L'edicola digitale delle riviste italiane di arte e cultura contemporanea

::   stampa  

Lettera internazionale Anno 29 Numero 114 febbraio 2013



Ricordo, nostalgia e simpatia in Adriatico

Franco Botta



Rivista trimestrale europea


SOMMARIO N. 114

In copertina: Maurizio Donzelli, Giardini, 2012, tappeto prodotto in Nepal

L’Europa fuori d’Europa
I Balcani in Europa: tra stereotipi e futuro, Marija Todorova
Qualche passo “facile” verso la riconciliazione, Slavenka Drakulić Pensare l’Europa senza pensare. Il discorso neocoloniale sui e nei Balcani occidentali,
Tanja Petrović Due, tre cose sull’Albania. Appunti di viaggio, Alessandro Leogrande
Skanderbeg e i suoi nemici, Fatos Lubonja
Da Sarajevo a Praga. Identità multipla vs confini mentali, Raymond Rehnicer
Il soggetto oltre i confini. Oltre i confini del soggetto, Enrica Lisciani-Petrini
Muhajir di Bosnia. Racconto di un viaggio in fondo al destino, Predrag Matvejević
I Giuliani e l’Adriatico, Stelio Spadaro e Patrick Karlsen
Il passato che non passa e il diritto all’oblio, Stefano Lusa
Pane al pane, vino al vino, Živko Skračić Ricordo, nostalgia e simpatia in Adriatico, Franco Botta
Lingua materna: un gioco simbolico che apre mondi, Chiara Zamboni

Adri-mediterraneo, tra tempeste e oblio
Mediterraneo: camera senza vista, Jurica Pavičić Oriente e dis-Oriente. Il secolo lungo in Adriatico, Oscar Iarussi
Per un’Europa a trazione adri-mediterranea, Onofrio Romano
Una storia tra due mari. Per un Mediterraneo unito, Italo Garzia
Raccontare l’Adriatico, Marilena Giammarco e Giovanna Scianatico Appartenenza adriatica, Fabio Fiori
Adriatico noir, Enrica Simonetti

1li artisti di questo numero
Maurizio Donzelli, Mircea Cantor, Vittoria Mazzoni, a cura di Aldo Iori
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Vivere nel deserto greco
Victor Tsilonis
n. 120 ottobre 2014

Uomini e cani
Marin Sorescu
n. 119 giugno 2014

Mnemonia
Giuseppe O. Longo
n. 118 marzo 2014

Mio nonno Ramdhane e l’intercultura
Karim Metref
n. 117 dicembre 2013

Operazione gemelle
Habib Tengour
n. 116 luglio 2013

Occhi rubati
Mahi Binebine
n. 115 maggio 2013


Mircea Cantor, Sic Transit Gloria Mundi, 2012

Maurizio Donzelli, Disegno Del Quasi, 2012

Vittoria MAzzoni, I.V.D.L. (In vece delle labbra), 2012

Conviene essere espliciti e scrivere che non ricordiamo, che abbiamo ormai dimenticato quello che è stato a lungo l’Adriatico. Questo accade perché ancora oggi, per quanti sforzi si facciano, proprio non riusciamo ad accettare – come scrive Tony Judt(1) in Guasto è il mondo – che «il passato non è mai buono o cattivo come lo immaginiamo e che è semplicemente diverso», e che, «se stiamo a raccontarci storielle nostalgiche, non riusciremo mai ad affrontare i problemi con cui dobbiamo misurarci nel presente (e lo stesso succede quando pensiamo ingenuamente che il nostro mondo sia migliore sotto ogni aspetto). Il passato è un paese straniero, e non possiamo tornarci. Ma c’è qualcosa di peggio che idealizzare il passato (o raffigurarlo a noi stessi e ai nostri figli come una stanza degli orrori), ed è dimenticarlo». Noi abbiamo dimenticato che l’Adriatico, per dirla con Nicolò Carnimeo,(2) ha ottenuto le sue maggiori fortune quando è stato un golfo (il “Golfo di Venezia”) e che il suo declino cominciò quando cessò di essere una regione marittima, quando cioè smise di svolgere il ruolo che tutte le acque – mari, fiumi e laghi – sempre svolgono quando hanno la meglio nei confronti delle terre: quello di rendere difficile la divisione dello spazio e fragile la costruzione dei confini.

Per navigare in mare aperto
Ma se è così, potrebbe questo mare – si interroga Carnimeo – «candidarsi a divenire nuovamente un golfo, ma questa volta europeo»? Certo che potrebbe, ma occorrerebbe per intanto impegnarsi a ricordare, a recuperare le storie che raccontano come a lungo, nelle culture delle genti di questi luoghi, vi fosse un respiro europeo che aveva radici ampie e diffuse(3) e come i popoli di molte terre adriatiche, come quelli della Dalmazia, svolgessero ruoli di mediatori tra il mondo latino e quello balcanico,(4) ruolo auspicato in anni lontani da Nicolò Tommaseo. Invece, anche quando tra i costruttori delle memoria – come tra gli storici che si sono misurati con le storie adriatiche – si arriva a pensare che molte delle vicende che sono accadute in questi luoghi restano sempre oscure, se si rimane all’interno delle singole storie nazionali, non sempre poi si è disposti a navigare in mare aperto, a dare spazio a fatti che sono stati trascurati perché a lungo considerati a torto marginali e che invece costituiscono una memoria importante, un’eredità preziosa per costruire un futuro diverso per i popoli che abitano intorno alle sponde dell’Adriatico. Abbiamo dunque bisogno di ricordare, di recuperare memoria, ma anche di tenere a freno la nostalgia. Questa infatti non solo – come ci ha avvertito Judt – ci è sempre di poco aiuto quando ci si vuole misurare con il presente, ma molti sono i danni che vengono alle collettività dall’uso politico che di questo sentimento può essere fatto, come confermano le tante storie adriatiche e balcaniche.(5) Non dobbiamo poi trascurare altri due fattori che rendono questo sentimento particolarmente pericoloso per noi. Il primo è che, nei luoghi nei quali i nazionalismi arrivano in ritardo, la nostalgia produce una reazione, secondo quanto dice Greenfeld, che la rende simile al rancore.(6) In secondo luogo, va osservato che, poiché il sentimento nostalgico è quasi sempre associato all’attesa di futuro, con il passare degli anni, nei singoli individui e nelle collettività che lasciano spazio alla nostalgia, la possibilità di un diverso destino individuale e collettivo viene necessariamente meno, e il sentimento in questione cambia facilmente natura, diventando appunto soprattutto delusione e rancore. Tenere a freno la nostalgia appare in Adriatico una priorità, ma occorre anche fare in modo che a ricostruire le storie dimenticate siano in primo luogo i giovani, quelli che hanno molto futuro davanti. Anche questi possono cadere preda di sentimenti nostalgici, ma hanno più anni da vivere, più anticorpi e quindi difficilmente cedono al rancore. Accanto alle iniziative dall’alto per ricordare le storie dimenticate che devono venire dagli storici di professione, dalle università e dai centri di ricerca, bisogna sollecitare esperienze dal basso e che coinvolgano studenti e giovani ricercatori. Vi sono già esperienze in proposito che meritano attenzione, come quella che ha visto protagonisti studenti e giovani storici italiani e sloveni in un seminario e quindi in un convegno frutto di una recentissima collaborazione transfrontaliera tra Trieste e Koper-Capodistria, di cui ci ha recentemente parlato Štefan Čok al VI Corso di relazioni interadriatiche svolto dal Cesforia a Bari.(7)

Tra i popoli delle due sponde adriatiche
I progetti europei per questo mare non sono certo mancati in questi anni,(8) anche se i ritardi che si sono accumulati nella costruzione di un’Europa adriatica sono davvero tanti. La costruzione dei confini può essere in molti casi una necessità e non produce troppi danni, se poi si lavora tutti per renderli irrilevanti, come suggerisce Parag Khanna.(9) Il futuro tuttavia dipenderà da questo secondo lavoro. Se è certamente vero che sono le imprese a costruire le infrastrutture materiali – come strade, ferrovie e pipelines – che ben sanno come rendere irrilevanti i confini; e se è vero che abbiamo bisogno di creare molte nuove infrastrutture di questo tipo in modo da consentire che gli scambi e i traffici adriatici di merci e di persone possano agevolmente svolgersi e intensificarsi, non possiamo certo trascurare il ruolo che hanno le infrastrutture immateriali, a cominciare naturalmente da quelle che si creano con il lavoro culturale. L’insistito lavoro fatto a Bari in questi anni per provare a mettere in campo “un’identità adriatica,” per provare a produrre un antidoto contro l’aggressività che è propria delle identità singole, va considerato come uno sforzo importante e utile per creare condizioni propizie per restituire all’Adriatico un ruolo nel futuro dell’Europa e nel Mediterraneo.(10) Ma quello fatto è solo un esempio, perché sono stati tanti gli attori locali e non governativi che si sono impegnati in un lavoro che ha lasciato tracce importanti, avendo contribuito a dissipare antichi sospetti e a mostrare in che misura si possa tornare a progettare un destino comune tra i popoli delle due sponde adriatiche. Si tratta infatti di recuperare una storia adriatica perduta che consenta a tutti noi di ampliare gli orizzonti delle possibilità che si possono immaginare per questa regione europea e per un’Europa che voglia contribuire alla pace nel Mediterraneo. Per dirla in modo esplicito: si tratta di lavorare per neutralizzare gli interessi nazionali a favore di altri interessi, adriatici ed europei. Secondo un autorevole commentatore, le difficoltà italiane a trovare una sintesi politica in grado di tutelare il proprio tornaconto nazionale ha giocato un ruolo positivo nella costruzione dell’Unione Europea(11) e forse può giocarla anche nella costruzione di questa nuova euroregione. Forse – come mi è capitato di scrivere altrove.(12) Il nostro noto limite nazionale – la nostra difficoltà a definire e perseguire i nostri interessi – può indurre altri a provare ad avviare giochi meno conflittuali e più cooperativi. Come spiegano il dilemma del prigioniero e la teoria dei giochi, la cooperazione può in alcuni casi massimizzare le vincite dei giocatori, se questi riescono a trovare il modo di cooperare, ma occorre che qualcuno avvii o insista nel giocare in questo modo le partite in corso. Se guardiamo ai giochi e ai risultati delle tante guerre che sono state combattute sul terreno economico, a cominciare da quella dei porti, che si sono svolte nell’Alto Adriatico tra strutture che potevano anche essere complementari, i risultati non sono certo esaltanti per nessuno, soprattutto in confronto a quello che accade nel resto del Mediterraneo.(13) Ai più sembra che il destino adriatico non possa che essere quello di continuare nel suo inarrestabile declino. Per invertire questo processo avremmo bisogno – tanto per fare un esempio – non tanto di lotte nazionali a difesa dei singoli porti ma di una rinnovata capacità di definire e di perseguire una strategia adriatica. Lo stesso approccio dovrebbe valere per le altre infrastrutture materiali e immateriali. Una strategia intelligente dovrebbe provare a rafforzare la cooperazione in tutti i campi in cui è possibile e necessaria, mettendo insieme risorse ed energie sociali.

Meno nostalgia e più simpatia
Pur cooperando di più, può anche darsi che il declino adriatico non sarà fermato, ma forse – grazie a questa scelta – i popoli adriatici assomiglieranno di più ai danesi. Questi ultimi, come ricorda Norbert Elias nell’Introduzione a I tedeschi,(14) sono riusciti in anni lontani a dominare bene il proprio declino come potenza mondiale e a gestire bene i problemi dell’orgoglio nazionale che sempre sorgono in questa situazione, mettendo in campo strategie che hanno consentito non solo il mantenimento in vita della loro nazione, ma di ritrovare un equilibrio con se stessi e con i propri vicini. I danesi sono orgogliosi del proprio paese e gelosi della società che hanno costruito, come dimostra la tenacia con la quale difendono la loro autonomia dalle lusinghe europee. Chi visita questo Paese rimane poi affascinato e trova simpatici i danesi. Possiamo in Adriatico fare tutti noi un sforzo simile per arrestare il declino che ci coinvolge tutti? Si possono avere buone relazioni economiche tra i paesi che vivono intorno a questo mare e che hanno tutti scommesso per un comune futuro europeo? Quando a dividere è un mare stretto e i popoli hanno vissuto a stretto contatto da sempre, molte cose sono più facili e convenienti da farsi. Per continuare a ragionare in termini economici, non va dimenticato che esistono costi, come quelli di transazione e quelli determinati dalle incertezze, che dipendono anche dalle distanze fisiche e culturali. La vicinanza riduce drasticamente questi e altri costi, consentendo di avviare attività che altrimenti non sono possibili. La prossimità ha infatti sempre potenzialità che meritano di essere esplorate.(15) Più in generale, buone relazioni di prossimità sono necessariamente il frutto di vicini che si rapportino senza diffidenza e che siano disposti a costruire buone relazioni con i propri vicini. Riusciremo a farci doni tra di noi, sapendo che questi saranno sempre ricambiati? Abbiamo bisogno di investire tutti meno in nostalgia e più in simpatia.(16) Non un’impresa impossibile, se si è tutti d’accordo, tenendo conto che possiamo anche contare su risorse europee che possono consentirci di investire in infrastrutture materiali e immateriali. Naturalmente, non vi è certezza che questi investimenti e tutto il lavoro che è necessario fare possano arrestare il declino economico e tuttavia non vi sono molte altre alternative. Senza dimenticare che si tratta di una strategia che sicuramente renderà migliore la qualità della vita che abbiamo oggi in Adriatico.

Note
1 Tony Judt, Guasto è il mondo, Laterza, 2012, p. 33.
2 N. Carnimeo, “Adriatico, il golfo che si fece mare”, i Classici di Limes, n.1/2012.
3 L. Nuovo e S. Spadaro (a cura di), L’europeismo nella cultura giuliana. Un’antologia 1906-195 Libreria Editrice Goriziana, 2010. Ma si vedano anche degli stessi autori Gli italiani dell’Adriatico orientale. Esperienze politiche e cultura civile, Libreria e Editrice Goriziana, 2012 e S. Trinchese e F. Caccamo (a cura di) Adriatico contemporaneo. Rotte e percezioni del mare comune tra Ottocento e Novecento, Franco Angeli, 2008.
4 Si rimanda a Luciano Monzali, Italiani, croati e l’Europa adriatica in F. Botta e G. Scianatico, Lezioni per l’Adriatico Franco Angeli, 2011. Ma anche alle numerose ricerche storiche che questo studioso ha svolto in questi anni su questi temi.
5 R. Petri, Nostalgia, Edizioni di storia e letterature, 2010 e S. Boym, Nostalgia. Saggi sul rimpianto del comunismo, Bruno Mondadori, 2003.
6 L. Greenfeld, Nationalism. Five Roads to Modernity, Harvard University Press, 1993
7 Il Corso aveva quest’anno aveva questo tema monografico: Raccontare e costruire un’Europa adriatica.
8 N. Carnimeo, cit.
9 P. Khanna, Come si governa il mondo, Fazi, 2011.
10 Si rimanda a F. Botta e G. Scianatico, Lezioni per l’Adriatico, cit., ma anche al n. 109 di Lettera internazionale dedicato ai temi adriatici.
11 T. Padoa-Schioppa, Europa forza gentile, il Mulino, 2001.
12 F. Botta, La differenza italiana nelle relazioni di prossimità, sta in F. Botta (a cura di), Seduzione e coercizione in Adriatico. Reti attori e strategie, Franco Angeli.
13 Si veda Carnimeo, cit., e A. De Sanctis, “L’Italia sta perdendo la guerra dei porti”, sullo stesso fascicolo di Limes. Si veda inoltre il recente rapporto del SRM, Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo Giannini, 2012.
14 N. Elias, I tedeschi, il Mulino, 1991.
15 Si rimanda a F. Botta, Il potenziale di sviluppo della prossimità, sta in F. Botta, I. Garzia e P. Guaragnella (a cura di), La questione adriatica e l’allargamento dell’Unione europea, Franco Angeli, 2007. Si veda anche F. Del Prete (a cura di), Prossimità e sviluppo, Franco Angeli, 2006, e E. Cocco e E. Minardi (a cura di), Immaginare l’Adriatico. Contributi alla riscoperta sociale di uno spazio di frontiera, Franco Angeli, 2007.
16 Sul ruolo decisivo della simpatia nel determinare la ricchezza e il funzionamento delle nazioni si rimanda ad Adam Smith e alla lettura di questo autore proposta da Amartya K. Sen, inLa ricchezza della ragione. Denaro, valori, identità, il Mulino, 2000.

Franco Botta insegna economia e politica del lavoro all’Università di Bari, e dirige il Centro di Studi e Formazione nelle Relazioni Interadriatiche (Cesforia) della stessa Università. Tra le sue ultime pubblicazioni: con G. Scianatico, Lezioni per l’Adriatico (Franco Angeli, 2010); e Seduzione e coercizione in Adriatico. Reti attori e strategie (Franco Angeli, 2009). Occupandosi anche di giardini, ha scritto, con M. Comei, A che serve un giardino/What is A Garden For? (Edizioni dal Sud, 2008).
Per L.I. ha scritto: “Del viaggiare verso Oriente. Sul ruolo dello spazio adriatico”, n. 109, 2011.