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boîte Anno 5 Numero 12 primavera 2014



Piero Manzoni in-finito

Gaspare Luigi Marcone



Scatola d'arte, di studi , d'idee e di altri pensieri


SOMMARIO N. 12

Tutta l’arte è stata contemporanea
Federica Boràgina / “Si occultarono dietro noti nascondimenti”

Testimoni oculisti
Gaspare Luigi Marcone / Piero Manzoni in-finito
Ermanno Cristini e Giulia Brivio / La condizione di un azzardo

Camera con vista
Alessandro Di Pietro e Giulia Brivio / Clear Strategies of D/e/x/traction

Amarcord
Chiara Mu / Tre gradi di perdita: A necessary evil, Back Home, Decresce

Magiciens de la Terre
Viviana Pozzoli / Caleidoscopio. La Triennale di Milano del 1964

La biblioteca universale
Nascondimenti

Idee con intorno una linea
Stefano Collini / Hidden Masterpiece

La cesta dei granchi
Kevin Mc Manus / “Mi piace”. Erotica dell’arte tra ieri e oggi

La locanda dei forestieri
Stefano Collini / Rebus

Aspettando Godot
Elea Teatro e Valentina Rapino / Identità Dis-connesse


Appunti di viaggio
Fulvio Ravagnani / Camouflage d’artista
Jacopo Figura / Tempo Zulu, Siena
Bianca Trevisan / Scegliere i libri d’artista. Choisi – one at a time

Prendi cura di te stesso
Gillo Dorfles / a cura di Antonella Scaramuzzino
...E fatti esperto di cosmografia interiore

Progetto speciale: Samuele Papiro, Are you here?
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La libertà dell’irrazionalità
Giulia Brivio
n. 14 primavera 2015

La tua porzione di stelle
Antonella Scaramuzzino
n. 13 autunno 2014

Brusii
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n. 11 estate 2013

Non ho mai pensato alla Narrative art…
Anna Valeria Borsari
n. 10 inverno 2012

Un uovo fritto? No, grazie
Giorgio Bonomi
n. 9 primavera 2012

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n. 8 primavera 2011


Piero Manzoni
Corpo d’aria n. 28
scatola in legno contenente palloncino in gomma, tubo per gonfiare e piedistallo, cm 12,4 x 42,7 x 4,8, 1959-1960
Courtesy Archivio Manzoni

Piero Manzoni (1933-1963) ha offerto e continua a offrire notevoli stimoli ad artisti, critici, filosofi, psicologi, storici. Tutto il suo percorso è costellato di “paradossi” e “antinomie” o, se si vuole, semplici polarità dialettiche: materiale/immateriale, ironia/rigore, magia/scienza, finito/infinito, fisicità/concettualità, essere/nulla, interno/esterno.
Molti dei suoi lavori vedranno la luce “inscatolati”(1), prassi che si può offrire a molteplici livelli di lettura: dalla facile “trasportabilità” e “divulgazione” di simili oggetti –si ricordi che Manzoni espone in circa ottanta mostre in sette anni (1956-1963)– alla contestualizzazione storica di tali opere all’interno della società dei consumi nell’Italia del pieno boom economico-produttivo; e l’elenco potrebbe ancora continuare fino alla scatologia/escatologia.

Seguendo un ordine cronologico le prime opere “nascoste” sono le Linee; dall’estate del 1959 Manzoni traccia segni scuri su strisce di carta poi arrotolate e chiuse in cilindri di cartone dipinti di nero sui quali sono applicate etichette che riportano lunghezza della linea, data e firma. La “linea” concretizza lo spazio-tempo e, paradossalmente, lo rende visibile. Sarà pensata dall’artista come una delle sue “invenzioni” principali.
Esposte per la prima volta ad Albisola Marina (Galleria Pozzetto Chiuso, 18-24 agosto 1959) generano subito grande scandalo mentre Lucio Fontana acquista la Linea m 9,48. E sarà lo stesso Fontana a definire la “linea” di Manzoni la “fine dell’arte”.

La Linea lunga 7.200 metri è realizzata, in circa tre ore, il 4 luglio 1960 nella tipografia del giornale “Herning Avis”, in Danimarca, poi posta in un grande cilindro di zinco e piombo con ancora un’iscrizione che definisce il contenuto. Secondo le intenzioni dell’artista questa era la prima di una serie di Linee da “seppellire” nelle città più importanti del mondo, la cui somma totale delle lunghezze doveva essere uguale alla lunghezza della circonferenza terrestre. Una linea chiusa in un contenitore a sua volta immerso nelle viscere della Terra.

Sul finire del 1959 Manzoni concepisce il suo primo ciclo volutamente “seriale” ovvero i 45 Corpi d’aria: in una scatola di legno, insieme a un foglio d’istruzioni, sono custoditi un palloncino bianco da gonfiare con un tubicino e un treppiede dove poggiare la “scultura pneumatica”. Esposti in diverse occasioni tra cui, non a caso, anche nella collettiva Sculture da viaggio alla Galleria Trastevere di Roma (8 ottobre 1960).
Nel 1960 la prassi del nascondimento è concretizzata ancora seguendo forme sferiche e ovoidali. Il Fiato d’artista è un palloncino gonfiato direttamente da Manzoni e applicato su una base quadrangolare di legno; la serie Uova scultura è composta da un uovo completo di guscio “timbrato” con l’impronta digitale del suo pollice, il tutto adagiato in una piccola scatola di legno con ovatta, una culla-sarcofago per il fragile reperto, quasi un fossile o una reliquia della contemporaneità. Anche il Placentarium, “teatro pneumatico per balletti di luce, di gas ecc…” –abbozzato nell’estate 1960 e poi pubblicato in due versioni, una sferica e una ovoidale, sulla rivista tedesca “ZERO”, n. 3, Düsseldorf, [luglio 1961]– oltre a essere esso stesso un “contenitore” per il pubblico e le installazioni luminose-sonore, prevedeva, probabilmente, un ingresso sotterraneo; inoltre gli spazi per gli spettatori sono significativamente chiamati “alveoli”.

Nel maggio del 1961 vi è la serie delle 90 scatolette di Merda d’artista, sul cui reale contenuto molto si è speculato.
Un comune denominatore a questa variegata tipologia di opere è il ruolo della scrittura. Sostanzialmente titolo e iscrizione sono gli strumenti per pensare e fruire l’opera, in particolar modo per le Linee e la Merda d’artista –qualunque sia la loro reale essenza– oltre al foglio di istruzioni che descrive i Corpi d’aria o la targa metallica che definisce Fiato d’artista un semplice palloncino. L’iscrizione “in-forma”, è la parte visibile dell’“in-visibile”, nel caso della Merda d’artista anche chiaramente diretta, perturbante, per altro in quattro lingue (italiano, inglese, francese, tedesco). Emblematico inoltre il caso della Linea di lunghezza infinita (1960): un semplice cilindro di legno dipinto di nero dove l’iscrizione, quasi con valore didascalico, riporta: “CONTIENE UNA LINEA DI LUNGHEZZA INFINITA PIERO MANZONI ’60”.
D’altronde per Manzoni la scrittura ha sempre avuto un ruolo determinante, si pensi ai numerosi testi e manifesti teorici di cui è autore, alle lettere alfabetiche di alcuni lavori del 1958-1959, fino alla firma delle Sculture viventi con la compilazione manoscritta delle relative Carte di autenticità (1961-1962)(2).

In alcuni casi però la dialettica e la circolarità interno/esterno possono presentarsi ulteriormente potenziate. Si pensi ancora ai Corpi d’aria: tutto è nascosto in una scatola, uno degli elementi primari della serie, il fiato, passa dall’interno del corpo umano all’interno dell’involucro di gomma che poi viene “esposto”.
Concettualmente –o realmente?– lo stesso può dirsi per la Merda d’artista. Anche l’uovo è un elemento che è già di per sé un contenitore, di tuorlo e albume altre sostanze “vitali” come il fiato e la placenta, a sua volta inscatolato. L’ultima mostra-evento della Galleria Azimut Consumazione dell’arte Dinamica del pubblico Divorare l’arte (21 luglio 1960) conferma la coerenza di tali “percorsi circolari”: l’uovo sodo, ancora firmato dall’impronta digitale di Manzoni, è offerto in un rituale di comunione-consumazione al visitatore per essere mangiato, ingerito. E sono note le numerose valenze culturali connaturate nell’uovo.
Si ritrova un altro denominatore comune per queste opere nascoste: l’atto di fede. Sia nella ritualità della Consumazione dell’arte sia perché, in generale, bisogna fidarsi delle iscrizioni applicate dall’artista su scatole e contenitori.

Non si dovrebbero dimenticare anche alcune tipologie di Achromes. Molti sono realizzati con il caolino – sostanza usata nella lavorazione della ceramica– che in pratica diviene una patina che ricopre la tela, i panini o i sassi. In alcuni rari casi anche piccoli oggetti tridimensionali. Un velo neutralizzante che trasforma in “realtà-altra” –autonoma e autosignificante– elementi di varia natura. Velare per ri-velare, coprire per ri-scoprire l’essenza nascosta di quell’“essere totale” che è “puro divenire” annotato nei suoi scritti e concretizzato nelle sue opere. Una variante di Achromes poco citata e studiata, forse perché ancora più enigmatica, è costituita dai “pacchi” in carta, sigillati con spago, piombo e ceralacca (1962). Oltre a confermare che il significato ultimo dell’acromia manzoniana non è di natura coloristica o monocromatica con il bianco quale protagonista, tale tipologia di Achromes ben si accorda con la prassi del nascondimento/rivelazione.
Forse Manzoni non invita a riflettere –con ironia e poesia– anche sul valore enigmatico dell’opera d’arte e del fare arte? E la mente è già di per sé un grande contenitore di enigmi e di idee, all’interno del “tempo”, che per Manzoni è “l’unica dimensione”(3). Un tempo in-finito.

Gaspare Luigi Marcone (1983). Artista e curatore si è laureato in Storia e critica dell’arte all’Università degli Studi di Milano (2006) dove è stato collaboratore del Dipartimento di Storia dell’arte. La sua boîte contiene ± ∞. Forse.



Note
1. Alcune utili riflessioni in E. Grazioli, Piero Manzoni. In appendice tutti gli scritti dell’artista, Bollati Boringhieri, Torino 2007, in particolare cap. 12 e passim.
2. Cfr. G.L. Marcone, Piero Manzoni e la scrittura. Primi appunti, in Piero Manzoni. Scritti sull’arte, a cura di G.L. Marcone, Abscondita, Milano 2013, pp. 113-129.
3. P. Manzoni, Libera dimensione, in “Azimuth”, n. 2, Milano, 1960, ora in Piero Manzoni. Scritti sull’arte, cit., pp. 34-38 (in particolare p. 38).