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Lettera internazionale Anno 29 Numero 116 luglio 2013



Operazione gemelle

Habib Tengour



Rivista trimestrale europea


SOMMARIO N.116

Nel 2013, Daniel Bell

Viaggio su Marte. Il manoscritto in fondo a un baule, Philippe Videlier

L’incertezza democratica, Myriam Revault d’Allonnes

Fare mondo: un imperativo ostinato, Michaël Fœssel

Ratio loci: verso una società glocale, Václav Bĕlohradský 

Pratiche del comune. Per una nuova idea di cittadinanza, Maria Rosaria Marella

L’intangibile e l’inestimabile. I beni immateriali, il mercato e il senza-prezzo, Marcel Hénaff

Diversamente umani. L’umanesimo del dato e le narrative dei Big Data, Davide Bennato

Il sociale nei social media, Geert Lovink

L’universalismo e l’invenzione del futuro. Considerazioni sul mondo arabo, Abdelkébir Khatibi

Sognare il mondo nel 1962. La primavera berbera e quella araba, Rita El-Khayat

Far uscire l’islam dall’islamismo, Abdelwahab Meddeb

Operazione gemelle, Habib Tengour

Gli artisti di questo numero:

Hidetoshi Nagasawa, Klaus Münch, Simone Pellegrini, by Aldo Iori

Libri
Recensioni a cura di Silvana Calabrese, Giuseppe D’Acunto, Elettra Stimilli
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n. 120 ottobre 2014

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n. 119 giugno 2014

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n. 118 marzo 2014

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n. 117 dicembre 2013

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n. 115 maggio 2013

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n. 114 febbraio 2013


Hidetoshi Nagasawa, Tre cubi, 2005

Klaus Munch, Senza titolo, 2007

Simone Pellegrini, Perduto a margine, 2009

Nato nel ’47 in Algeria, Habib Tengourè romanziere, poeta e sociologo. Nel 1959, il padre deve abbandonare l’Algeria a causa delle persecuzioni dovute alla sua militanza anti-colonialista. La famiglia si trasferisce in Francia. Habib studia sociologia a Parigi. Rientra in Algeria per svolgere prima il servizio militare, poi il servizio civile. Per un certo periodo, insegna presso l’Università di Constantine poi presso l’Université Evry-Val-d’Essonne. L’erranza biografica si ripercuote in un’opera letteraria che mescola volentieri riferimenti europei e maghrebini, con tono severo e ironico insieme. L’effetto è quello della rappresentazione di un’identità difficile, segnata dalla violenza storica e dalla difficoltà di individuazione della comunità d’appartenenza. Come Ulisse e come Stratis (evocazione, quest’ultima, di Giorgos Seferis), Tengour cerca il suo Mondo, ma l’individuazione resta problematica anche se viene vissuta come una necessità. Posto di fronte al dramma dell’11 settembre, lo scrittore attraversa i segni della memoria e lavora una scrittura poetica in cui Baudelaire si accosta a Kateb Yacine, uno dei padri fondatori della Letteratura algerina in lingua francese, Gogol’ a Nourredine Saadi (Nono), Emile Habibi (lo scrittore palestinese di cittadinanza israeliana) al francese Pierre Joris. Anche le evocazioni storiche sono composite e sovrappongono, alla cronaca dell’attualità, le memorie della guerra di liberazione algerina e le vicende argentine degli anni Settanta. A. Z.

All’indomani dell’11 settembre, avrei dovuto svegliarmi americano. La metamorfosi non avrebbe avuto nulla di sorprendente. È successo! A Parigi. A Copenhagen. Ad Ankara… Alchimia del prêt à porter. Ma io? Ritrovarmi nel mio letto, così come ero alla vigilia, era una cosa da far inquietare i vicini. Mi sono toccato. Che cosa succede? Che cosa ci succede? In ogni modo, ho guardato la televisione. Come tutti. Non mi sono staccato dal divano. Come tutti. E come tutti, non credevo ai miei occhi. Impossibile! Impossibile! Il film passava e ripassava. Continuamente. La pausa pubblicitaria era stata cancellata. Le serie TV rinviate. Nessuna finzione. Un documentario incredibile. INAUDITO! In diretta. Nel mio sonno agitato, passava al rallentatore. Le gemelle si accasciavano sul mio petto. Sobbalzavo. Riaccendevo il televisore. Tutto ricominciava. A intervalli, cambiava l’angolo di ripresa. Ero stordito dalla catastrofe. Le immagini mi mangiavano lo sguardo. Ansimi diabolici mi sollevavano il cuore. Che cosa mi succede?

Ho qualche difficoltà a trovare la formula per dire quello che accade. Le analisi abbondano. Penetranti. Le parole non mancano. I neologismi nemmeno. I giornali ce ne forniscono qualcuno ogni giorno. La metamorfosi si amplificava. E io? Malgrado tutti i miei sforzi e una buona volontà al di sopra di ogni sospetto. Ma forse avevo reticenze inconsce a cooperare. La cosa richiede un esame approfondito. Il terzo giorno, sono scoppiato. Per Dio! La testa mi va in frantumi. Dentro, è tutto una poltiglia. Bisogna farla finita! Muoviti! Ho trafficato nel contatore con un taglia-unghie. Crack! Il tubo catodico si è bruciato. Mi frego le mani. Non ho subìto nessuna metamorfosi ma sono diventato furbo. Forse è la frustrazione di non essere americano come tutti quanti. La cosa mi tormenta. La pila di giornali nella spazzatura. Non avrei mai il tempo di leggerli… Che sollievo! Stavo diventando pazzo. Da legare. Come quel personaggio di Gogol’ che perde il naso attraversando la strada. Per fortuna, avevo un gran raffreddore. Una tregua…

– Ora che la tele è scassata, sarai soddisfatto! Mi grida lei. Cosa credi di fare? Se non sei nemmeno capace di tener conto delle contingenze!… Ti avviso: o la ripari o ne compri un’altra! E datti una mossa! …

Il lessico è traditore… Si può dire quello che si vuole. Ma quando non vi risvegliate come tutti gli altri, c’è di che allarmarsi. È molto più grave. Il vicino di casa non saluta più. Sono tutti là davanti ad aspettare l’ascensore; e tu, tu prendi la scala di servizio. Che cosa è cambiato? Come saperlo? Hai rotto il televisore… C’è un modo, la radio funziona. I programmi sono più intelligenti. La voce non mangia il cervello come l’immagine.
Mi calmo. Non capisco quello che raccontano. Non è a me che parlano. Mi tornano alla mente le parole di un mio lettore:
“È la tua lingua. Ma tu non scrivi nella lingua dei tuoi. Per giunta, vivi altrove! Come puoi pensare di contribuire a una qualsiasi avanguardia nazionale?” Un po’ brutale, ipocrita lettore…

“L’avanguardia – mi raccontava Si Nacer – erano sei pecore grigie che venivano cambiate ogni volta che attraversavamo la linea Morice. Bigeard aveva scoperto il trucco. Durante l’operazione gemelle, spediva sistematicamente qualche pastore in esplorazione”… Ho pensato spesso a questo piccolo gregge. Nessun monumento celebra il loro sacrificio per la patria. Molto presto, quest’aneddoto ha insinuato il sospetto nel mio animo. Ma io, ho fatto le barricate, io! È Stratis il marinaio che mi ha salvato dall’annegamento. Mi ha trascinato in un bar della Bastiglia. Per parlare, qui è meglio. Le mandorle salate sciolgono la lingua.

Di punto in bianco: “Allora? La politica, t’interessa davvero?… La prassi? Certo! Ma questa politica diserta i luoghi pubblici. Il raï fa furori. Lascia perdere tutto questo. Tu sei un veggente. E un uomo del passato! Per ascoltare il canto delle sirene, tu non hai bisogno di venire legato a un albero da compagni con gli orecchi tappati …” A spizzichi. Spigolando di qua. Saltando di là. Andando dritto. Voltandomi. Biforcando. La mente in frantumi. Mi perdo. “Questo interesse improvviso è sospetto”, ha detto Kateb. Con Malek, noi l’abbiamo guardato con riconoscenza. Qualcosa nell’intonazione. Eravamo gli unici a cogliere la sfumatura. Ci siamo sentiti sollevati. Ma ecco un evento inaccessibile. Non ho trovato parole per trasmetterlo. Non i fatti. In sé, senza interesse. Ma la magia della situazione. Kateb, così pieno di dignità… Poi arriva una richiesta che mi affascina. Grazie, amici sconosciuti, per esservi fatti vivi. Grazie a te, Pierre, per aver passato il mio indirizzo… Come Kateb, nella tana del lupo.(1)

E allora? Perché, poi? Alla fine, è un problema di forma. Sénac, lui, riempiva i quaderni di buchi. “Con il tempo, il mondo ti penetra dentro. Si hanno così poche parole a disposizione per colpire nel segno”. Traduco la nostra discussione. Perché il corpo non c’era più. La rivoluzione aborriva i comitati di gestione decrepiti. Quale errore ha reso afoni i nostri domani? Ho imparato a lavorare. A tacere. Il poeta deve cancellarsi. Per non soffocare la poesia. Cosa succede? Ci mettiamo del tempo a capirlo. Più nessun supplemento per rendersene conto. Baghdad è stata rasa al suolo. Granata è caduta. E Gerusalemme? Le date si ammassano l’una sull’altra. Marmellata di memoria…

Fin dall’inizio, gli arabi si ricordano disperatamente di un futuro radioso. A due tiri d’arco. Questa grande nazione generata dal figlio della serva si fa bacchettare sulle dita delle mani. E da tempo. È genetico?
Come si può programmare tutto questo? È troppo, troppo! Gli amici muoiono a frotte. Muoiono anche quelli che non conosco. Alle esequie, i fedeli seguono il corteo e si contano. Lontano dal mondo. Man mano, il loro numero si riduce. Formano una famigliola. In disparte, all’angolo della strada. Viene loro servito tè o caffè, a scelta. Prendono qualche dattero. – Lascia andare, dice Nono. A ciascuno il suo 11 settembre! Il mio c’è stato nel 1973. Hanno assassinato Allende. Perché si è trattato di un assassinio. E tutto è precipitato… … Trovi sempre uno che racconta le stesse storie mille volte già raccontate. … “Il tempo degli arabi…”, sospirò Emile.


(1)La «gueule du loup» è la metafora utilizzata da Kateb Yacine per indicare la paradossale condizione di esilio linguistico in cui vive lo scrittore francofono in situazione coloniale: egli deve mettere da parte la lingua materna per lasciare spazio a quella del colonizzatore, il francese, la cui perfetta padronanza sarà l’unica strada per poter, un giorno, tornare al punto di partenza, alle origini. Questa immagine paradossale in cui la cancellazione del sé è funzionale alla riscoperta delle proprie origini ha finito per simbolizzare la condizione dello scrittore postcoloniale, sempre a cavallo tra due mondi, sempre alla ricerca di una parola che si imponga come una sfida portata nel cuore e attraverso il canone occidentale.

Traduzione e cura di Anna Zoppellari