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Lettera internazionale Anno 30 Numero 119 giugno 2014



Uomini e cani

Marin Sorescu



Rivista trimestrale europea


SOMMARIO B. 119
Trent'anni di cantiere Europa: un'antologia


Una finestra attraverso il Muro, Peter Schneider (1985) 
  #Guerra fredda  #né russi né americani  #intellettuali e potere 
Pace e prossimità, Emmanuel Lévinas (1986)   
#reciprocità  #altro  #relazione etica 
Per un concetto etico di pace, Fabio Ciaramelli (1986) 
 #Lévinas  #responsabilità soggettiva di fronte all’altro 
Il sogno d’Europa, Ágnes Heller (1988) 
  #mitologia europea  #modernità  #mentalità cumulativa 
L’Europa, giocattolo delle lobbies, Hans Magnus Enzensberger (1988) 
  #società civile europea  #sabotaggio dell’Europa da parte delle istituzioni europee 
Elogio della terra di nessuno, Harry Mulisch (1988) 
 #Muro  #Europa come patria  #repubblica mondiale federativa  
Uomini e cani, Marin Sorescu (1990) 
  #scuola di violenza  #sterminio  #terrore 
Poesia dell’Est, poesia dell’Ovest, Czesław Miłosz (1990) 
  #impegno del poeta  #poesia contro il tiranno  #soggettivizzazione occidentale 
Securitas, Zbigniew Herbert (1990)
   #divinità che veglia sull’imperatore  #mostro dal volto umano 
Incidenti di frontiera, István Eörsi (1991) 
 #Muro  #dittatura  #libri  #ipocrisia occidentale 
Le nuove frontiere della sinistra, intervista con Norberto Bobbio, di Federico Coen (1991) 
 #crollo del comunismo  #sinistra dei diritti 
Il Marzo polacco e la Primavera di Praga, Adam Michnik (1993)
  #speranza e delusione  #socialismo dal volto umano  #nazionalismo 
Due Europe senza identità, Aleš Debeljak (2002) 
  #narrazione comune  #l’altra Europa  #nazionalismo del portafogli pieno 
La nuova Europa vista da Praga, Antonín J. Liehm (2003) 
  #Unione Europea  #eredità storica  #identità ceca 
Le radici culturali della Costituzione europea, Étienne Balibar (2004) 
 #politica e diritti  #processo costituente  #cittadinanza sociale vs neoliberismo

I Libri
Recensioni a cura di 
Luigi Ferrajoli, Leonardo Caffo, Lorenzo Carlucci, Manuela Coppola
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Illustrazione di Peter Brookes

Illustrazione di Done Stan

Illustrazione di Zygmunt Januszewski

Era un tipo tarchiato e ben piazzato, con una grossa testa, l’uomo che il Comitato provvisorio aveva preposto allo sterminio dei cani. “Perché?”, domanderà qualcuno. “Non c’è un perché”, gli si potrebbe rispondere. Si pensava che i cani fossero un ostacolo allo sviluppo del villaggio, che gli impedissero di elevarsi al livello della città di Craiova. E poi… che diventassero rabbiosi.
Del resto, l’incaricato – si chiamava Goadjé Spartu – non si prendeva certo la briga di spiegare alla gente perché entrava nei loro cortili e si metteva a picchiare i loro cani a colpi di manganello. Finché erano legati, li uccideva così come li trovava. Poi, molti si decisero a slegarli in modo che avessero almeno una possibilità di sfuggire a quel folle, di scappare, di nascondersi. Il nostro cane Azor aveva presentito ciò che poteva capitargli e aveva tagliato la corda circa un mese prima. Noi avevamo una tortora in gabbia. Non so come abbia fatto ad aprirla, in ogni caso mangiò la tortora. Nicolae, quando lo vide tutto pieno di piume gli disse: “Bella roba! Aspetta un po’ e vedrai!” E il cane se la filò, sparì, per paura o per vergogna. Non si è più rivisto. Lo abbiamo aspettato per molto tempo, soprattutto di sera; mentre mangiavamo, uscivamo in cortile con un pezzo di mamaliga (1) e lo chiamavamo. Ci dicevamo che prima o poi lo avremmo visto sbucare da qualche parte. Ma non è mai tornato. Qualche tempo dopo, lo ritrovammo morto, al cimitero. Si era trascinato fino alla tomba dei nostri cari.
La campagna contro queste povere creature del buon Dio era cominciata. Papà Miai, vecchio e male in arnese com’era, aveva un cane proprio uguale a lui, che a mala pena riusciva a trascinarsi. Si chiamava Scandalo. Ero a casa quando arrivò anche il suo turno. Goadjé arrivava, un manganello in mano e un randello sotto il braccio. Allungava il collo per guardare al di là delle siepi e lanciava pietre negli androni per eccitare i cani. Quello di Papà Miai era appena uscito in strada. Si era accucciato all’ombra del gelso di Nina. Si era messo all’ombra come tutti. L’altro che arrivava lo vide. Fece un mezzo giro e alzò il manganello su di lui. Era un pezzo d’uomo, il cane non si alzò nemmeno, si mise a ululare. Allora Goadjé si avvicinò e cominciò a prenderlo a randellate. Sono resistenti, i cani. Quando si crede che non vi sia più una goccia di vita in loro, te li vedi rialzarsi e mettersi a leccare le ferite. Appena l’uomo si fermò per riprendere il fiato, il cane, con la testa rotta, tutto pieno di sangue rosso come sangue umano, tentò di curarsi le ferite come poteva. Si passava la zampa sul muso, piagnucolava, gemeva. Ci mancava poco che piangesse. Noi ragazzi ci mettemmo a strillare – eravamo in tre o quattro – gridammo al soccorso. Ma erano tutti nei campi.
“Goadjé, va a seminare la tua cacca da un’altra parte!”, gli gridò Pitsigoi da dietro una siepe. “Che cos’è che t’ha fatto, eh, razza di bestione? Vattene piuttosto a picchiare la gatta di tua madre, brutto imbecille!” E tutti ci mettemmo a insultarlo e a lanciargli terra. Ma quello si rimise a picchiare. Una manciata di terra lo colpì. Si girò verso di noi mostrandoci i denti e il suo bastone imbrattato di sangue. Ce la filammo ventre a terra…
Quando ritenne che la sua missione fosse compiuta, se ne andò fischiettando, convinto che il villaggio ora fosse più ricco grazie a ciò che aveva fatto per sterminare quegli esseri nocivi.

Scandalo agonizzò fino a sera. Quelli che tornavano dal lavoro lo andavano a trovare, guardavano e commentavano. Alcuni dicevano che bisognava sporgere denuncia contro quell’individuo. Sì, ma sporgere denuncia dove, visto che era stato inviato dal Comitato provvisorio? Ed effettivamente una volta lui era venuto con qualcuno del comune, che aveva detto che Goadjé era l’“incaricato”. “È vero, c’è anche un incaricato dei miei coglioni per sterminare i nostri cani, un altro per prenderci il grano nelle aie e un altro per venire a misurare i nostri cortili! Ma perbacco, da dove vengono fuori tutti questi personaggi, mondo infame? Vengono tutti a succhiarci il sangue…”, disse non so chi. “Vi dico che non è buon segno”, intervenne Stai, un lavoratore, gran bevitore, che amava gli animali. “La Terra gira troppo in fretta”, aggiunse mamma Maria.
Goadjé passava fischiettando. Aveva appena ucciso altri due cani a Natarai. “Lo hai fatto secco, eh?”, disse mamma Cazaca mostrandogli il cadavere. “Zitta, vecchia! Tu non sai come va il mondo!”, le rispose Goadjé con astio. “Tu non sei stata a scuola come me per tre mesi, non puoi sapere che cos’è la lotta di classe. Non si può progredire, se non si estirpa il male alla radice”.
“Ma che cosa vai raccontando?”, disse mia madre rossa di indignazione. “Tu forse sarai stato pure tre mesi a scuola per imparare a uccidere i cani, ma io ho fatto cinque anni di scuola, come si faceva ai miei tempi, e so che nessuno può darti il diritto di entrare nei cortili della gente e di gettarti su tutto ciò che trovi”. “Già, già, quella era la scuola di una volta, la mia è più al passo con i tempi. Noi abbiamo cominciato la trasformazione rivoluzionaria dell’agricoltura, a dispetto dei Kiabur”.(2)
“Pff! Dio ti punirà un giorno! Vattene via”. Mia madre mi prese per mano. “Brava gente, se questo individuo non finisce in prigione, io non sono più io!” E rivolgendosi a Spartu: “Tu faresti meglio a impugnare un manico di zappa, piccola canaglia, prima di chiamare kjabur chi ha voglia di lavorare, e prima di parlare di agricoltura quando non sai neppure piantare patate! Chi vivrà vedrà! Su andiamo, si rientra! Che cosa hai da tremare così? E allora? Era solo un vecchio cane e sarebbe morto, prima o poi. Ha solo incontrato un tipo come questo che non aveva niente di meglio da fare. E tu, sicuramente, era proprio destino che ti trovassi là! Che bisogno hai di metterti a discutere con i folli? Non abbiamo ancora finito di sentir parlare di quel tipo là! Sono sicura che finirà male!”
“Piuttosto, presto non sentirete più abbaiare in questo villaggio…”, disse Spartu con fierezza… E se ne andò al municipio a comunicare il numero di cani che aveva ucciso. Aveva battuto ogni record.
“Chi ci dice che non comincerà con noi quando avrà finito con i cani?”, chiese qualcuno.
“Non dovrà far altro che entrare nei nostri cortili e potrà prenderci tutto”, disse gravemente Stai.
“Beh, non li ha mica uccisi per nulla! Così possono frugare ovunque in tutta tranquillità, non avranno che la pena di prenderci le bestie, il carro, l’aratro… Che cosa credi? Hanno le idee ben chiare in testa. Altro che!”

Avevano tutti ragione, ciascuno a modo suo. Tutto ciò accadde. Proprio come aveva predetto mia madre, come avevano previsto gli altri, come aveva preconizzato Goadjé Spartu che aveva tre mesi di scuola a Chimnicu Alto. Ebbe un alterco con sua cognata, un giorno, mentre stavano attraversando una foresta. Tirò fuori il coltello dallo stivale e le tagliò la gola. Andò in prigione. Il poveretto… aveva proprio preso gusto al crimine. Appena ebbe regolato i suoi conti con i cani, avrebbe eliminato non importa chi… E il villaggio conobbe un silenzio sepolcrale. Tutto quello che è accaduto dopo, quelli che venivano picchiati perché avevano un po’ di terra, i giovani contadini che esitavano e che venivano picchiati per far passar loro la voglia di esitare, buon Dio! Quelli che venivano imbarcati la notte nella vettura nera, tutte queste cose che io ho vissuto alla fine dell’infanzia sono rimaste associate nella mia memoria al randello, al bastone di Goadjé.
L’indomani Papà Miai chiese ai nipoti di portare il suo povero cane fino allo stagno e sotterrarlo.

Note
1 Polenta rumena.
2 Contadini relativamente agiati, equivalente rumeno dei tristemente celebri kulaki russi.

Traduzione di Luisa Valmarin

Marin Sorescu (Bulzeşti, 1936 – Bucarest, 1996), scrittore, poeta e drammaturgo rumeno. Durante la dittatura comunista di Nicolae Ceauşescu, le sue opere furono censurate. Dopo la Rivoluzione rumena del 1989, tra il 1993 e il 1995, fu Ministro della cultura nel governo del Fronte di Salvezza Nazionale, decisione che provocò, però, una certa delusione tra alcuni suoi ammiratori. In italiano ricordiamo: Poesie (Chieri, Arti Grafiche Giacone, 1995). L.I. ha pubblicato “La gioiosa tristezza di Cioran”, n. 25, 1990.