
10 Cover story. Ensemble protagonista e visionario di Marianna Perazzini (E)
11 Il Senso dell’Arte. Il Paradiso perduto dell’Artedi Gian Ruggero Manzoni (E)
12 Sguardi. La passione prende forma di Marianna Perazzini
13 Face to face. A colloquio con Massimiliano Gioni di Gaia Conti
14 Questionnaire. Il percorso artistico di Marco Lami di Paola Pini
15 Archivi contemporanei. La forma fluida del tempo che scorre di Giacomo Belloni
16 Obiettivi. Le sfumature fotografiche di Borghesan di Nicola Bustreo (E)
17 German connection. Anna Möller senza mezze misure di Giacomo Croci
18 Exhibition story. Tendenze di fotografia post Jugoslavia di Greta Marinetti
Andres Serrano, Piss Christ, 1987
19 Art’s story. Forma alla natura di Michele De Luca
Photo project. Edward Weston in Italia di Giovanna Brown
20 Short story. Ieri con Fabio Imperiale di Roberta Zanutto
21 Identikit. Ludmilla Radchenko, Pop Art Lover di Greta Marinetti
22 Art project. ZegnArt, fare impresa con Arte di Roberta Biani
Exhibition. Riscrivere la natura di Camilla Medda
23 Viaggio in Italia. Epifanie di Chiara Vecchio Nepita
Storia d’Arte. La bella Principessa ritrovata di Bianca Maria Zini (E)
24 Events. Mondi Possibili – Re-inventing the city di Maria Siva
La stampa olandese protagonista del Premio Nazionale Fedrigoni
25 Camera Oscura. Flash di Nicola Bustreo
Incursioni. I Dieci Comandamenti a Udine di Valentina Majer
26 Fine works. Arte Performativa in Laguna di Silvia Bianchi
28 Portfolio dell’Arte. Dopo de Chirico. La pittura Metafisica italiana contemporanea
31 Portfolio dell’Arte. Struggimento malinconia trascendenza di Gerd Linder
32 Portfolio dell’Arte. Il segreto dei segreti. I tarocchi Sola Busca e la cultura ermetico-alchemica
36 Put on the agenda. Events planner di Tina Caffè

PART 2
37 Globetrotter. Marsiglia capitale europea della cultura 2013 di Matteo Conti
Jap report. Chi ha spento la musica nelle discoteche? di Isabella Dionisio
38 Design d’intenti. Marc Newson: l’artista attraverso gli oggetti di Adele Rossi
Objects. Designed in China di Ilaria Sartori
39 Forme 3D. Ur-former Metamorfosi edilizie di Adele Rossi
40 Orizzonti architettonici. Vivere l’architettura di Alessandro Antonioni
41 Parola d’architetto. Un aeroporto da (archi) star di Francesco Sclavi
Idee. Tam Tam: la scuola che non c’era di Max Soave
42 Cultura del fare. Il concetto è la nuova forma di Benedetta Alessi e Maurizio Scalera
43 Motori ruggenti. The rétro way- sapore da auto sportiva, odore di classe di Luigi Farresin
Gold life. Qatar piglia tutto di Sarah Vincent
44 Must have. Fotografia senza specchi di Andrea Tessadori
Bianco rosso verde. La tv italiana? Un pezzo di design di Monica Fior
45 Nice philosophy. Corpo e anima di Alessandro Di Caro
46 Point of view. Cambiamo la forma dell’acqua di Marco Bonfiglioli
Conscious. Basta col porno. Ridateci l’eros! di Valerio Marconi
47 Lo sapevate che. Perdersi tra le forme e colori di Luca Magnanelli Weitensfelder
48 Re-think. I protocolli dei Savi di Sion: un labirinto dialettico di Giacomo Maria Prati
49 Pellicole. The Conspirator: le due facce dell’America di Marco Apolloni
50 I have a dream. Sinergia, Sinergetica… Sine Malo di Christian Leoni
51 Iperdesign. Andy Martin Superstar. Thonet Concept Bike di Ilaria Sartori
Diamond lifestyle. Basilea, la città del lusso di Gardenia Costantini
52 Buy the book. Storie perfide di Maria Stefania Gelsomini
Officina Emilia: le idee prendono forma di Margherita Bai
Il cavallino e il tridente di Margherita Bai
53 Buy the book. Fotografare volando di Achille Olivieri
Semplici pensieri di Luca B. di Marta Franchini
Art Now! Vol. 4 di Filippo Guerriero
54 Buy the book. Il segno artistico di Mauro Negri: Ink, needles and passion di Claudia Rossi

PART 3
55 English texts by Susan Charlton
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Paul Gauguin
Il cavallo bianco, 1898, olio su tela, 140 x 91,5 cm.
Courtesy of Musée d'Orsay, Parigi e Gérard Blot

Paul Gauguin
Mata Mua, 1892, olio su tela, 91 x 68 cm.
Courtesy of Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

Paul Gauguin,
Arearea, 1892, olio su tela, 75 x 94 cm
Courtesy of Musée d'Orsay, Parigi e Gérard Blot

Nella primavera del 1891 Paul Gauguin s’imbarcò su una nave elegante e confortevole, chiamata Océanien, diretta verso quelle isole dell’Oceano Pacifico, lontane colonie della Francia.
Egli scrisse: “Parto per starmene tranquillo, libero dalla civiltà. Voglio fare dell’arte semplice, molto semplice; per questo ho bisogno di ritrovare le mie forze a contatto con la natura ancora vergine, di vedere solo selvaggi e vivere la loro vita, senz’altra preoccupazione che tradurre con la semplicità di un bambino le fantasie della mente con gli unici mezzi veri ed efficaci: quelli dell’arte primitiva”.

Qualche anno prima aveva scritto: “L’Occidente è marcio […] Chi è come Anteo può trovare nuovi punti di forza che viaggiano verso luoghi incontaminati. Così per tornare uno o due anni dopo, più solido”.
Giunto a Papeete-Tahiti, Gauguin presto si rese conto che il paradiso che aveva vagheggiato era già stato ucciso dai molti anni di colonizzazione europea, tuttavia ancora persisteva, in certi villaggi sperduti di quelle “indie”, una parte importante della cultura autoctona che stava cercando.

Iniziato a dipingere, in un primo momento Gauguin cercò di trovare una via di mezzo tra la nostra cultura tradizionale cristiano-cattolica e quella polinesiana, ma i risultati non lo resero soddisfatto, allora, perspicace e cocciuto com’era, sempre più si calò entro lo spirito etnico di quelle geografie, indagò a livello antropologico, studiò i pigmenti usati dagli indigeni per i tatuaggi che decoravano i loro corpi o adoperati per abbellire le loro imbarcazioni e i loro totem, fino a raggiungere una tavolozza calda, concreta ma spirituale assieme, in cui il colore arancio-ruggine trovò una sua collocazione ben precisa, sia per indicare quelle spiagge selvagge che molto lo affascinavano, sia per dare profilo a certi animali, sia per tratteggiare macchie di fiori o piante, sia per definire certi panneggi o lembi di stoffa.
Infine, sempre più avulso dalle credenze arcaiche di quei popoli, il “colonizzatore cattolico” si trasformò in un feroce detrattore della Chiesa di Roma, inoltrandosi, quasi rapito, nelle leggende e nei miti polinesiani. Diede così vita alla famosa tela Il cavallo bianco, poi all’opera Matamua, ora parte della collezione Thyssen, che raffigura una valle leggendaria, posta al centro dell'isola di Tahiti, in cui i suoi abitanti vivevano ancora nel passato, oppure alle numerose statuette di dei e idoli, che realizzò successivamente. Negli ultimi anni della sua vita, trascorsi nelle isole Marchesi, Gauguin ha scritto molto sulla tradizione della scultura polinesiana: “Quest’arte è ormai scomparsa a causa dei missionari che hanno ritenuto che la scultura espressa da questa gente fosse feticismo e nulla più, cioè un’offesa a Dio”. E aveva ragione. In realtà, alla fine del XIX secolo, quasi tutte le sculture in legno forgiate dagli antichi polinesiani furono distrutte o bruciate nelle missioni cristiane. Perciò Gauguin diede vita a un lavoro epico quando tentò di restituire agli indigeni la loro mitologia distrutta, quindi la loro identità e, di conseguenza, la loro dignità. Purtroppo però quasi tutte le sculture create in quegli anni dall’artista francese vennero realizzate con un legno di bassa qualità, infatti sono solo due le statuette rimaste a cui egli diede forma, oggi conservate al Museo d'Orsay di Parigi.

Nell’aprile del 1892 l’artista scriveva: “Voglio finire la mia vita qui, nella solitudine della mia baracca. Oh sì, qui io sono un criminale, ma ... cosa c'è di sbagliato in questo? Anche Michelangelo era un criminale”.
Ma qual è la “criminalità” a cui Gauguin si riferiva? Quella del suo progressivo distacco da ogni “vestigia” della società e della cultura borghese europea, scegliendo la libertà da ogni convenzione e da ogni remora di ordine morale (e non gli fu difficile, considerata l’indole ribelle e trasgressiva che sempre lo visse).

Ed eccolo misurarsi col suo capolavoro, con la tela di dimensioni più grandi che egli mai dipinse:
L’opera segue un ordine cronologico inverso, cominciando dalla sinistra, si vede la figura straziante di un vecchio in posizione fetale, con le orecchie coperte dalle mani, mentre, all’estrema destra, un neonato, simbolo della vita e dell'innocenza, è circondato da tre giovani donne tahitiane. Al centro del quadro campeggia la figura di un indigeno che coglie un frutto, allegoria della tentazione al peccare che attanaglia sempre l’uomo.
Strutturare la tela in un ordine cronologico inverso sta a indicare come il primitivo, l’ingenuo, il darsi felicemente all’esistere sia l’unico modo per rigenerare oltre che il divenire di un “Occidente malato” anche l’arte che l’Europa stava allora producendo.
Nel quadro il colore arancio-ruggine appare qua e là, a chiazze, spingendosi, a momenti, verso un terra di Siena oppure a un verde cinabro. Perché, nel Gauguin dell’ultimo periodo, ritorna sempre più spesso l’arancio-ruggine?
L’artista francese conosceva benissimo, come risulta dai suoi scritti, il significato simbolico e alchemico espresso dai vari colori. L’arancione, più o meno ossidato, indica un’armonia interiore ritrovata, la fiducia in se stessi, il credere che possa concretizzarsi un possibile mondo perfetto. Poi custodisce in sé il principio della comprensione totale, della consapevolezza, la saggezza, l’equilibrio, il progressivo disinteresse per quello che di futile e materiale un certo sistema e una certa società ci propongono. Quindi diviene colore che allontana la depressione, aumentando la capacità di reagire alle avversità in modo repentino ed efficace. Ed è simbolo, per eccellenza, di fertilità e di energia positiva.

Gauguin, perciò, spinse su quei tasti sia in accezione catartica sia palingenetica, indicandoci una via, un ritorno alla natura nella forma di “matrimonio” con la stessa; ripropose, paganamente, un rapporto femminile con l’ambiente che richiamasse l’idea del ventre materno, della matrice comune, contro lo strapotere “fallico” dell’industrializzazione, che egli colse quale tirannico nemico avanzante.
Inoltre capì che “il peccato originale” stava nella pretesa di poter agire sul Giardino dell’Eden, trasformandolo. Quella logica che ha portato, nel XX secolo, alla continua distruzione della natura e all’idea che il mondo sia solo una valle di lacrime da attraversare o da devastare.
Perciò Gauguin e i suoi arancioni si posero contro quell’idea agostiniana secondo cui mundus est immundus, cioè “il mondo è immondo” al punto che si può violentare come meglio ci aggrada, senza considerare il come la penseranno coloro che ci seguiranno.

E su ciò necessita continuare a riflettere, per poi agire, in base agli strumenti culturali e creativi che si possiedono, così come il grande pittore francese fece, in accezione illuminata, passionale e titanica, prima di noi.